Società multiculturali

  • Introduzione

Introduzione

Come sostiene Amy Gutmann, "Oggigiorno varie istituzioni pubbliche (enti governativi, scuole, facoltà umanistiche) sono severamente criticate per il fatto di non riconoscere o rispettare le identità culturali particolari di alcuni cittadini. Negli Stati Uniti il punto focale di questa controversia è costituito in genere dai problemi degli afroamericani nativi e delle donne; ma all'elenco si potrebbero aggiungere altri gruppi e, se viaggiassimo intorno al mondo, l'elenco stesso cambierebbe. Ciononostante è difficile, attualmente, trovare una società democratica o democratizzante che non sia teatro di controversie importanti sul problema se (e come) le sue istituzioni pubbliche debbano o non debbano riconoscere l'identità delle minoranze culturali e di quelle svantaggiate. Che cosa significa per dei cittadini come noi, con identità culturali diverse basate spesso sull'etnia, la razza, il sesso o la religione, riconoscersi uguali? Uguali per il trattamento politico che riceviamo? Per l'istruzione che le scuole danno ai nostri figli? Per i programmi e le politiche sociali delle facoltà umanistiche?".

Queste affermazioni compendiano il dibattito attualmente in corso all'interno della sociologia, della filosofia, della politica e del diritto riguardo il comportamento che i governi dovrebbero tenere nei confronti di società sempre più multiculturali. Se fino a vent'anni fa il problema sembrava riguardare unicamente paesi come gli Stati Uniti, il Canada e, seppure in maniera inferiore, la Francia, attualmente ne sono investiti molti altri Stati, il cui numero è destinato a crescere. La presenza all'interno di un medesimo paese di gruppi di diversa provenienza geografica, religiosa e linguistica, con abitudini, sistemi di valori e modi di vita infinitamente distanti, crea una situazione rispetto a cui le democrazie occidentali, sorte all'interno degli stati nazionali, non si trovano preparate. Da un lato si sperimenta con immediatezza la difficoltà nel confronto col "diverso" e si teme la messa in discussione di elementi fondamentali del proprio vivere; dall'altro il confronto è sempre più inevitabile e, dall'esperienza della storia passata, fonte di reciproco arricchimento.

Dinnanzi a gruppi di immigrati dotati di caratteristiche culturali ben definite ci si chiede se sia legittima la pretesa di assimilarli nella cultura del paese ospitante, con la conseguente riacculturazione dei nuovi arrivati; o se invece non si debbano trovare delle nuove forme politiche e legislative tese a garantirne il riconoscimento. Secondo l'interpretazione liberale, la politica si deve fondare sull'universalismo delle norme giuridiche: cioè norme che non tengono conto dei caratteri specifici ­ in questo caso delle particolari culture ­ degli individui che sottostanno a esse. Gli autori comunitaristi (come Charles Taylor) propongono invece un modello che si fondi sul riconoscimento dei diversi modelli culturali collettivi. Secondo questi autori è necessario partire dal riconoscimento delle differenze di gruppi e appartenenze culturali. Jürgen Habermas ritiene che sia necessario investigare una terza via capace sia di valorizzare i diritti culturali, sia di salvaguardare elementi essenziali transculturali. Da un lato, infatti, i valori culturali hanno diritto al riconoscimento politico in quanto costitutivi delle identità collettive, dall'altro, secondo Habermas, la valorizzazione delle diversità socioculturali va sempre riferita a una prassi fondata su criteri costituzionali universalistici e transculturali..