Il monopolio dell'informazione

La stampa

I primi grandi monopoli dell'informazione si sono storicamente affermati nell'ambito dell'editoria. In molti paesi, infatti, la proprietà dei quotidiani, dei settimanali e delle case editrici è concentrata nelle mani di poche aziende, che finiscono così per controllare il tipo di pubblicazioni, le notizie e in generale la veicolazione dell'informazione nel paese. Il fenomeno, manifestatosi negli anni '20 e '30 in Gran Bretagna in seguito all'affermarsi dei giornali a diffusione di massa, si è successivamente esteso a spazi geografici sempre più ampi. Così, i nomi di Lord Northcliffe, Beavenbrook e Kemsely indicano imperi editoriali dell'informazione britannica, mentre Springer e Hersant sono fenomeni assai simili, rispettivamente in Germania e in Francia.

Relativamente alla situazione degli Stati Uniti va ricordato che, mentre nella maggior parte dei paesi occidentali sono presenti diverse testate nazionali, che per lo più si fanno portavoce di posizioni politiche differenti, negli USA i giornali sono locali. Ciò non significa, però, una maggiore diffusione di punti di vista differenti; infatti, i giornali locali sono per oltre il 70% di proprietà di grosse società che ne controllano la politica editoriale. Si noti, infine, che all'inizio del '900 erano oltre 500 le città statunitensi in cui erano presenti testate giornalistiche concorrenti, ma nel 1984 esse si erano ridotte a poco più di 30: soltanto nel 3% delle città americane ci sono giornali concorrenti. Il che significa che la pubblicazione dei quotidiani locali è diventata un'impresa in regime di monopolio.

In molti paesi (per esempio, in Norvegia) il governo ha elaborato un progetto per distribuire equamente gli investimenti tra i giornali che rappresentano le varie posizioni politiche presenti nel paese. L'effetto ottenuto è stato quello di aumentare la presenza di testate concorrenti. Non sempre, però, le politiche svolte in questo senso dai diversi Stati riescono a raggiungere i risultati desiderati.