PROTAGONISTI

M

Karl Mannheim Budapest 1893 - Londra 1947 sociologo tedesco

La sua attività di ricerca fu prevalentemente rivolta alla sociologia della conoscenza, cioè all’analisi della conoscenza studiata in rapporto a fattori sociali. Nella sua opera, infatti, la ricerca sui fondamenti del conoscere rinvia sistematicamente ai soggetti del sapere e ai condizionamenti sociali ai quali essi sono esposti. Da questo punto di vista, acquistano rilievo due problematiche centrali nella riflessione di Mannheim: l’ideologia e l’identità politica e sociale degli intellettuali moderni, sviluppate nella sua opera più significativa, Ideologia e Utopia (1929). L’ideologia è per Mannheim la giustificazione, socialmente percepita, dello stato di cose esistente; a differenza dell’analisi di Marx, però, essa definisce politiche tutte le culture, anche quelle eversive, che inevitabilmente degenerano nel dogmatismo. La tensione creativa verso il cambiamento è invece presente nell’utopia, che configura il bisogno di futuro rinvenibile nelle quattro forme di mentalità utopica (chiliastica, liberal-umanitaria, conservatrice, social-comunista). Ma il destino dell’utopia è per Mannheim condizionato dalla capacità degli intellettuali aclassisti non sottoposti, a differenza che in Antonio Gramsci, a rigidi vincoli di appartenenza a una condizione socio-economica di elaborare un’autonoma visione critica della politica e della società. Visione che dovrebbe favorire la democratizzazione fondamentale della società in cui gli intellettuali operano. L’analisi di Mannheim, sensibile al marxismo e allo storicismo, ma critico verso i loro esiti culturali, è stata oggetto di controverse interpretazioni. Una riflessione più orientata in senso teoretico è presente in Sociologia della conoscenza (1940). Altre opere: L’uomo e la società in un’epoca di ricostruzione (1935), Sociologia sistematica (postumo, 1957).

Karl Marx Treviri 1818 - Londra 1883 filosofo ed economista tedescoLa filosofia di Marx sta all'origine della teoria sociologica del conflitto. Con Marx il significato rivoluzionario e innovativo del conflitto sociale viene collegato da un lato alla critica della filosofia idealistica e, dall'altro, ai caratteri della trasformazione concretamente indotta dai rapporti di produzione (rivoluzione industriale, impiego produttivo delle tecnologie, formazione di nuove classi antagonistiche). Il conflitto di classe esprime e comprende per intero l'antagonismo sociale fondamentale che oppone capitalisti e lavoratori salariati, ma è insieme lo strumento della risoluzione di tali antagonismi. La formazione filosofica di Marx è segnata soprattutto da G.W.F. Hegel e da L. Feuerbach. Il primo è sottoposto a un'analisi serrata nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (probabilmente 1841-43, ma pubblicata postuma nel 1927), nella quale insieme alla denuncia della pretesa subordinazione della "società civile" allo "Stato politico", si smaschera la "mistificazione" logica che porta all'inversione del rapporto tra "soggetto" e "predicato": il momento della universalità astratta diviene il soggetto e viceversa il concreto è ridotto a predicato o attributo da essa derivato (per esempio, la "persona" è dedotta dalla "personalità"; il "sovrano", dalla "sovranità"). Per dirla con il Marx di qualche anno dopo, come l'idea universale di frutto deriva dai frutti concretamente esistenti che sono "questa" mela o "questa" pera, altrettanto ogni concetto è sempre predicato di realtà individuali. Bisogna subito precisare che Marx considerò l'essere individuale contrapposto all'astratta idea hegeliana, sempre nella relazione sociale o sotto il profilo della sua "essenza generica". Questo punto di vista lo portò, anche nella critica della religione come "coscienza capovolta del mondo", a dare la preminenza all'effettiva contraddizione storico-sociale tra le classi come radice di ogni "autoestraneazione umana". La divisione in classi antagoniste ha come base la divisione diseguale del lavoro. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 (editi sempre nel 1927) Marx poté così vedere nell'individualismo capitalistico-borghese e nella proprietà privata la "conseguenza necessaria" della "alienazione", o espropriazione (sia come attività, sia nel suo prodotto) del lavoro dell'operaio, quando invece il lavoro stesso, in quanto espressione della "attività libera e consapevole" di ogni essere umano in un contesto di appartenenza sociale, dovrebbe realizzare la sintesi tra i fini individuali e quelli collettivi della specie. Al raggiungimento di tale meta è preposta la società comunista, che si prefigge pure la piena integrazione di uomo e natura, cioè "il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanismo compiuto della natura". Nell'Ideologia tedesca (redatta con Engels fra il 1845 e il 1846, ma pubblicata integralmente solo nel 1932) Marx espone la concezione materialistica della storia: "Ciò che gli individui sono coincide immediatamente con la loro produzione, tanto con 'ciò' che producono quanto col modo 'come' producono", ovvero "ciò che gli individui sono dipende dalle condizioni materiali della loro produzione". Il motore della trasformazione storica risiede allora nello sviluppo delle forze produttive, o "struttura", e nel fatto che esse entrano in contraddizione con i rapporti sociali già costituiti, con l'assetto di potere e con le idee dominanti ("sovrastruttura"). L'approccio marxiano è precisato nelle Tesi su Feuerbach, le quali sottolineano che la realtà non è un oggetto separato dell'attività umana e che si tratta di mettere in atto un processo di "autotrasformazione" attraverso la "prassi rivoluzionaria"; di qui la celebre XI tesi, secondo cui "i filosofi hanno soltanto diversamente 'interpretato' il mondo, ora si tratta di 'trasformarlo'". Il tema è ripreso e ampliato nel Manifesto del Partito Comunista (scritto con Engels nel 1848), dove si afferma che le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee o principi astratti, ma "sono soltanto espressioni generali di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi". Sulla base di tale considerazione Marx si dedicò all'analisi specifica dell'economia politica. L'indagine marxiana prende le mosse dalla forma capitalistico-borghese della produzione della ricchezza, caratterizzata dal fatto che il mezzo per crearla è diventato il "lavoro in generale" ("non lavoro manifatturiero, né commerciale, né agricolo, ma tanto l'uno quanto l'altro"), e quindi si presta a essere impiegato come pura forza lavoro da offrire e acquistare come una merce. Marx pone l'accento sul carattere storico e transitorio del modo di produzione capitalistico, considerato solo come una tappa verso un sistema economico più avanzato, che dovrà nascere però dalle contraddizioni insite nello stesso meccanismo dell'accumulazione capitalistica della ricchezza, basata sullo sfruttamento del lavoro salariato e sulla crescita del proletariato come forza antagonistica destinata a superare la dominazione borghese. La critica al sistema economico capitalistico non può essere perciò disgiunta dalla comprensione organica del nesso che governa le sue componenti: produzione, distribuzione, scambio e consumo (Per la critica dell'economia politica, 1859 e la relativa Introduzione, del 1857, ma edita nel 1903 e in redazione più corretta nel 1939). Da qui sorge l'esigenza da parte di Marx di compiere un'analisi storica e sistematica dell'economia politica in generale e di quella capitalistica in particolare, analisi realizzata nella sua maggiore opera Il Capitale. Critica dell'economia politica. Esso si focalizza dapprima sull'analisi dell'economia politica classica per realizzare una vera e propria "anatomia" del sistema capitalistico. La forma capitalistico-borghese della produzione della ricchezza è caratterizzata dal fatto che il mezzo per crearla è diventato il "lavoro in generale", cioè il lavoro che prescinde da ogni sua caratteristica particolare e si presta a essere impiegato come pura forza lavoro da offrire e acquistare come merce. Marx concorda con gli economisti classici (A. Smith, D. Ricardo) nel ritenere la società borghese come la più complessa organizzazione di produzione. Tuttavia, ciò che non accetta degli economisti classici, e critica come "ideologia", è l'attribuzione di una validità assoluta ed eterna a questi caratteri della società capitalistico-borghese, la quale altro non è che il risultato di un processo storico, di per sé mai definitivo. Questa sottolineatura del carattere storico del modo borghese di produzione apre la strada a un'economia di tipo diverso e a una compiuta teoria della rivoluzione proletaria. Infatti, dalla trattazione "scientifica" della merce ­ del suo valore come derivante dallo scambio dei beni secondo le astratte quantità di lavoro in essi contenute, del plusvalore come porzione del valore prodotto eccedente il salario corrisposto al lavoratore per riprodursi come forza lavoro e incamerata come profitto, dei prezzi ­ Marx giunge a formulare la previsione del crollo del capitalismo sotto la pressione della crisi economica (diminuzione del tasso di profitto e sovrapproduzione) e della crisi sociale (povertà crescente e proletarizzazione generalizzata), grazie alla presa di coscienza e all'attiva azione rivoluzionaria degli sfruttati.
George H. Mead South Hadley, Massachusetts, 1863 - Chicago 1931 filosofo e sociologo statunitenseÈ uno dei più importanti rappresentanti del pragmatismo statunitense ed è considerato il padre dell'interazionismo simbolico. Il concetto chiave della psicologia sociale di Mead è quello del sé (Self), cioè l'immagine che un individuo si forma di se stesso e che nasce dall'interazione sociale. L'individuo al di fuori del gruppo sociale è una pura astrazione e la società è un processo continuo costituito dall'insieme delle azioni che favoriscono la sopravvivenza del gruppo e dall'insieme dei significati attribuiti alle azioni stesse e comunicati reciprocamente dai membri di un gruppo. La coesione sociale si basa sul fatto che all'interno di un gruppo sociale ogni individuo si forma un sé stabile, che è il risultato dell'interazione dell'individuo con gli altri. All'interno dell'individuo Mead distingue tra "io" e "me". Il me consiste di atteggiamenti, opinioni e modi di risposta alle situazioni, condivisi dagli altri membri del proprio gruppo di appartenenza, definito "altro generalizzato". L'io è la componente privata, personale del sé. Il dialogo interno tra io e me conduce alla costruzione sociale del sé, secondo tre stadi: la pre-rappresentazione, o gioco imitativo; la rappresentazione, o assunzione di ruoli nel gioco simbolico; l'interiorizzazione dell'altro generalizzato. Con la socializzazione il sé impara a interpretare il valore simbolico dei gesti significativi per gli altri (per esempio, nel linguaggio) e a reagirvi. Tra le opere, pubblicate postume: Filosofia del presente (1932), Mente, sé e società (1934), Filosofia dell'atto (1938).
Robert K. Merton Filadelfia 1910 - New York 2003 sociologo statunitenseSi è formato alla scuola dello struttural-funzionalismo, di cui interpreta criticamente l'analisi del sistema sociale, differenziandosi dall'eccessivo formalismo del modello di T. Parsons. Merton ha portato l'attenzione del funzionalismo sul principale assunto metodologico della scuola di Chicago, secondo cui se un individuo definisce reale una certa situazione, essa sarà reale nelle sue conseguenze. Questo teorema, che secondo Merton dà luogo alle "profezie che si autoadempiono", permette di comprendere quei fenomeni risultanti dall'aggregazione e dall'interpenetrazione delle azioni individuali di molti attori e costituisce un importante elemento in comune con la tesi della tradizione fenomenologica per cui la realtà sociale è il prodotto della costruzione interattiva tra gli attori sociali. In particolare, si deve a lui quell'analisi funzionale che, distinguendo le funzioni latenti da quelle manifeste (celebre l'esempio della danza della pioggia come manifestazione rituale degli indiani hopi), consente una lettura più penetrante dei comportamenti collettivi. In base a questa distinzione, per conoscere un fenomeno si devono mettere in luce gli effetti da esso realmente prodotti e che spesso non corrispondono alle aspettative socialmente riconosciute e attribuite al fenomeno stesso. Contro il grezzo empirismo di chi riduceva tutta la ricerca sociologica alla ricerca sul campo, e contro i rischi di astrazione teoretica del funzionalismo alla Parsons, Merton sostenne che solo la ricerca empirica può far emergere le funzioni latenti di un'azione o di un fenomeno e contribuire così alla riformulazione più adeguata della teoria che riguarda tale fenomeno. Tra le opere: Teoria sociale e struttura sociale (1949), Sulla sociologia teorica (1968); Sociologia della scienza (1973), Le tradizioni sociologiche da generazione a generazione (1980), Ricerca sociale qualitativa e quantitativa (1979).
Edgar Morin Parigi 1921 sociologo e filosofo della scienza francese

Studioso della crisi della modernità, ha indagato il sistema della comunicazione e della produzione culturale di massa, ma anche le implicazioni sociali del nuovo orizzonte dischiuso dalla teoria dei sistemi e dalle più recenti acquisizioni scientifiche. La sua teoria della complessità rappresenta uno sforzo di sintesi epistemologica, di cui è testimonianza la monumentale opera sul Metodo, iniziata nel 1973 e giunta al IV volume (1991). Il pensiero di Morin si ispira alla teoria generale dei sistemi, secondo cui tutto il reale è scomponibile in unità di organizzazione autonome, dette appunto sistemi. Ogni sistema si autoregola in base a leggi proprie e realizza un fine autonomo, riducendo la complessità dell’ambiente esterno. In campo epistemologico Morin ha sostenuto che occorre applicare al pensiero scientifico lo stesso paradigma che viene usato per interpretare l’organizzazione sociale. Fra le altre sue opere: Il cinema o l’uomo immaginario (1956), L’industria culturale (1962), Terza-Patria (1983), I sette saperi necessari all’educazione (1999) e Connettere le conoscenze (2000).