La formazione delle monarchie nazionali

La crisi dell'Impero

L'avvenimento principale che segnò in modo irreversibile il tramonto dell'Impero all'inizio del Trecento fu il conflitto tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo IV il Bello, unitamente al fallimento dei tentativi di restaurazione imperiale di Enrico VII e di Ludovico il Bavaro. Bonifacio fu l'ultimo grande papa medievale. Deciso a restaurare il prestigio dell'autorità pontificia, proclamò nella primavera del 1300 un grande giubileo per il quale accorsero a Roma innumerevoli pellegrini ai quali promise la piena indulgenza dei peccati; parteggiò per gli Angioini nella Guerra del Vespro e intervenne in Toscana nella lotta tra le opposte fazioni. Lo scontro con Filippo il Bello iniziò quando il sovrano chiese tributi al clero per sostenere il conflitto contro l'Inghilterra. Nel 1302 il papa emanò la Bolla Unam Sanctam con cui riaffermò la tesi teocratica della superiorità dell'autorità spirituale sul potere temporale. Il re francese convocò allora un'assemblea dei rappresentanti delle classi sociali (che prese il nome di Stati Generali); il popolo francese fu dalla parte del sovrano che inviò in Italia (1303) il suo cancelliere perché forzasse il papa ad abdicare. Bonifacio fu tenuto prigioniero ad Anagni fino a quando una sommossa del popolo lo liberò riconducendolo a Roma dove morì qualche tempo dopo. Filippo il Bello fu il primo sovrano a rifiutare la subordinazione all'autorità pontificia e a pretendere la propria legittimità al di fuori dell'investitura sacrale. Con l'elezione di Clemente V, già arcivescovo di Bordeaux, la sede pontificia fu trasferita ad Avignone dove rimase fino al 1377. Filippo e Clemente furono i responsabili della distruzione dell'Ordine del Tempio (1312) che era teocratico e manteneva un legame con l'Oriente. A Roma nel frattempo, in assenza del papa, un giovane popolano, Cola di Rienzo, si fece proclamare Tribuno della Repubblica romana per grazia di Nostro Signore Gesù Cristo (1347), intendendo così restaurare la repubblica a Roma. Il suo ideale fu sfruttato da papa Clemente VI per ripristinare la propria autorità su Roma fino a quando Cola, per gli arbitri e le stravaganze compiuti, fu trucidato dallo stesso popolo che lo aveva acclamato. La Chiesa dovette affrontare un'altra grave crisi quando nel 1378, in un clima di disordine, furono eletti contemporaneamente due papi, Urbano VI che fissò la propria sede a Roma e Clemente VII che la fissò ad Avignone. Questa situazione (scisma d'Occidente) si protrasse con i loro successori fino al 1417 quando l'imperatore Sigismondo di Lussemburgo radunò a Costanza tutti i vescovi che elessero un unico papa, Martino V. Questo quanto succedeva sul fronte della Chiesa; dall'altra parte anche l'Impero era in crisi. Un tentativo di restaurare l'antico prestigio tradizionale venne da Enrico VII di Lussemburgo, esaltato da Dante, e poi, con intenti ideologici di segno opposto, da Ludovico il Bavaro. Questi, in contrasto col papa Giovanni XXII dal quale fu scomunicato, scese in Italia nel 1327 e fu incoronato dall'antipapa Niccolò V, da lui stesso creato. Poi fece stabilire (1338) dagli elettori imperiali che l'elezione a re di Germania avrebbe comportato automaticamente l'assunzione del titolo imperiale senza incoronazione da parte del papa (prendendo spunto dalle tesi di Marsilio da Padova). Nel 1356 l'imperatore Carlo IV regolò l'elezione imperiale con la “Bolla d'oro”, stabilendo che essa fosse affidata a un collegio di tre ecclesiastici e quattro laici. Tramontava così l'universalità dell'Impero e con essa in parte anche quella della Chiesa.