L'Italia dall'unificazione alla Prima Guerra Mondiale

L'annessione del Veneto e di Roma

Perché il processo di unificazione potesse dirsi concluso, occorreva annettere al Regno il Veneto e lo Stato Pontificio. Questo progetto, però, cozzava contro la volontà, oltre che dell'Austria, di Napoleone III, atteggiatosi a tutore della Chiesa, desideroso di riconquistare la stima dei clericali francesi dopo i fatti del '59. Gli statisti italiani, barcamenandosi tra le minacce francesi e le iniziative patriottiche del Partito d'Azione e di Garibaldi, raggiunsero lo scopo sfruttando pienamente ogni circostanza favorevole che si presentò loro. Un serio tentativo di completare l'unificazione fu attuato durante il primo ministero di Urbano Rattazzi (mar.-dic. 1862). Egli sembrò appoggiare un'iniziativa di Garibaldi e del Partito d'Azione che andavano reclutando volontari per intraprendere una guerra in Veneto. Dalla Francia, Napoleone III fece subito pressione presso il governo italiano. Di fronte a questa presa di posizione, Rattazzi ordinò all'esercito di disperdere le truppe garibaldine a Sarnico (15 magg. '62). Deciso allora a puntare su Roma, Garibaldi si recò in Sicilia da dove intendeva partire. Nuovi appelli francesi costrinsero il governo a inviare altri soldati contro la spedizione. I due schieramenti si incontrarono il 29 ago. sull'Aspromonte: l'esercitò sparò seminando la morte (12 vittime) e ferendo Garibaldi, poi imprigionato. Amnistiato, egli poté poco dopo rientrare a Caprera. Napoleone III era preoccupato dalle ambizioni sabaude. In segno di buona volontà allora, il 15 sett. '64 (gabinetto Marco Minghetti, mar. '63 - sett. '64), l'Italia sottoscrisse con la Francia la Convenzione di settembre in cui si impegnava a difendere lo Stato Pontificio da ogni attacco esterno. All'Italia fu poi chiesto di spostare la capitale in un'altra città (Firenze) a garanzia della rinuncia a Roma. La notizia provocò disordini a Torino il 21-22 sett. (30 morti e più di 100 feriti). Nella primavera del '66, Bismarck, che puntava all'unificazione tedesca, propose all'Italia (gabinetto Alfonso Lamarmora, sett. '64 - giu. '66) un'alleanza anti-austriaca. Questa volta Napoleone III non si oppose perché vedeva favorevolmente un indebolimento dell'Austria. La guerra scoppiò il 20 giu. '66. Tanto i successi prussiani furono sfolgoranti (Sadowa, 3 lug. '66), quanto le sconfitte italiane disastrose (l'esercito fu battuto a Custoza il 24 giu., la marina a Lissa il 20 lug.). Comunque, la guerra si risole con la vittoria della coalizione (12 ago., armistizio di Cormons; 3 ott., Pace di Vienna). Il Veneto veniva ceduto all'Italia, ma, come già era accaduto in passato, solo attraverso la Francia. Restava da liberare Roma. Nel '67 fallì un nuovo progetto di Garibaldi e del Partito d'Azione, culminato nei fatti di Villa Glori (22 ott. - vi trovarono la morte Enrico e Giovanni Cairoli) e in un intervento dell'esercito francese che sconfisse i garibaldini a Mentana (3 nov.). Finalmente, nel 1870, scoppiato il conflitto franco-prussiano, le truppe francesi lasciarono Roma. Approfittando della situazione, il 20 sett. 1870, aperta la breccia di Porta Pia, gli Italiani occuparono la città. I rapporti con la Chiesa vennero regolati dallo Stato con la Legge delle Guarentigie (13 magg. '71), che Pio IX non riconobbe (nonostante garantissero la massima libertà). In seguito egli vietò ai fedeli di partecipare alla vita politica della nazione con il non expedit (1874). La capitale fu transferita a Roma nel lug. del '71.