Economia e società nell'Impero Romano

Evoluzione economica nell'Impero

A partire dal I sec. si possono delineare nell'Impero diverse aree economiche. In Italia la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, il Settentrione; in Oriente la Grecia, Creta, la Cirenaica, la Palestina, la Siria, la Mesopotamia; in Africa l'Egitto, Tripoli, il Marocco, Cartagine; e inoltre la Gallia, la Britannia, la Germania occidentale. A partire dal II sec., il prezzo delle terre, inferiore a quello dell'Italia, attirò sempre più persone in queste regioni, causando contemporaneamente nella penisola un aumento delle terre incolte e un crescente spopolamento.

Il Mediterraneo, cuore economico, politico e culturale. L'unità politica e amministrativa consentì il funzionamento di una complessa e capillare rete di circolazione fra le province di derrate alimentari (soprattutto grano, vino, olio), materie prime e manufatti di ogni genere. L'immenso Impero, esteso su tre continenti e comprendente aree geografiche diversissime, ebbe il suo fattore unificante nel Mediterraneo. Sul grande mare interno gravitavano le poche megalopoli (Roma, Cartagine, Antiochia, Alessandria e, dal IV sec., Costantinopoli) le quali non avrebbero potuto sopravvivere senza i rifornimenti transmarini. Il modello di civiltà e di rapporti economici esistente da secoli sulle coste del Mediterraneo si estese nelle parti continentali dell'Europa e dell'Africa, notevolmente arretrate al momento della conquista. Fra il sec. I e il sec. II Roma trasformò profondamente queste aree con un'intensa e programmatica opera di “romanizzazione” il cui strumento principale fu la creazione di città. Nelle regioni del Maghreb, in Spagna, nell'Europa settentrionale (Gallia e Britannia) e in tutta l'area danubiana l'urbanizzazione comportò la sistematica riorganizzazione dei territori e la trasformazione, spesso profonda, delle loro vocazioni produttive. L'estensione del modello sociale ed economico della città mediterranea implicava, infatti, assoluta prevalenza dell'agricoltura, sedentarizzazione delle popolazioni nomadi e seminomadi, contrazione dell'economia pastorale, un articolato sistema artigianale destinato a soddisfare i bisogni delle città, sviluppo dei commerci, adozione generalizzata della moneta negli scambi. Crebbero, quindi, i legami fra centro mediterraneo e periferie continentali, divenne intensa la circolazione delle merci e delle persone, e si fecero complessi i rapporti economici nei quali si inserirono anche le popolazioni barbariche.

Cambiamenti politici e cambiamenti economici. Mentre nel I sec. terminò la supremazia agricola e commerciale che l'Italia aveva esercitato nei secoli precedenti, crebbero le esportazioni (olearie e vinarie soprattutto) della Gallia meridionale, della Tarraconense e della Betica. Col sec. III iniziò per queste province una fase di regresso economico e subentrò una nuova egemonia, quella africana, fondata sull'esportazione dell'olio e, collateralmente, di ceramiche. Caduto l'Impero d'Occidente e occupata l'Africa dai Vandali nella prima metà del V sec., iniziarono a prevalere nel Mediterraneo le esportazioni di merci e derrate provenienti dalle province dell'Egeo, dell'Asia Minore e dell'area siropalestinese. In generale, si può dire che l'economia seguì i tempi della politica. Considerato il lungo arco dell'età imperiale, i secc. I e II furono interessati da un generale movimento espansivo che rallentò ed entrò in crisi nella seconda metà del sec. III, quando l'Impero fu scosso da alcuni decenni di insicurezza politica e militare. Con l'avvento di Diocleziano anche la compagine produttiva recuperò vigore, ma all'interno di una forma autoritaria di governo che interveniva pesantemente nel funzionamento dei meccanismi economici per mezzo della fiscalità. Il sec. IV segnò in complesso un momento di recuperata floridezza che cominciò a declinare in Occidente a seguito delle invasioni barbariche del sec. V e seguirà, sia pure con recuperi parziali, un andamento discendente sotto i Regni romano-barbarici dei secc. VI-VII.

Società e mobilità sociale. In età monarchica e repubblicana la società era formata da pochi ceti prevalenti, i patrizi (che alimentavano l'esercito e il ceto dirigente), i plebei (soprattutto contadini), gli schiavi. Al tempo di Augusto i cittadini più in vista potevano percorrere il cursus honorum, aspirando alle cariche più alte; coloro che possedevano almeno 400 000 sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell'imperatore, potevano invece aspirare alla carriera equestre (i cavalieri erano inizialmente formati da coloro che potevano armarsi per combattere a cavallo) e diventare governatori di province minori e amministratori del fisco. Il patrimonio dava quindi la possibilità di aspirare a una classe sociale più elevata.

Esercito e mobilità sociale. Inizialmente potevano far parte dell'esercito solo i patrizi che potevano permettersi di comprarsi armi e armature. Un importante cambiamento fu introdotto da Mario che ammise nell'esercito anche volontari nullatenenti e distribuì terre ai suoi veterani. In questo modo, molti poveri cittadini, arruolandosi in un esercito professionale, trovavano un mezzo di sostentamento. Con Augusto questa possibilità fu aperta anche ai provinciali che, arruolandosi, diventavano cittadini romani e potevano fare carriera. In età imperiale inoltre molte truppe furono stanziate ai confini dell'Impero e con Adriano cominciarono a essere arruolati anche alcuni barbari. Molti soldati, dopo la ferma, si trasferivano nelle regioni vicine, provocando un certo spopolamento soprattutto in Italia; molti accampamenti, inoltre, costituirono il nucleo di future città.

La mobilità dei liberti. Fin dall'età repubblicana uno schiavo meritevole poteva essere “affrancato”, cioè liberato (pur mantenendo un vincolo di fedeltà al padrone) e diventare liberto, a tutti gli effetti un cittadino romano. La presenza dei liberti fu un elemento di dinamismo economico in quanto molti di essi, abili e intraprendenti, facevano fortuna in attività artigianali, culturali o finanziarie (banchieri, mercanti). Sotto Claudio molti liberti acquistarono influenza negli affari statali, poiché inquadrati nell'apparato burocratico dello stato.

La romanizzazione e il valore della cittadinanza romana. Erano cittadini di diritto i figli legittimi di un cittadino o i figli naturali di una cittadina. Potevano diventarlo, invece, gli schiavi affrancati o intere popolazioni assoggettate quando Roma lo avesse deciso. Dopo la guerra sociale il senato fu costretto a concedere la cittadinanza a tutta l'Italia. Progressivamente, in età imperiale, la cittadinanza fu estesa a molte province e, nel 212, a tutti gli abitanti. Ma quale valore aveva diventare cittadini romani? Innanzitutto i cittadini non erano sottoposti a tortura o fustigati e potevano essere condannati a morte solo da un'assemblea cittadina e non da un semplice magistrato. Inoltre, solo i cittadini avevano diritti politici e potevano aspirare a far parte della classe dirigente. In età imperiale molti funzionari, senatori, consoli e anche imperatori (es. Traiano) furono di origine provinciale. Concedendo la cittadinanza, Roma assimilava le popolazioni sottomesse e soprattutto legava a sé le loro classi dirigenti. Questo spiega perché durante l'Impero, a differenza dell'età repubblicana, furono rare le rivolte dei popoli vinti.