La crisi della Repubblica

Dalla Guerra giugurtina all'ascesa di Mario

Sconfitti i Gracchi, guadagnò prestigio l'oligarchia senatoria, cercando il favore dei cavalieri e quello del popolo attraverso piccole concessioni. Fra il 125 e il 118 a.C. Roma ridusse a provincia la Gallia meridionale. Poco dopo dovette intervenire in Africa, in Numidia dove Giugurta aveva massacrato Romani e Italici residenti a Cirta e aveva usurpato il trono di Aderbale, il quale aveva chiesto l'aiuto romano. Nel 111 a.C. iniziò la guerra che si protrasse fino al 107, quando il comando fu affidato a Caio Mario, affiancato dal questore Cornelio Silla. Quest'ultimo riuscì a farsi consegnare Giugurta, che fu giustiziato. Al termine del conflitto tutti gli onori furono tributati a Mario che fu rieletto console, mentre Silla mal tollerò di non essere stato considerato. Il potere di Mario fu consolidato in seguito alla riforma dell'esercito in cui ammise anche volontari nullatenenti ai quali assegnò una paga. Con questo esercito ben addestrato e con nuove tattiche di guerra, Mario, eletto console dal 103 al 100 a.C., sconfisse i Cimbri e i Teutoni, popolazioni germaniche che insidiavano i confini settentrionali. Nell'anno 100 a.C. il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino, affiancato dal pretore Gaio Servilio Glaucia, fece approvare una legge che assegnava ai veterani dell'esercito di Mario alcune terre della Gallia Cisalpina. Il senato, contrariato, concesse pieni poteri a Mario per liberarsi dei due politici. Egli li fece uccidere e ciò irritò il partito dei popolari. Mario lasciò la vita politica e si recò in Asia.