Lessico

(toscano o lett. sacrifìzio, ant.o regionale sagrifìcio, sagrifìzio), sm. [sec. XIV; dal latino sacrificíum, da sacrificāre, sacrificare].

1) Termine generico con cui si designano riti diversi tanto per la modalità quanto per il fine ma che hanno in comune l'offerta di qualche cosa a un essere extraumano: fare un sacrificio in onore di Marte; anche la cerimonia che accompagna l'atto.

2) Nella religione cattolica indica per lo più la messa, in quanto in essa si rinnova in forma non cruenta il sacrificio volontario ed espiatorio di Cristo sulla croce.

3) Per estensione, l'offrire la propria vita per la realizzazione di un ideale: fare sacrificio di sé; anche l'offrire a Dio una privazione, un danno subiti: ha fatto sacrificio a Dio dei suoi dolori.

4) Fig., disagio, rinuncia, grave privazione: ha affrontato gravi sacrifici per laurearsi.

Scopo e valore simbolico del sacrificio

Schematicamente si potrebbero distinguere almeno due classi di sacrifici: quelli che intendono stabilire un rapporto tra offerente umano e destinatario extraumano; e quelli che, al contrario, intendono annullare ogni eventuale rapporto con il destinatario, in quanto ritenuto pericoloso per l'offerente. Nella prima classe vanno annoverati il pasto sacrificale e il dono sacrificale. Nella seconda classe si annoverano l'offerta primiziale e il sacrificio sostitutivo. Il pasto e il dono sacrificali stabiliscono una relazione tra sacrificante e destinatario, ricorrendo a istituti culturali ritenuti efficaci di per sé a fondare rapporti particolari anche tra gli uomini: rispettivamente la commensalità e la donazione. Il valore vincolante della commensalità si fonda sull'assioma che due persone, mangiando lo stesso cibo ne conseguano un'affinità quasi fisiologica o di sangue. Il rapporto stabilito dal dono è sostanzialmente quello della reciprocità. Nell'istituto dell'ospitalità (per esempio la xenia degli antichi Greci) si trovano congiunti sia l'istituto della commensalità sia quello della donazione. Ora il rapporto tra uomo ed essere extraumano si realizza press'a poco in questi stessi termini quando si ricorre al rito del pasto o del dono sacrificali; ma esplicandosi su un piano diverso dal piano dei rapporti umani l'oggetto del pasto o della donazione debbono essere qualificati religiosamente: mediante un rito preliminare (per esempio la consacrazione) l'oggetto acquista la qualità del “sacro”. A ciò si aggiunga che la commensalità da parte dell'essere extraumano è puramente simbolica, e pertanto mentre l'officiante mangia realmente, al destinatario extraumano vengono devolute porzioni simboliche mediante i mezzi più vari (soprattutto con il fuoco, ossia bruciandole). La simbologia del pasto è particolarmente complessa quando si tratta di sacrifici cruenti, ossia di animali, in quanto comportano l'uccisione dell'oggetto (vittima) e pertanto la complessa ideologia che sta dietro all'uccisione rituale. La scelta delle vittime diventa altamente significativa, sulla base delle qualità che si attribuiscono loro, diverse da cultura a cultura. Una vittima particolare ed eccezionale è naturalmente quella umana: il sacrificio umano trova i suoi presupposti ideali e formali nel cannibalismo rituale. Ma anche lo stesso destinatario del sacrificio può assumere il ruolo di vittima; accade nei riti di comunione per i quali il rapporto tra uomo e dio (o altro essere extraumano) si realizza identificando la vittima con il dio, e quindi con l'ingestione del “divino” da parte dei partecipanti al sacro pasto. Il sacrificio sostitutivo, pur rispondendo formalmente alla stessa meccanica – alienazione di un bene umano in favore dell'extraumano –, raggiunge uno scopo opposto. Esso ha una funzione apotropaica; serve ad allontanare esseri apportatori di morte ai quali si offre una propria appartenenza in cambio della propria persona. È un non-rapporto che esso consegue, o un rapporto negativo; pertanto quando si offre un cibo, l'officiante non ne mangia alcuna parte, ma il cibo offerto viene completamente alienato (non deve esserci rapporto di commensalità!). Anche l'offerta primiziale consegue un non-rapporto, ma per motivi diversi. Nelle forme di sacrificio precedentemente considerate il fondamento è l'alienazione di un bene proprio; invece nell'offerta primiziale il fondamento è l'appropriazione di un bene altrui. Questo bene è il cibo che si ritiene sottratto all'alterità extraumana (l'ideologia si forma presso cacciatori e raccoglitori di prodotti spontanei) e che pertanto, perché l'uomo lo possa consumare impunemente, deve essere “sconsacrato” (procedimento opposto alla “consacrazione” caratteristica dei sacrifici considerati in precedenza). Il rito consiste nel concentrare la “sacralità” in una parte simbolica e nel devolvere questa parte all'essere extraumano padrone del cibo. La molteplicità e la diversità delle teorie generali del sacrificio deriva dal fatto che si è voluto riferire a ogni forma qui considerata (e già in sintesi, il che significa che la realtà storica è assai più multiforme) caratteristiche e finalità desunte da un solo tipo di sacrificio, per cui alcuni hanno voluto far derivare ogni sacrificio dalla comunione totemica (Robertson Smith); altri dal dono rituale (Hubert e Mauss); o dall'uccisione apotropaica (Wundt); altri ancora dall'offerta funeraria considerata magicamente efficace (Loisy); o dal pasto cannibalico con le sue implicazioni magiche (Bertholet); o dall'offerta primiziale (padre Schmidt); o dall'uccisione rituale (Jensen).

Il sacrificio nelle religioni ebraica e cattolica

Il sacrificio rimase privato fino al formarsi della nazione ed ebbe essenzialmente un significato di ringraziamento a Dio e di adorazione. Quando gli Ebrei divennero il “popolo d'elezione” allora il sacrificio si mutò in atto perenne ed essenziale del culto ufficiale e fu al centro di complesse norme rituali. Forme di sacrificio erano: l'olocausto, in cui la vittima era completamente divorata dal fuoco; il sacrificio latreutico (di adorazione della divinità) per eccellenza; il sacrificio pacifico (o salutare), offerto a Dio per ringraziamento, per impetrazione, per adempimento di un voto; una parte della vittima era bruciata; una seconda data al sacerdote sacrificante; il resto restava all'offerente, che la mangiava con parenti, amici e poveri; il sacrificio espiatorio, a riparazione di una colpa o d'infrazioni legali; aveva in genere carattere privato, ma si celebravano sacrifici espiatori pubblici in occasione delle feste di Pasqua, dei Tabernacoli e del giorno di Kippur; la vittima variava secondo la maggiore o minore gravità del delitto. In processo di tempo il sacrificio si svuotò del suo significato principale di contatto con Dio per ridursi a un rito esterno, che si doveva compiere perché imposto. I giudei ellenizzanti lo consideravano ormai solo un simbolo della purezza interna. Nel Nuovo Testamento, ossia per i cattolici, gli antichi sacrifici persero ogni efficacia di fronte all'unico, vero sacrificio, quello di Cristo sulla croce a redenzione degli uomini, e questo solo rimane come memoriale della morte del Signore nel sacrificio della messa. I cristiani però sono chiamati a un altro sacrificio, quello della consacrazione e dedizione a Dio e a offrire la loro vita intera come un sacrificio vivente (San Paolo, Lettera ai Romani, 12,1).

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