Lessico

s. inglese usato in italiano come sm. Ovest; in particolare, le terre occidentali degli Stati Uniti e del Canada: conquista del West, l'incessante, progressivo avanzare della colonizzazione bianca nell'America Settentrionale, dalle coste dell'Atlantico alle lontane terre dell'Ovest (Far West, lontano Ovest).

Storia: il XVIII secolo

Il West non ebbe mai un preciso riferimento geografico: fu una specie di miraggio che era sempre più a Ovest, man mano che masse di contadini, cacciatori, mercanti, uomini di fede, sbandati e predatori si spingevano verso Ovest. Occorre dire subito che il West prima di costituire una terra di conquista fu uno dei più gravi e assillanti problemi politici dell'America Settentrionale. Già nel sec. XVIII la Gran Bretagna si era resa conto che si trattava di un groviglio inestricabile di elementi scottanti e alle volte drammatici. C'era innanzi tutto il problema politico-militare costituito dalla presenza degli Spagnoli e dei Francesi, solo parzialmente risolto con la guerra dei Sette Anni; c'era, anche più assillante, il problema indiano, mai chiarito nei suoi termini essenziali, sanguinosamente esploso (al di là dei pur numerosi e incessanti conflitti locali) nella congiura di Pontiac (1763) che aveva sconvolto la “frontiera” massacrando migliaia di coloni dal Niagara alla Virginia ed era stata infine soffocata (ma tutt'altro che domata) a prezzo di una dura lotta; tuttavia gli indiani non costituivano soltanto un problema militare: era ben sentita l'esigenza di stabilire i principi di una “politica indiana” a largo respiro, capace cioè di risolvere non soltanto i casi di emergenza ma anche i più complessi inevitabili sviluppi futuri. Una qualsiasi politica indiana era fortemente condizionata dalla frammentarietà delle situazioni locali, dall'anarchia dei coloni, dall'impossibilità di un governo centrale a rendere operante una legge su un territorio tanto vasto e diverso. Connesso con gli indiani era anche il commercio delle pellicce, una delle maggiori attrattive del West, legato a un traffico internazionale lucrosissimo sul quale speculavano decine di compagnie in concorrenza fra di loro e in lotta o alleate con gli indiani. Tuttavia il punto più complesso da risolvere apparve subito quello dell'amministrazione territoriale e della politica fondiaria. A chi e come assegnare l'enorme territorio sottratto ai francesi, agli spagnoli e agli indiani? Doveva essere venduto o ceduto? E, nel primo caso, il canone doveva favorire l'erario o incoraggiare una rapida colonizzazione? Dovevano essere ceduti vasti territori a società fondiarie o piccoli lotti a singoli coloni? Il problema era ulteriormente complicato dalle richieste degli Stati, ciascuno dei quali avanzava pretese, più o meno giustificate, su territori del West. Ai dilemmi posti in tutte queste questioni la Gran Bretagna tentò di dare una risposta congelandoli o prendendo tempo. Tra il 1763 e il 1764 il governo di Londra proibì ai coloni di oltrepassare la catena degli Allegheny e creò un'Amministrazione indiana al fine di regolare i rapporti tra indiani, coloni e compagnie di cacciatori: diecimila soldati furono stanziati a salvaguardia delle colonie. Quando il governo inglese si accorse che il nuovo ordinamento civile e militare costava all'erario (1764) 350.000 sterline (contro ca. 70.000 del 1748) e cercò di farne pagare una parte ai coloni, scoppiò la rivoluzione. Finito il dominio inglese, il governo americano cercò a sua volta di regolare il problema del West con la Land Ordinance del 1785 che privilegiava le grandi compagnie fondiarie. L'ordinanza rimase in vigore sino al 1862, ma non poté impedire larghe evasioni da parte dei pionieri che si appellavano al “diritto della scure”. Quasi nulla fu fatto invece per regolamentare la caccia, mentre nel 1787 fu definitivamente stabilito il principio che i nuovi territori, una volta raggiunto un certo numero di abitanti, avessero il diritto di essere eretti Stati. Naturalmente i conflitti locali con le varie tribù indiane erano all'ordine del giorno, anche se si tentò, con vari trattati, di arrivare ad accordi che tuttavia venivano sempre regolarmente annullati. Notevole peso ebbe tuttavia il Trattato di Greenville del 1795, concluso dal generale Wayne con gli indiani Miami, Shawnee, Sauk, Fow, Chippewa ecc., sconfitti nella “battaglia dei tronchi abbattuti”, con il quale gli Stati Uniti ottennero una vasta porzione del territorio nordoccidentale, comprendente Vincennes, Detroit e Chicago.

Storia: il XIX secolo

Un vero balzo in avanti si ebbe all'inizio del XIX secolo, quando avvennero due fatti importanti: l'Ohio (1802) entrò nell'Unione come primo “Stato formato da terre pubbliche” e, l'anno successivo, il ministro degli Esteri francese C. Talleyrand e l'ambasciatore statunitense R. Livingston sottoscrissero la cessione agli USA della Louisiana per 60.000 franchi. La frontiera era ormai aperta. Un nuovo immenso territorio, pressoché spopolato e sconosciuto, era disponibile per la colonizzazione. Due ufficiali, M. Lewis e W.Clark, furono incaricati dal presidente T. Jefferson di esplorarlo sino alle coste del Pacifico: impiegarono due anni e quattro mesi, dal 14 maggio 1804 al 23 settembre 1806: ne riportarono mappe, diari, rilievi e studi di grande importanza che entusiasmarono l'opinione pubblica. Commentò J. Randolph: “Noi eravamo nel momento culminante del felice esperimento:... la fiducia pubblica era illimitata”. Ma la fame di terra era tutt'altro che esaurita. Certo ci riesce oggi difficile comprendere come un popolo che era ancora ben lontano dall'aver colonizzato il proprio territorio, nel 1812 si sia messo in guerra con la Gran Bretagna velando appena sotto l'esile pretesto delle “questioni marittime” il desiderio di impadronirsi di nuove terre: ciò avvenne poco dopo che il governatore W. H. Harrison ebbe vinto (novembre 1811) gli indiani della confederazione di Tecumseh a Tippecanoe. Si sperava di conquistare il Canada in sei settimane, invece gli inglesi occuparono e incendiarono la città di Washington (24 agosto 1814) e con la Pace di Gand (dicembre 1814) gli indiani riebbero i territori perduti a Tippecanoe. Il West pagò duramente questa folle politica di espansione: col 1819 si abbatté sui coloni vecchi e nuovi l'inflazione, la bancarotta e poi la deflazione. Intanto, nel 1820, lo spettro della guerra di Secessione veniva accantonato in extremis con il “Compromesso del Missouri”. L'Est stava riversando sull'Ovest i propri errori e le proprie contraddizioni, ma gli uomini della frontiera non erano disposti a tollerarlo a lungo: alle presidenziali del 1828 essi mandarono alla Casa Bianca il più popolare dei loro uomini: A. Jackson. Sotto il suo governo la frontiera avanzò trionfalmente: tra il 1828 e il 1837 furono conclusi 94 trattati con gli indiani, mediante i quali milioni di acri di terreno furono resi disponibili e, quel che più conta, quasi tutte le tribù indiane vennero trasferite, volenti o nolenti, oltre il Mississippi, a occidente di una “barriera permanente” che andava dal Lago Superiore sino al fiume Reed. A guardia fu creata una catena di presidi militari, ma ancora nel 1840 la “frontiera” stabile non andava oltre il Missouri e Indipendence era l'ultima città di confine. A spingersi più avanti furono, proprio in quegli anni, gruppi di metodisti e di presbiteriani, alle cui lettere entusiaste si dovette la “febbre dell'Oregon” che, a iniziare dal 1842, fece di Indipendence il capolinea di una pista su cui si avventurarono decine di migliaia di coloni, a piedi, a cavallo, su grandi carri. Contemporaneamente si effettuava un'altra ondata migratoria, quella dei mormoni: partendo da Nauvoo, nell'Illinois, essi si spinsero tra il 1846 e il 1848 nel futuro Stato dello Utah. Intanto la “crisi del Texas”, ben guidata dal governo federale, era stata risolta grazie a una rapida campagna militare contro il Messico; il Trattato di Guadalupe-Hidalgo (2 febbraio 1848) concedeva agli Stati Uniti, oltre al territorio contestato della ex “Repubblica della Stella Solitaria”, il Nuovo Messico e la California. La “frontiera” era almeno formalmente arrivata al Pacifico. L'annessione della California coincise con la prima grande “febbre dell'oro” (1849) che richiamò folle di minatori e di avventurieri; dieci anni dopo, questi si riversarono verso le Montagne Rocciose in cerca di altro oro, poi nel Colorado, nel Nevada, nell'Arizona, nell'Idaho, nel Montana e nel Wyoming, ovunque venissero segnalate tracce di metalli preziosi; fu un afflusso improvviso e caotico, che investì il West sino al 1870 e che fu seguito da altrettanto rapidi riflussi. Dopo la guerra di Secessione ebbe inizio, con l'infittirsi della migrazione agricola, l'ultima, più sanguinosa e brutale fase della conquista: lo sterminio degli indiani. Nel 1850 erano stanziati in California 100.000 indiani; dieci anni dopo il loro numero sfiorava i 35.000. Forse peggiore fu la sorte delle tribù delle grandi pianure: le cosiddette “guerre indiane” che si susseguirono dal 1860 al 1885 costarono la vita di decine di migliaia di uomini. Braccati dagli eserciti federali, perseguitati dai coloni, gli indiani reagirono con la forza della disperazione. Nel 1864 si compì il terribile massacro di Sand Creek a opera del colonnello J. Chivington, dove 600 Cheyenne, tra cui donne e bambini, vennero trucidati nonostante avessero issato bandiera bianca; nel 1866 i Sioux, capeggiati da Tashunca-Uitco (Cavallo Pazzo), massacrarono a loro volta la colonna del colonnello W. Fetterman; ancora i Sioux, capeggiati da Tatanka-Iyotanka (Toro Seduto), per difendere i loro territori attaccarono e distrussero il reggimento di 285 uomini del generale G. Custer (1876). Intorno al 1880, tuttavia, gli indiani erano ormai così deboli da dover abbandonare la lotta: gli storici capi vennero confinati, insieme ai pochi superstiti, all'interno di riserve e poi uccisi. Nel 1890, il massacro di indiani a Wounded Knee, nel South Dakota, segnò la fine definitiva della resistenza indiana e, con essa, anche della lunga epopea del West.

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