ṃīmāmsa

sf. sanscrito (propr. indagine). Scuola filosofica dell'antica India fiorita in epoca classica: continua l'esegesi dei testi vedici per proteggere con grande attaccamento all'ortodossia la tradizione da corruzioni e interpolazioni. A questo scopo la scuola afferma che il Veda non è fattura né di Dio né dell'uomo, ma una realtà increata, eterna e autonoma. L'uomo quindi nell'interpretazione del Veda deve avere di mira solo uno scopo ritualistico, perché il dharma, cioè l'azione giusta, consiste nell'esecuzione precisa e minuziosa dei precetti in esso contenuti. Nella critica al soggettivismo buddhista, i filosofi della mīmāṃsā proclamano la realtà del mondo empirico senza inizio né fine, quindi indipendente da Dio-creatore. Esso è formato da atomi e percepibile dai sensi in via diretta. Gli dei non hanno realtà oggettiva, ma sono solo dei nomi, che l'uomo ha inventato per offrire loro sacrifici. A questi ultimi la scuola attribuisce grande importanza, perché portano all'eliminazione del karman, che ancora rimane nell'uomo, ottenendo la separazione dell'anima dal corpo e la fine delle dolorose trasmigrazioni. Interrotto finalmente il ciclo trasmigrazione-dolore (saṃsāra), le anime, ormai libere dal peso del corpo, rimangono in eterno ferme in uno stadio di conoscenza potenziale, vuota di ogni contenuto. In gnoseologia i pensatori della mīmāṃsā avanzarono un'interessante teoria sull'“autovalidità delle conoscenze”: la conoscenza non è frutto di ragionamento logico, ma semplice dimostrazione della falsità o dubbiosità inerenti a una conoscenza sbagliata, causata dalla conclusione operatasi nella mente fra due conoscenze diverse: per esempio io conosco l'oro e l'argento, ma li ho confusi nella mia mente e dico: “questo è oro”, mentre invece si tratta di argento. Non meno interessante la teoria linguistico-metafisica svolta dal grammatico Bhaṛtrhari nel suo Vakyapadiya (Della frase e della parola): il linguaggio sviluppa l'intuizione sensibile ed è veicolo necessario alla conoscenza; esso non si limita perciò a un fatto fonetico o acustico, ma è una realtà spirituale; allo stadio inferiore di semplice fonema la parola può essere confusa (corretta o scorretta), ma quando sale allo stadio mediano diventa parola interiore e ha come sua causa e sostanza la mente; pervenendo all'ultimo stadio, diventa parola “veggente”, si libera da ogni successione (presente ancora allo stadio intermedio) e diventa unica e identica, corretta e pura.

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