Apologìa di Sòcrate

una delle prime opere di Platone, scritta dopo la condanna di Socrate. Platone introduce il grande maestro nell'atto di pronunciare la sua difesa davanti ai giudici. L'argomentazione è divisa in tre parti: nella prima Socrate abbatte il cumulo di accuse a suo carico; nella seconda, alla dichiarazione di colpevolezza da parte del tribunale e alla conseguente richiesta di morte, Socrate chiede di essere mantenuto a spese dello Stato nel Pritaneo come cittadino benemerito, suscitando lo sdegno di una parte dei giudici, che prendono la decisione di condannarlo; nella terza Socrate ha già ascoltato la sua condanna e proclama che egli non considera affatto la morte un male, lanciando un ultimo monito ai giudici che gli sono stati avversi. Il processo, celebrato ad Atene nel 399 a. C., era stato introdotto da Meleto, oscuro uomo di paglia di Anito, salito a grande potenza in Atene dopo la cacciata dei Trenta tiranni. L'accusa era di empietà per aver rinnegato il culto agli dei ufficialmente riconosciuti e per averne introdotti dei nuovi inculcando tali dottrine anche ai giovani. Sullo scritto di Platone i critici hanno avanzato diverse ipotesi: lo Schanz afferma che si tratta di una finzione letteraria; il Wilamowitz propende per la fedeltà storica almeno nelle prime due parti; altri tengono posizioni intermedie. In realtà Platone nello stendere l'Apologia di Socrate obbedisce alle proprie esigenze artistiche e presenta Socrate come egli lo sente nel suo spirito. L'Apologia di Socrate non è quindi una difesa davanti ai giudici, ma una presentazione del maestro alla storia del pensiero umano.

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