Bèlli, Giusèppe Gioachino

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Biografia

Poeta italiano (Roma 1791-1863). Sensibile e malinconico, educato secondo le regole rigidamente conformiste della borghesia della Roma papalina, visse la prima giovinezza in scontrosa solitudine. Nel 1798, a causa dell'occupazione della città da parte dei Francesi, fuggì con la madre a Napoli, dove visse in miseria; fu poi a Civitavecchia, dove il padre Gaudenzio aveva ottenuto un impiego da papa Pio VII. Nel 1803, morto il padre, tornò a Roma, che lasciò soltanto per brevi viaggi. Fu allievo del Collegio Romano (1804-07); ma, essendo morta la madre, dovette interrompere gli studi regolari e lavorò come computista in casa Rospigliosi, poi agli Spogli Ecclesiastici e al Demanio, infine come segretario in casa Poniatowski. Il matrimonio (1816) con la ricchissima e non più giovane vedova del conte Giulio Pichi, Maria Conti, diede a Belli l'agio decisivo per la sua formazione culturale e per la sua attività di scrittore. Già introdotto negli ambienti accademici (era stato, nel 1813, tra i fondatori dell'Accademia Tiberina), fu chiamato (1818) a far parte dell'Arcadia. È del 1827 un viaggio a Milano, dove tornò nei due anni seguenti: ebbe allora modo di cogliere i fermenti di una società tanto diversa da quella romana e di scoprire le Poesie del Porta, che lo orientarono al gusto della poesia realistica e drammatica. Nel 1819 il poeta iniziò la stesura dei Sonetti in romanesco; contemporaneamente, andava scrivendo i 4000 articoli di vario argomento che saranno raccolti negli undici volumi dello Zibaldone. Nel 1837, morta la moglie, Belli fu costretto a cercare un nuovo impiego. Nel 1841 entrò nel dicastero del Debito Pubblico, che abbandonò nel 1845. Atterrito dagli eccessi della guerra combattuta nel 1849 in difesa di Roma, lanciò aspre invettive contro i liberali. Censore per la “morale politica” dal 1852 al 1853, giudicò severamente i melodrammi di Verdi e Rossini. Malato e solo, visse tristemente i suoi ultimi anni, giungendo fino al ripudio dei suoi Sonetti romaneschi (2883, tutti pubblicati postumi).

Opere: i sonetti romaneschi

Nella stesura di questo vastissimo poema di Roma, composto in gran parte nel felice settennio 1830-37, Belli aveva consumato la sua straordinaria creatività, logorandosi anche fisicamente, mentre si apriva nella sua psiche una profonda scissione, alla cui origine è la contraddizione dell'uomo e dell'artista: l'uomo dal pensiero retrivo e dal carattere scontroso, ma che è animato da un'istintiva simpatia per il mondo degli umili popolani di Trastevere; l'artista che riesce a far convivere la sua musa di poeta popolano con la produzione in lingua, dove il popolo non è che plebaglia, considerata con freddo distacco. Per sanare il suo intimo dissidio, l'autore escogitò un espediente e dichiarò che con le sue poesie in romanesco aveva voluto lasciare un “monumento di quello che è oggi la plebe di Roma”. La sua personalità così si sdoppiava fra il conscio e l'inconscio, fra l'irrazionale violenza della materia trattata e la coscienza razionale del letterato che, apparentemente impassibile, si documentava sui costumi del popolo. Un simile squilibrio ha, nei Sonetti, il suo sbocco prevalentemente nel comico, dove però si nasconde un'intima sofferenza, poiché il poeta schernisce cose segretamente amate. Roma con le sue tradizioni, le sue feste, i suoi riti, viene demitizzata comicamente, ma il mito sempre risorge. Oltre a rivelare l'ambivalenza della personalità belliana, i Sonetti hanno un loro valore oggettivo, d'una portata rivoluzionaria. In essi, sotto l'apparenza più dimessa e bonaria, viene compiuto un audacissimo sondaggio negli strati più oscuri della psiche, anticipando in sede poetica le nuove interpretazioni della dimensione economica dei fatti storici, che si elaboravano sul piano politico-sociale in quegli stessi anni. La poesia belliana, che entusiasmò Gogol e riscosse il plauso di Sainte-Beuve, ma rimase oscura in patria, è stata criticamente rivalutata solo negli ultimi decenni. Belli è annoverato tra i più grandi artisti del romanticismo europeo sia per l'ardita modernità e ricchezza dei temi sia per il robusto realismo.

Bibliografia

C. Muscetta, Cultura e poesia di Giuseppe Gioachino Belli, Milano, 1961; G. Vigolo, Genio di Giuseppe Gioachino Belli, 1963; A. Moravia, L'uomo come fine ed altri saggi, Milano, 1964; Studi belliani nel centenario di Giuseppe Gioachino Belli, Roma, 1965; R. Merola, Il laboratorio di Belli, Roma, 1984.

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