Humala, Ollanta Moisés

Politico ed ex militare peruviano (Lima, 1963). Secondo di sette fratelli, il padre è fondatore di un movimento ultranazionalista (conosciuto come "etnocacerismo" e legato alla figura di Andrés Avelino Càceres) che celebra le origini Incas del Perù e di cui anche Ollanta è sostenitore. A vent’anni nel 1982 Ollanta Humala entra nella scuola militare di Chorrillos. Nel 1992, in servizio nella provincia di Tingo María, si distingue nella lotta contro Sendero Luminoso, l'organizzazione guerrigliera di ispirazione maoista: per i fatti di quegli anni numerosi suoi oppositori politici lo hanno accusato di violenze e abusi ai danni della popolazione civile, perpetrati con lo pseudonimo di “Capitan Carlos”. Nel 2009 il caso giudiziario è chiuso per mancanza di prove che confermino la presenza di Humala durante gli arresti. Nel 2000, con il fratello Antauro e 78 membri dell’esercito, Ollanta Humala tenta un colpo di Stato a danno del presidente del Perù Alberto Fujimori denunciandone l’illegalità e la corruzione. L’azione di Ollanta Humala costringe Fujimori a lasciare il Perù e il governo transitorio di Panagua offre a Humala l’amnistia a patto che questi rinunci alla lotta armata. Tra 2001 e 2002 è addetto militare nelle ambasciate peruviane di Parigi e Seoul; nel 2004 è congedato dall’esercito. Nel 2005 Ollanta Humala si proclama leader del Partito Nacionalista Peruano e si candida alle elezioni presidenziali, non riuscendo però a vincerle, nonostante il sostegno delle regioni meridionali del Paese e delle fasce più povere della popolazione. Nel 2011 si candida nuovamente presentandosi come socialdemocratico, ispirato però da posizione cattoliche conservatrici sui temi etici come aborto, matrimonio omosessuale e adozione. Vince il primo turno con il 31,6% dei consensi e sconfigge al ballottaggio la candidata di destra Keiko Fujimori. Al termine del mandato è stato accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti dalla società brasiliana Odebrecht; nel 2018 è stato inoltre accusato di riciclaggio (caso Lava Jato) e la procura ha chiesto una condanna a vent’anni di carcere per lui e ventisei per la moglie Nadine Heredia.

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