La Fontaine, Jean de-

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poeta e favolista francese (Château-Thierry, Champagne, 1621-Parigi 1695). È uno dei grandi classici della letteratura francese e nel “secolo d'oro” divide con Molière il vanto di essere stato fautore della semplicità degli antichi (nella “Querelle des Anciens et des Modernes”) e, insieme, d'aver avuto un vigoroso senso moderno. La vita di La Fontaine ha qualcosa di poetico, per definizione, cioè di non pratico. Per quanto sia stata sfatata la leggenda del bonhomme (cioè di un autore tutto spontaneità e immediatezza e, nella vita, alieno dalla conoscenza e dal dominio degli affari), è certo che molti elementi confluiscono nella formazione d'un artista tanto singolare. Dopo alcuni studi compiuti nella congregazione dell'oratorio (interrotti per mancanza di spirito religioso), seguì i corsi di diritto (1645-47) a Parigi, quindi diventò avvocato al Parlamento. Ma rinunciò alla vita della legge, per il timore dei ben noti cavilli che la regolano, e preferì la compagnia di letterati, quali Pellisson, Tallemant des Réaux, Furetière e il suo grande amico Maucroix. Nel 1647 sposò Marie Héricart, intellettuale di provincia e inadatta alla vita di casa: il poeta, pigro e indolente, abbandonò la casa e finì per essere ospitato a Parigi da ammiratrici quali Madame de la Sablière e godé dell'amicizia di Madame de Sévigné, di Boileau, di Molière. Incurante di piacere a corte, solo tardi entrò all'Académie (1683) e con il disappunto del re Luigi XIV che non lo amava e che ratificò la sua nomina solo l'anno successivo, fino a che non entrò all'Académie anche Boileau. La Fontaine superò il momento critico facendosi apprezzare per il suo Discours à Madame de la Sablière in risposta alla sgarbata accoglienza ricevuta. Il poeta si era affacciato al mondo letterario con la traduzione dell'Eunuco di Terenzio (1654). Tre anni dopo, installato presso Fouquet, a Saint-Maudé, o forse a Vaux, pubblicò il poema Adonis che dedicò al suo mecenate e i cui versi sono stati molto ammirati da Paul Valéry. Passarono diversi anni prima che il poeta riapparisse, dopo odi, ballate, madrigali, in numero modesto tuttavia, con un'opera più unitaria e di un certo impegno: Nouvelles tirées de l'Arioste et de Boccace. Ne pubblicò un primo gruppo nel 1664 e un secondo, col titolo Contes et nouvelles en vers, nel 1665. Stile e versificazione lasciano intendere l'uomo di cultura, di profonda cultura, anzi, ma l'artista delle favole sarà ben superiore. I racconti, considerati immorali, furono condannati per ordine del re nel 1675. La Fontaine continuò imperterrito ad arricchire la sua raccolta (1671, 1675, 1685), dopo aver pubblicato nel 1668 i primi sei libri delle sue Fables che dedicò al Delfino, lasciando, se era sua intenzione adulare il sovrano, indifferente Luigi XIV, accecato sul valore dell'opera dall'istintiva avversione per il poeta. Accolto da Madame de la Sablière nel 1678 (o 1679) pubblicò altri cinque libri di favole (dal VII all'XI). Il dodicesimo lo pubblicò nel 1694, quando già era stato colpito dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte. Dal 1654 al 1694, cioè fino alla vigilia della morte, La Fontaine scrisse in tutti i generi. Gli si deve una tragedia, Achille, di cui compose solo due atti, pubblicati postumi, la commedia Clymène (1671), il poema allegorico Le songe de Vaux (1657-61) in lode di Fouquet, per il quale chiese invano perdono al re nell'Elégie aux nymphes de Vaux (1661), che rimane tra le sue migliori creazioni poetiche. Ebbe inoltre acuto senso critico e lo rivelò nella Lettre à Maucroix (1661) elogiando Molière di cui comprese la potenza creativa. Col poema Philemon et Baucis, tratto da Ovidio, fece rivivere la semplicità degli antichi. Diede con i due libri di Psyché (1669) una specie di romanzo mitologico e palesò il suo profondo sentimento religioso col poema La captivité de Saint Malc (1673), affrontando il tema didattico in un altro poema, Le Quinquina (1682). La sua preferenza per la classicità trovò aperta professione di fede nella famosa Epître à Huet (1687), dove si schierò contro i moderni, nella disputa con gli antichi, cui già si è fatto cenno. La Fontaine si interessò anche all'opera musicale scrivendo diversi libretti ed ebbe una polemica con Lulli contro cui diresse la satira Le Florentin (1674). Il La Fontaine maggiore rimane tuttavia quello delle Fables, summa della sua cultura, del suo spirito di osservazione, del suo gusto, del suo assunto ironico. Il titolo Fables choisies et mises en vers (Favole scelte messe in versi) indica la discrezione dell'autore che, fedele lettore dei classici e conoscitore di fonti popolari anche di origine orientale, avrebbe solo offerto al lettore una nuova forma letteraria. In realtà un mondo originale appare attraverso le vicende degli animali che si prestano alla finzione: un acre giudizio sulla società contemporanea, in cui trionfa il male e si disprezza il bene, sorge da queste favole che lo stesso Rousseau nell'Emilio condannò come inadatte ai giovani. Fine del favoleggiare è quello di istruire, di consigliare o almeno di giudicare: in realtà, tutto il mondo nelle sue passioni e nelle sue aspirazioni, nell'età del Re Sole, è contemplato con un abbandono all'estro, al gusto per il nuovo e alla stessa voglia di satireggiare vizi ed errori d'una società solo in apparenza generosa e grande, e nell'intimo perfida e falsa.

Bibliografia

G.-R. Mayer, Die Funktion mythologisches Namen und Anspielungen in La Fontaines Fabeln, Bonn, 1968; L. Petit, La Fontaine à la rencontre de Dieu, Parigi, 1970; G. Mongrédien, Recueil des textes et des documents du XVIIe siècle relatif à La Fontaine, Parigi, 1973; J. P. Collinet, La Fontaine en amont et en aval, Pisa, 1988.

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