Marziale, Marco Valèrio

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Biografia

(latino Marcus Valeríus Martiālis). Epigrammista latino (Bilbili, Spagna, ca. 40-ca. 104). Giunto a Roma nel 64, vi soggiornò poi per 34 anni (allontanandosene solo per un viaggio, nell'88, in Gallia Cisalpina), prima sotto Nerone, poi sotto i Flavi. La sua vita nella capitale fu sempre assillata da necessità economiche, dalla ricerca di protettori e da fastidi; riuscì tuttavia a possedere una casetta in città, sul Quirinale, e una in campagna, a Nomento. Nell'80 pubblicò il Liber spectaculorum, 33 epigrammi sui giochi dell'anfiteatro Flavio inaugurato da Tito. L'imperatore gli concedette lo ius trium liberorum (privilegi attribuiti ai padri di tre figli), come pure lo onorò Domiziano. Nell'84 o 85 apparvero due libri di epigrammi (ora il XIII e il XIV della raccolta), dal titolo Xenia e Apophoreta (Doni agli ospiti); altri furono pubblicati negli anni successivi, fino al 96, quando il poeta fece ritorno in patria, in una proprietà che gli fu offerta da una sua ammiratrice di nome Marcella. A Bilbili compose l'ultima raccolta (libro XII) e poco dopo morì.

L'opera

A Roma Marziale fu in rapporti con tutto l'ambiente letterario del tempo (Seneca e Lucano, pure spagnoli, Quintiliano, Silio Italico, Valerio Flacco, Giovenale; è assente dai suoi carmi solo Stazio). Ma, soprattutto, egli fu animato da un'insaziabile curiosità per la vita che lo circondava, e in tale senso Roma gli si offriva come il più grande teatro del mondo. Marziale scrisse in complesso 1561 epigrammi, i più in distici elegiaci, poi in endecasillabi e in giambi. Fra gli argomenti trattati s'inscrive spesso la necessità di adulare i ricchi e i potenti, per averne di che vivere: adulazione che raggiunge il suo colmo negli indirizzi al bieco Domiziano, chiamato “Signore e Dio”. Anche se i risultati stessi, a prova della falsità del sentimento, sono scadenti, questo lato dell'opera di Marziale riesce assai odioso. L'altro discusso aspetto degli epigrammi è la loro dilagante oscenità. Marziale avverte che i suoi versi non sono per stomachi delicati, e si difende dicendo che “se la mia pagina è lasciva, la vita è onesta” (I, 4, 8); pure s'incontrano tra i suoi versi degli eccessi raramente rintracciabili in altri poeti. Maestro dell'epigramma, Marziale ha saputo concentrare in uno spunto fugace istantanee della vita e dei tipi della Roma di allora e di ogni tempo, una galleria di ritratti grotteschi, di situazioni umoristiche o tragiche. Questo della battuta salace e della critica sarcastica è anzi il carattere impresso da Marziale all'epigramma, che nella letteratura greca precedente era piuttosto un indistinto breve carme di varia ispirazione e descrizione, più spesso lirico, funebre o d'amore. Ma accanto a questa vena, che è la più tipica e spesso la più apprezzata del poeta, ne corre un'altra, più profonda e felice: quella della tenerezza, che gli fa scrivere bellissime descrizioni della natura, rimpianti per la patria lontana, affettuosi indirizzi agli amici, epitaffi su fanciulli morti. Per questa loro varia natura, gli epigrammi di Marziale sono un documento insostituibile della Roma imperiale nel suo pieno fulgore e hanno goduto di grande fortuna e di imitazioni in ogni tempo. Sono moderni il suo accento veristico, le sue doti di osservatore, l'inclinazione e la capacità di ispirarsi anche a un mondo corrotto, agli aspetti deteriori della realtà umana; gli manca però così una visione complessiva, ordinata e organica della vita, come la forte coscienza morale che fa il poeta satirico.

Bibliografia

O. Autore, Marziale e l'epigramma greco, Palermo, 1938; L. Pepe, Marziale, Napoli, 1950; G. Pfohl (a cura di), Das Epigram. Zur Geschichte einer inschriftlichen und literarischen Gattung, Darmstadt, 1968; E. Paratore, Poetiche e correnti letterarie nell'antica Roma, Roma, 1970; F. Della Corte, Gli spettacoli di Marziale, Genova, 1985.

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