Medèa (mitologia)

(greco Mḗdeia, latino Medēa). Eroina della mitologia greca: figlia di Eeta, re della Colchide. Dotata di arti magiche, aiuta Giasone a conquistare il vello d'oro, fugge con lui e lo sposa. Quando Giasone la ripudia per sposare un'altra donna (o per altri motivi: ci sono al riguardo numerose varianti), Medea si vendica uccidendo i figli avuti da lui. Nella tradizione letteraria greca Medea è il simbolo del “magico” e dello “straniero” rispetto al cosmo culturale dei Greci. Il mito dell'uccisione dei figli è connesso in Corinto con un rituale d'iniziazione dei giovani: quasi una morte dell'adolescenza come preparazione all'età adulta. Frequente nell'arte antica la raffigurazione di Medea e del suo mito. Nella ceramica, soprattutto dell'Italia meridionale (vasi apuli e campani), e in pitture murali provenienti da Pompei ed Ercolano (Napoli, Museo Archeologico Nazionale) è spesso ritratta nell'atteggiamento meditativo che precede l'infanticidio. Nel rilievo plastico la figura di Medea è abbastanza comune nei sarcofaghi di età romana; nella scultura a tutto tondo è notevole la statua del Museo di Arles. § Medea che, abbandonata da Giasone a Corinto, si vendica uccidendo i figli e dandosi la morte, è stata scelta a protagonista di una serie di tragedie dall'antichità a oggi. Nella Medea di Euripide (431 a. C.), la prima e la più famosa tragedia ispirata al personaggio, è presentata, con risultati di altissima poesia, non tanto come una maga, ma piuttosto come una creatura umiliata e offesa, la cui ritorsione, per quanto mostruosa, non è sufficiente ad alienarle del tutto la simpatia degli spettatori. Alla tragedia di Euripide, che fu anche la più fortunata sui palcoscenici, seguirono Medea di Seneca (sec. I d. C.), dove l'uccisione dei figli, anziché essere raccontata dal coro, avviene sul palcoscenico; Médée (1635) di Corneille; Los encantos de Medea (1650) di Rojas Zorrilla; Medea in Korinth (1786) di F. M. Klinger; Medea (1810) di G. B. Niccolini; Medea (1821; terza parte della trilogia Das goldene Vliess) di F. Grillparzer; Médée (1855) di E. Legouvé; e, in epoca più recente, Medea (1926) di H. H. Jahnn, un adattamento della tragedia di Euripide, Medea (1947) del poeta americano Robinson Jeffers, una pièce noire (Médée, 1946) di Jean Anouilh e due rifacimenti radicali, Asie (1931) di H. R. Lenormand e Lunga notte di Medea (1949) di Corrado Alvaro, oltre a una Medea postbellica (1947) di F. Th. Csokor. Per il cinema va ricordata una Medea diretta da Pasolini nell'interpretazione di Maria Callas (1970). Tra le varie elaborazioni musicali si ricordano l'opera Médée (1693) di M. A. Charpentier, su libretto tratto dalla tragedia di Corneille, e Médée et Jason (1713) di Salomon, la cantata Médée di J. Ph. Rameau (1683-1764), l'opera Médée à Colchos di J. Ch. Vogel (1756-1788), il melologo Medea und Jason (1775) di G. Benda, il melodramma Medea in Corinto (1813) di G. S. Mayr, le opere Medea (1778) di J. G. Naumann, Medea und Jason (1789) di Peter von Winter, Medea (1843) di G. Pacini, Medea (1906) di V. Tommasini, Médée (1939) di D. Milhaud. Una nota particolare va riservata all'opera in 3 atti di Cherubini, su libretto di F. B. Hoffmann, rappresentata al Théâtre Feydeau di Parigi il 13 marzo 1797. Nonostante la modestia del libretto e i limiti imposti dalle convenzioni del teatro Feydeau, dove non erano ammessi recitativi cantati ma solo parti dialogate (i recitativi attualmente eseguiti sono opera di F. Lachner, che nel 1854 musicò i dialogati), l'opera rappresenta un momento fondamentale nella storia della musica teatrale: sviluppando in direzione neoclassica le premesse gluckiane, Cherubini raggiunge un'unitarietà drammatica e un'intensità sinfonica che preludono ai vertici beethoveniani.

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