Mirra (tragedia)

Dalle Metamorfosi di Ovidio, nelle quali il mito è largamente trattato, V. Alfieri ha desunto l'argomento per l'omonima tragedia in cinque atti pubblicata nel 1789. Interamente alfieriano è però il personaggio di Mirra, una fanciulla pura e gentile, che tenta invano di reprimere l'amore incestuoso per il padre Ciniro, infuso in lei da Venere, gelosa della sua bellezza. Il dramma esplode quando Mirra, desiderosa di liberarsi dalla sua orrenda passione, è in procinto di sposare il giovane Pereo: al momento del rito, la fanciulla improvvisamente si ribella e invoca la morte, provocando l'allontanamento di Pereo, che si uccide. Quando Ciniro, adirato, la costringe a rivelare il suo terribile segreto, Mirra si trafigge, illudendosi di celare almeno alla madre la sua colpa, ma invano: prima di morire, ella fa in tempo a udire gli inorriditi commenti dei genitori, che rendono inutile il suo suicidio. Nell'incontro dell'innocenza di Mirra con la più scellerata passione umana il pessimismo alfieriano si rivela nella sua forma più angosciosa e più profonda. Recitata anche quando Alfieri era ancora in vita, la tragedia godette di molta fortuna nel sec. XIX per merito di grandi interpreti come Adelaide Ristori e Carlotta Marchionni, ma anche di altre attrici come A. Robotti, G. Aliprandi, G. Pezzana, ecc. Nel XX secolo è stata interpretata da A. Proclemer nel 1949 con la regia di O. Costa.

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