Nèvio, Gnèo

(latino Gnaeus Naevíus), poeta latino (ca. 270-ca. 200 a. C.). Nato in Campania, forse a Capua, ottenne la cittadinanza romana e partecipò alla I guerra punica. Come Livio Andronico, Nevio portò sulle scene latine tragedie tratte da argomenti greci (Aesiona, Danae, Equos Troianus, Hector proficiscens, Iphigenia, Lycurgus), ma anche da argomenti romani (fabulae praetextae) col Romulus e il Clastidium. La sua popolarità come autore di teatro fu comunque soprattutto affidata alle commedie, di argomento greco (palliatae), e latino (togatae), come Tarentilla e Corollaria, nelle quali esercitò la sua satira sociale, rifacendosi non tanto al teatro alessandrino quanto alla tradizione romana popolare della satira e dei fescennini. Violenti furono i suoi attacchi alla nobile famiglia dei Metelli che lo fece imprigionare, poi esiliare a Ustica. La polemica è documentata da due celebri frammenti: Fato Metelli Romae fiunt consules (Per disgrazia di Roma i Metelli diventano consoli) dove Nevio giocava sul doppio significato di fatum (destino ma anche disgrazia) e la risposta dei Metelli Dabunt malum Metelli Naevio poetae (I Metelli provocheranno guai al poeta Nevio). Di tutta la produzione teatrale di Nevio non si hanno che frammenti e titoli. Nell'ultima parte della sua vita il poeta si dedicò alla composizione di un poema in saturni, il Bellum Poenicum, col quale inaugurò l'epica nazionale. In esso Nevio, negli anni in cui Roma combatteva la II guerra punica, cantò, sulla base dei suoi ricordi personali, la prima, ricollegando le vicende presenti alle origini troiane di Roma. Il poema, scritto in forma di carme continuo, più tardi diviso in sette libri, doveva constare di ca. 5000 versi, di cui a noi sono giunti una cinquantina di frammenti. Grande fu l'influenza del poema su Ennio e più tardi su Virgilio, che ne ammirarono il respiro grandioso e l'arcaica ma suggestiva rudezza.

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