Sadoveănu, Mihail

romanziere romeno (Pascani 1880-Bucarest 1961). Compiuti gli studi liceali a Iasi, passò nel 1897 a Bucarest, per studiarvi diritto secondo la tradizione di famiglia. Redattore e collaboratore della rivista Semănătorul (Il seminatore), si presentò al pubblico nel 1904 con quattro volumi: Racconti, Dolori soffocati, L'osteria del vecchio Precu, I falchi. Nel 1906 iniziò a collaborare a Viata românească (Vita romena) e nel 1909 si staccò dal Semănătorul. Costituitasi la Società degli Autori, ne venne eletto vicepresidente. Dal 1910 al 1919 fu direttore del Teatro Nazionale di Iasi. Nel 1920 fu accolto fra i membri dell'Accademia. Nel 1936-38, alla direzione di giornali come La verità e Il mattino, pubblicò articoli di opposizione al fascismo, provocando una campagna di stampa che si concluse con il rogo dei suoi libri sulle pubbliche piazze. Instauratasi la Repubblica popolare, venne eletto deputato e membro del Presidio della Grande Adunanza Nazionale. Ha avuto il premio Lenin per la pace. Come scrittore, Sadoveănu ha dominato per mezzo secolo l'orizzonte della prosa romena, lasciando un'opera monumentale, unitaria pur nella ricca varietà dei suoi aspetti. L'attitudine contemplativa, che fa di lui un grande lirico, gli ha consentito di evocare il paesaggio romeno in opere come Il paese al di là delle nebbie (1926) e Presso il regno delle acque (1928). Fra i suoi scritti, La locanda di Ancutza (1928) e La scure (1930), sono stati particolarmente apprezzati all'estero. Gli ultimi racconti di Sadoveănu, influenzati dall'ideologia socialista, sono artisticamente deboli mentre nel romanzo Nicola ferro di cavallo (1952), elaborazione dello scritto giovanile I falchi (1904), l'autore ha raggiunto la misura del capolavoro. Egli fa rivivere le virtù eroiche del suo popolo, di cui ricerca le tracce non solo nelle ballate e nelle cronache, ma nei miti della preistoria, come per esempio nel romanzo Il ramo d'oro (1933). Il legame che idealmente unisce l'epica narrativa di questo scrittore – da I falchi al Il mulino alla deriva (1923) fino alla grande trilogia I fratelli Jderi (1935-42), ambientata nell'epoca di Stefano il Grande – è l'aspirazione a penetrare l'anima profonda della sua gente e a spiegarne la drammatica storia. Sadoveănu è stato attratto anche dal mondo delle piccole città di provincia, e ha descritto l'esistenza alienata degli sradicati, la degradante vita della caserma e del carcere. Ostili alla civiltà del capitale e della macchina, i suoi eroi, che sempre nella natura hanno trovato una corrispondenza affettiva, spesso si sono rifugiati in essa, sino a identificarsi con le forze elementari: di qui l'accusa di naturalismo e di primitivismo che è stata mossa a Sadoveănu.

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