Tèrmino

(anche Tèrmine; latino Termínus). Dio romano personificante la definizione dei termini spaziali e temporali: era il dio che traeva il nome dalla “pietra confinaria” (terminus) e dava il nome all'ultimo giorno dell'anno del calendario arcaico. Termino rappresentava per i Romani la stabilità cosmica – si potrebbe dire la stessa stabilità della pietra rispetto alle specie viventi – posta tuttavia non come una realtà assoluta (statica), bensì come elemento dialettico per l'espressione di una realtà in fieri (dinamica), non contenibile da alcun “confine” ma “infinita” o aperta a ogni possibilità: il tipo di realtà presupposto dalla cultura romana e che è certamente a fondamento dell'espansionismo di Roma. Da ciò deriva la scarsa importanza di un dio quale Termino (in funzione del “terminare”), rispetto a uno degli dei più importanti del culto pubblico, Giano, connesso con la funzione opposta (quella dell'“iniziare”). Di fatto l'azione “iniziante” di Giano non è moderata dall'azione “terminante” di Termino, bensì dall'azione “ordinante” di Giove, il sovrano degli dei. Nella contrapposizione a Giano, Giove sembra subentrare a Termino, così come, per la tradizione, il tempio di Giove sul Campidoglio è subentrato a un preesistente santuario di Termino. E, d'altra parte, Termino diventa talvolta un epiteto dello stesso Giove (Iupiter Terminus), a significare che la “definizione” del mondo per i Romani non poteva configurarsi come una “limitazione”; poteva invece essere intesa come un “ordinamento” realizzabile nella storia sia pure in conformità della volontà di Giove. Così si spiega la scarsa importanza di Termino nel culto pubblico. Non altrettanto accadeva nel culto privato, dove si riconosceva a Termino la funzione di difendere la proprietà terriera, mediante la presenza di confini inamovibili.

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