Tardìgradi

sm. pl. [sec. XIX; da tardigrado]. Phylum (Tardigrada), le cui specie sono di dimensioni minime, tanto da dovere essere osservate con l'ausilio di un microscopio (non superano per lo più il mezzo millimetro). Vivono negli ambienti più diversi, in particolare tra i muschi, nell'humus, sulle rocce, tra i licheni, tra il materiale di fondo dei litorali marini e lacustri. Muniti di quattro paia di arti non articolati, che terminano con degli uncini (il solo genere Hexapodihius ne ha appena tre), hanno il corpo cilindrico rivestito da una cuticola spesso ornata di granulazioni, spine, placche. La loro bocca è seguita da un tubo in cui operano due stiletti chitinosi e quindi da una faringe abbondantemente fornita di fibre muscolari disposte radialmente, nonché di ghiandole salivari; seguono esofago e stomaco. I Tardigradi si nutrono per lo più di succhi estratti dai vegetali, che vengono punti dai due stiletti chitinosi. I sessi sono separati e la riproduzione avviene per mezzo di uova; i maschi, assai più rari delle femmine, sono sconosciuti per molte specie. Interessante è il fenomeno dell'anabiosi, per cui, in caso di disseccamento dell'ambiente in cui vivono, i Tardigradi si contraggono perdendo a loro volta grandi quantità di acqua, rimanendo in uno stato di vita latente per tempi anche molto lunghi. Il nome Tardigradi è stato dato a questo gruppo nel 1776 da Spallanzani in riferimento al lento incedere di questi animali. Da notare come in svariate lingue europee i Tardigradi vengono chiamati orsi d'acqua. Comprendono gli ordini: Eterotardigradi, Mesotardigradi, Eutardigradi.

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