Timèo

(greco Tímaios). Titolo di un dialogo di Platone, appartenente all'ultimo gruppo di opere, in cui il filosofo fa coraggiosamente la sua autocritica: sul problema della natura. Platone contrappone alla spiegazione meccanicistica dei fisici democritei un'ipotesi matematico-finalistica, nella quale trovano rilievo la dottrina pitagorica di un'anima del mondo con adeguate analogie fra macrocosmo e microcosmo; la convinzione che l'ordine della natura sia antecedente alla natura stessa e che i fenomeni procedano dai principi naturali e non questi dai fenomeni. Data la “materialità” dell'oggetto trattato, Platone tenta di conferire al concetto di natura un certo grado di verità e di certezza presupponendo in essa un'immanenza almeno parziale dell'essere assoluto, riducendo i numerosi fenomeni ai quattro elementi di Empedocle, e questi ancora restringendo a poche essenziali figure geometriche, concepite come rappresentazioni di numeri, che sarebbero alla radice della realtà. Il tutto chiuso in forme letterarie smaglianti, che per troppo tempo ancoreranno la ricerca posteriore alla “tentazione metafisica” della scienza: solo le lotte dei sec. XVI e XVII riusciranno a farla superare e a dare la vittoria finale alla tesi di Democrito.

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