Lessico

sm. [sec. XIX; dal francese accumulateur].

1) Apparecchio che accumula energia e la dispensa in buona parte, secondo i bisogni. A seconda della natura e del modo di accumulo dell'energia si distinguono: A) accumulatori elettrici, generatori elettrochimici secondari (detti anche pile chimiche secondarie) capaci di assorbire energia elettrica in un periodo detto di “carica” e di erogarla in un periodo detto di “scarica”; B) accumulatori idraulici, in grado di accumulare liquido sotto pressione che viene utilizzato al momento opportuno per azionare macchine e dispositivi a fluido a funzionamento intermittente; C) accumulatori termici o di calore, atti a conservare energia termica e a erogarla a richiesta di un altro dispositivo o di un utente.

2) Accumulatori di salamoia, apparecchiature atte a mantenere basse temperature per lungo tempo e utilizzate in alcuni impianti per la produzione del ghiaccio. Constano di una vasca contenente salamoia, che ha il potere di sottrarre calore all'ambiente, nella quale è posto il vaporizzatore della macchina frigorigena e in cui vengono immersi, per raffreddarli, gli stampi per il ghiaccio.

3) In elettronica, dispositivo di calcolatore destinato alla memorizzazione cumulativa di quantità. Strutturalmente è costituito da un registro che, ogni volta che riceve una quantità, la somma a quella già contenuta e memorizza il risultato.

Accumulatori elettrici: generalità

Costituiscono una sorgente di energia indipendente, impiegabile senza vincoli di allacciamento alla rete pubblica . In relazione alle funzioni esplicate gli accumulatori possono essere classificati in: A) accumulatori per avviamento, destinati a servizi combinati di avviamento e accensione dei motori a combustione interna, illuminazione e servizi vari su autoveicoli; B) accumulatori stazionari, per installazioni fisse (servizi ausiliari di centrali elettriche e telefoniche, impianti di emergenza in locali pubblici, alimentazione di impianti elettrici di abitazioni prive di allacciamento alla rete); C) accumulatori per trazione, destinati alla propulsione di veicoli con motore elettrico e di sommergibili, trasporto e sollevamento materiali negli stabilimenti, cantieri, magazzini, scali ferroviari. Un accumulatore, per poter essere di uso pratico, deve assolvere a una serie di requisiti, come quello di poter sopportare la carica e la scarica per un gran numero di volte, di fornire una tensione e un rendimento di energia per unità di peso dell'accumulatore elevati, ecc. Gli accumulatori che meglio rispondono alle esigenze pratiche sono quelli alcalini e quelli al piombo.

Accumulatori elettrici: costituzione

Indipendentemente dal tipo, ogni accumulatore costituisce un elemento (fondamentalmente formato da due elettrodi, positivo e negativo, immersi in un elettrolito). L'insieme di più elementi aventi uguali caratteristiche costituisce una batteria. Il collegamento degli elementi può essere effettuato in serie (per disporre fra i poli estremi di una tensione somma di quella dei singoli elementi), oppure in parallelo (per avere una capacità somma delle capacità dei singoli elementi). Gli elettrodi sono di solito costituiti da piastre dove su un supporto conduttore è contenuta la materia attiva (parte che partecipa alle reazioni elettrochimiche di carica e scarica). Per evitare che piastre di polarità opposta vengano a contatto, si interpongono fra di esse dei separatori in materiale sintetico poroso che consente il passaggio di ioni ma impedisce la conduzione diretta. Piastre ed elettrolito sono contenuti in recipienti che devono resistere alle sollecitazioni meccaniche e all'azione chimica dell'elettrolito. I materiali maggiormente impiegati sono ebanite e polipropilene per gli accumulatori per avviamento e trazione; vetro o polistirolo antiurto per gli accumulatori stazionari; materiali termoplastici per gli accumulatori portatili. Gli accumulatori sono caratterizzati da alcune grandezze che ne definiscono le prestazioni: A) tensione nominale, tensione fornita da un elemento a circuito aperto e a bassa erogazione all'inizio della scarica (convenzionalmente uguale a 2 V per gli accumulatori al piombo, è compresa fra 1,20 e 1,33 V per gli accumulatori alcalini); B) tensione finale di scarica, tensione massima alla quale per ragioni tecniche ed economiche conviene arrestare la scarica; C) capacità, quantità di elettricità, misurata in amperora, che può essere ottenuta a un determinato regime di scarica e a una tensione stabilita; D) capacità specifica, definita dagli amperora ottenibili per ogni chilogrammo, o decimetro cubo, dell'accumulatore; E) rendimento, valutabile in rapporti tra quantità di energia o tra quantità di carica; in entrambi i casi è dato dal rapporto fra la grandezza ottenibile alla scarica e quella assorbita nel corso della carica. I rendimenti si definiscono in determinate condizioni di temperatura e di peso specifico dell'elettrolito; F) durata (vita), definita dal numero dei cicli di carica e di scarica che l'accumulatore può sopportare in determinate condizioni fissate dal costruttore.

Accumulatori elettrici: carica e scarica

La carica si effettua esclusivamente in corrente continua (con dinamo o raddrizzatori di corrente alternata); deve essere eseguita regolarmente e con opportune modalità onde mantenere in efficienza gli accumulatori. La carica in “tampone” consiste nel mantenere l'accumulatore costantemente allacciato al circuito di carica (esempi tipici: impianti telefonici e di emergenza). Anche la scarica deve effettuarsi a determinati regimi: si usa indicare la durata della scarica o l'intensità della corrente dividendo per uno dei due fattori la capacità nominale in amperora a quel dato regime (per esempio, se la capacità di un accumulatore al regime di 10 h è di 100 Ah, il regime di scarica è di 10 A) . Si definisce autoscarica il fenomeno che dà luogo a una perdita di carica a circuito aperto; in una batteria al piombo non deve superare l'1% al giorno: ciò significa che l'accumulatore, pur rimanendo inattivo, si potrebbe scaricare completamente dopo circa tre mesi.

Accumulatori alcalini

Così denominati per la natura dell'elettrolito, generalmente costituito da una soluzione di idrossido di potassio. Le complesse tecnologie costruttive e l'impiego di materiali pregiati ne elevano notevolmente il costo rispetto agli accumulatori al piombo. Sono impiegati dove prevalgono considerazioni di robustezza e durata, o dove siano da evitare esalazioni acide. Gli elettrodi possono essere: nichel-ferro (Edison 1905); nichel-cadmio (Jungner 1909); nichel-ferro-cadmio (il più usato). In ogni caso le materie attive sono idrossidi di nichel per la piastra positiva; idrossidi di cadmio e di ferro per quella negativa. Si hanno, inoltre, i seguenti tipi: a zinco-argento (André 1942), con capacità specifiche da 4 a 5 volte superiori rispetto agli accumulatori al piombo, ma poco reversibili per la facile solubilità degli elettrodi; a cadmio-argento, caratterizzati da una reversibilità soddisfacente, pur fornendo una tensione inferiore a quella del tipo precedente. Gli elevati costi ne limitano l'impiego. Dal punto di vista costruttivo gli accumulatori alcalini sono realizzati in diverse forme, spesso con ridotte dimensioni di ingombro: caratteristica la forma a bottone utilizzata in protesi auditive, orologi da polso, radio ricetrasmittenti miniaturizzate. Accumulatori nichel-cadmio, il più diffuso tra quelli alcalini, è caratterizzato da una lunga vita, dalla costanza della tensione di scarica e dalla possibilità di operare efficacemente anche a basse temperature. D'altra parte il cadmio è costoso e molto tossico. Tuttavia, la lunga vita operativa, l'affidabilità e l'agevole manutenzione rendono al momento l'accumulatore nichel-cadmio l'ovvia se non l'unica scelta per una serie di applicazioni che vanno dai sistemi di illuminazione di emergenza, ai servizi telefonici, all'accumulo localizzato in zone remote, fino all'alimentazione di una vasta gamma di strumentazione portatile di largo consumo commerciale, quale televisori, rasoi, telefoni, radio, utensili, e così via. Inoltre, le buone prestazioni a bassa temperatura favoriscono l'uso di questo tipo di accumulatori in aeronautica e nei satelliti spaziali. Quando l'accumulatore nichel-cadmio è carico, la materia attiva è costituita da idrossido di nichel idrato (NiO(OH)) per l'elettrodo positivo e cadmio (Cd) per l'elettrodo negativo. L'elettrolita è una soluzione acquosa di idrossido di potassio. Il processo di scarica prevede la riduzione dell'idrossido di nichel:

e l'ossidazione del cadmio:

L'accumulatore nichel-cadmio è prodotto in due versioni, una ventilata e l'altra sigillata. Quest'ultima, la più diffusa, è realizzata in una molteplicità di dimensioni, da quella a bottone a quella cilindrica. La struttura prevede un insieme elettrodico radiale e speciali separatori di materiale plastico in grado di permettere la rapida diffusione e ricombinazione dei gas originati durante i processi elettrochimici. Accumulatori a liquido assorbito, sono accumulatori nei quali l'elettrolito è assorbito da speciali sostanze solide porose con costituzione microcellulare. Questi tipi non richiedono manutenzione, ma hanno durata limitata.

Accumulatori al piombo

Sono attualmente quelli di impiego più comune. Ideati nel 1859 dal francese Gaston Planté, furono perfezionati dal suo assistente Émile Faure nel 1881. Sono sostanzialmente costituiti da due elettrodi di piombo immersi in una soluzione acquosa contenente acido solforico (H₂SO4). Quando l'accumulatore è carico, la materia attiva è costituita da biossido di piombo (PbO₂) per l'elettrodo positivo, e piombo spugnoso (Pb) per l'elettrodo negativo. Se le due griglie vengono collegate mediante un circuito esterno, sull'una il biossido di piombo passa per opera dell'acido solforico dell'elettrolito a solfato di piombo bivalente, ossia il piombo passa da tetravalente a bivalente, assorbendo due elettroni:

tali elettroni vengono ceduti dal piombo dell'altra griglia che a sua volta passa a solfato di piombo, e cioè dalla valenza zero alla valenza due:

Si ha così, lungo il circuito esterno, un flusso di elettroni e cioè il passaggio di una corrente elettrica. Quando l'accumulatore viene caricato si producono, per opera della corrente fornitagli, i fenomeni inversi a quelli ora descritti: sulla griglia al biossido di piombo, il solfato di piombo che si è formato si decompone in biossido e acido solforico, mentre sull'altra esso si decompone in piombo metallico e acido solforico. Il contenuto in acido solforico dell'elettrolito, che si può misurare assai semplicemente mediante un densimetro, fornisce una misura del grado di carica dell'accumulatore elettrico. Nel periodo finale della ricarica (densità circa 1,28 kg/dm3) si formano sulla superficie delle piastre delle bollicine di gas: si dice allora che l'accumulatore entra in ebollizione e ciò indica che la carica non può procedere oltre. La formazione del radicale acido SO4 è il fenomeno che sta alla base dell'accumulatore al piombo; se la carica è insufficiente si può formare solfato senza che esso si ritrasformi completamente: si dice che è avvenuta una solfatazione anormale, o semplicemente solfatazione. Essa può danneggiare irreparabilmente l'accumulatore. Anche un eccesso di carica è dannoso: decompone l'acqua dell'elettrolito (sono richiesti frequenti rabbocchi con acqua depurata per ristabilire il livello); danneggia i separatori (pericolo di corto circuito fra le piastre); riscalda l'accumulatore, compromettendo l'integrità dei componenti interni e deformando i recipienti. La quantità di elettricità accumulabile è proporzionale alla quantità di materie attive (PbO₂/Pb). La resistenza interna è inversamente proporzionale alle superfici delle piastre: ne consegue l'opportunità che le piastre siano di grande superficie.

Accumulatori non al piombo

Accumulatori avanzati di tipo diverso da quelli al piombo sono oggetto di ricerca per quanto riguarda l'autotrazione elettrica: questi accumulatori (al nichel-ferro, nichel-zinco, zinco-cloro, sodio-zolfo e litio-solfuro di ferro e altri) hanno caratteristiche di potenza e di energia per unità di peso nonché di vita utile da due a cinque volte i valori dell'accumulatore al piombo. Buone prospettive sembra offrire l'accumulatore zinco-aria a ricarica meccanica: si tratta di un accumulatore in cui l'elettrodo positivo è formato da due fogli di materiale conduttore mentre l'elettrodo negativo (zinco metallico) è immerso in una soluzione di idrossido di potassio. La ricarica dell'accumulatore zinco-aria, per la cui attivazione occorre ossigeno prelevato dall'aria, avviene "rigenerando" in pochi minuti l'elettrodo di zinco con una trasformazione che libera nuovamente l'ossigeno nell'aria. Il ciclo funziona senza emissioni inquinanti. Un'altra novità è rappresentata dall'accumulatore al magnesio: brevettato nel 1999, il procedimento, che utilizza magnesio metallico per la formazione di elettrodi ed elettrolita polimerico "drogato" con sali di magnesio per la conduzione elettrica, consente la realizzazione di batterie primarie (non ricaricabili) e secondarie (ricaricabili). La novità sta proprio nell'impiego del magnesio come ione elettrochimicamente attivo, un procedimento che risolve quasi la totalità dei problemi di reversibilità e reattività, superando di gran lunga i sistemi a base di litio, considerati i più promettenti. Negli ultimi anni sono stati realizzati sostanziali miglioramenti nella costruzione degli accumulatori al piombo, con la produzione di accumulatori cosiddetti senza manutenzione per i quali non è più necessario il rabbocco con acqua distillata durante il servizio operativo. Questa importante modifica è stata ottenuta variando la composizione degli additivi all'elettrodo di piombo (per inibire la formazione dei gas durante la carica) e variando la costruzione dell'intero sistema (per promuovere la ricombinazione dei gas residui).

Accumulatori avanzati

È in corso di sviluppo la produzione di accumulatori avanzati, vale a dire di sistemi elettrochimici di accumulo con contenuti energetici molto superiori a quelli attuali. Questi accumulatori sono destinati in prospettiva a importanti applicazioni nel settore del risparmio, del rinnovamento dell'energia e in quello del controllo ambientale (livellamento del carico in centrale, veicolo elettrico a lunga percorrenza, accumulo di fonti discontinue). Il sistema che più si avvicina alla realizzazione su scala industriale è l'accumulatore sodio-zolfo, essenzialmente costituito da due elettrodi liquidi, il sodio negativo e lo zolfo positivo. Il sodio è generalmente contenuto all'interno di un tubo di materiale ceramico (β-allumina) che svolge anche la funzione di separatore elettrolitico in quanto caratterizzato da trasporto ionico per sodio. Lo zolfo è inglobato in un feltro di grafite, avvolto intorno alla parete esterna del tubo ceramico. Il processo di scarica prevede l'ossidazione del sodio metallico a ioni sodio:

i quali migrano attraverso il tubo per raggiungere lo zolfo per poi promuovere la sua riduzione con la formazione di polisolfuri di diversa natura:

Le temperature di operazione sono comprese tra i 300 ºC e i 400 ºC dove la resistenza del tubo elettrolitico è bassa. Sotto queste condizioni si ottengono tensioni operative di circa 2 V e valori di energia specifica di circa 100 Wh kg-1 (contro i 30 Wh kg-1 dell'accumulatore al piombo). I problemi che ancora impediscono lo sviluppo su larga scala dell'accumulatore sodio-zolfo sono l'elevata temperatura di operazione, la fragilità dei tubi ceramici, la tenuta dei sistemi di isolamento e la reattività dei componenti elettrodici. Altri sistemi in fase promettente di sviluppo sono gli accumulatori al litio. L'interesse in questi sistemi risiede essenzialmente nel fatto che il litio unisce a un potenziale termodinamico favorevole (circa 3,0 V rispetto all'idrogeno) una capacità specifica molto elevata (3,86 Ahg-1, 7,23 Ah cm-3). Dato l'alto valore del suo potenziale, il litio reagisce violentemente con l'acqua e pertanto i relativi accumulatori devono utilizzare elettroliti non acquosi e devono essere prodotti in camere secche con un contenuto in umidità mantenuto al di sotto del 2%. Tra gli elettroliti più comuni figurano le soluzioni di sali di litio (per esempio LiClO4 o LiAsF6) in solventi organici aprotici (per esempio carbonato di propilene, 2-metil-tetraido-furano o miscele di varia natura). Con questo tipo di elettroliti sono stati realizzati accumulatori con tensioni operative intorno ai 3 V e densità di energia vicine ai 120 Wh kg-1. In alternativa all'elettrolita liquido non acquoso è stato recentemente proposto l'uso di membrane polimeriche per la realizzazione di accumulatori al litio a strato sottile con caratteristiche di plasticità e flessibilità unite a un alto contenuto energetico. Lo sviluppo degli accumulatori al litio è al momento limitato a prototipi sperimentali per valutarne l'affidabilità, la durata e la ciclabilità. La ricerca successiva sugli accumulatori al litio ha portato allo sviluppo di elettroliti solidi, con cui sostituire quelli liquidi che presentano numerosi problemi (corrosione e procedimenti più complessi per l'assemblaggio dell'accumulatore). Si tratta di polimeri costituiti da catene di molecole di O, N, S, che presentano il vantaggio della semplicità di assemblaggio e consentono di ottenere “moduli” molto sottili da abbinare a piacere per raggiungere il voltaggio e l'amperaggio desiderati. Tali accumulatori a elettrolita solido hanno anche il vantaggio di funzionare a temperature comprese tra -40 e +80 °C e hanno una vita media di dieci anni, risultando quindi particolarmente vantaggiosi per alimentare un'automobile elettrica. In questi accumulatori il metallo alcalino è il litio (Li) e il materiale del catodo è un ossido, in genere di vanadio. La reazione elettrochimica complessiva è la seguente: + + x e- + V6O13 → LiV6O13 + energia. Possono avere un'energia specifica di circa 100 Wh/kg, rispetto ai 35-50 Wh/kg degli attuali accumulatori al piombo usati comunemente nelle automobili. Tanto per fare un paragone, ricordiamo che la benzina ha un'energia specifica di circa 10.000 Wh/kg e l'idrogeno, utilizzato come combustibile, di 40.000 Wh/kg.

Accumulatori all’idruro di nichel-metallo

Questi accumulatori si stanno diffondendo sia negli usi legati all'elettronica di consumo (telefoni cellulari, videocamere, ecc.) sia nella sperimentazione di sistemi per automobili elettriche. Utilizzano una lega non cristallina di metalli, fra cui Zr, V, Cr, Ti e Ni, i cui atomi sono quindi collocati in maniera irregolare gli uni rispetto agli altri. Hanno un'energia specifica di 70-100 Wh/kg, attualmente risultano molto più costosi di altri accumulatori (per cui il loro impiego è limitato in applicazioni di elettronica di consumo), ma hanno il vantaggio, rispetto agli accumulatori al nichel-cadmio o al piombo, di non presentare il cosiddetto “effetto memoria”, in base al quale se un accumulatore viene ricaricato quando non è completamente scarico potrà rilasciare soltanto una frazione dell'energia accumulata. Inoltre, sopportano un ciclo doppio di carica-scarica prima di entrare fuori uso: mediamente di 700-900 cicli (pari a due-tre anni per le batterie dei telefoni cellulari) rispetto ai 200-400 cicli per gli accumulatori al NiCd. Anche il tempo di ricarica è sensibilmente ridotto, poiché si raggiunge il 60% della carica completa in 15 minuti.

Accumulatori idraulici

Sono utilizzati per azionare apparecchi di sollevamento, presse, torchi, martinetti, scambi, segnali e in generale macchine e apparecchi utilizzanti fluidi in pressione. La pressione d'esercizio del fluido viene mantenuta o mediante pesi, negli accumulatori a pesi, o mediante la spinta esercitata da un gas, negli accumulatori idropneumatici: i primi constano di un cilindro contenente il liquido in pressione, nel quale scorre uno stantuffo, spinto da una pompa, che viene caricato con appositi pesi; i secondi sono costituiti da una o più bombole contenenti il gas (aria, azoto, anidride carbonica) sotto la pressione richiesta, collegate a una pompa. Il liquido di esercizio viene inviato nella bombola dalla pompa che è comandata automaticamente dalla pressione del gas; in tal modo la pressione del liquido rimane sempre costante. Gli accumulatori idropneumatici ad alta pressione hanno, all'interno delle bombole, uno stantuffo che regola la pressione e la distribuzione del liquido agli utilizzatori.

Accumulatori termici: generalità

Si basano sul fatto che il calore è l'unica forma di energia immagazzinabile anche in grandi quantitativi e per un periodo di tempo che è in rapporto diretto all'isolamento termico del dispositivo nel quale viene accumulato. Le sostanze atte a conservare il calore sono molte, fra queste quelle di uso pratico sono il vapore, l'acqua, la più usata per il suo basso costo, alcune soluzioni saline come il sale di Glauber (solfato sodico) e vari materiali solidi (ghiaia, sabbia, mattoni refrattari, graniglia metallica, basalto, silicato di magnesio, allumina, ecc.). Gli accumulatori di calore si distinguono in accumulatori per uso industriale, generalmente utilizzanti vapore, e accumulatori per usi vari, utilizzanti acqua e materiali solidi.

Accumulatori termici per uso industriale

Gli accumulatori per uso industriale sono usati negli impianti di produzione di energia termica al fine di costituire una riserva costante di vapore utilizzabile nei momenti di punta, cioè di massima richiesta dell'impianto stesso. Possono essere: A) accumulatori a bassa pressione, costituiti da un serbatoio termicamente isolato, atti ad accumulare il vapore non utilizzabile di caldaie o di generatori di vapore e a restituirlo al momento del bisogno. L'immissione e l'erogazione del vapore nel e dall'accumulatore sono comandate da una valvola, situata nella tubazione di allacciamento, il cui funzionamento è regolato dalle variazioni di esercizio dell'impianto di produzione del vapore; B) accumulatori a pressione costante, costituiti da un serbatoio collegato alla caldaia generatrice di vapore, atti ad accumulare l'acqua calda prodotta dal vapore in eccesso proveniente dalla caldaia: poiché nella caldaia e nell'accumulatore la pressione è uguale, al momento di carenza di vapore nella caldaia l'acqua calda rifluisce sotto forma di vapore dall'accumulatore nella caldaia stessa; C) accumulatori a caduta di pressione o di Ruths, costituiti da un serbatoio collegato al generatore di vapore; l'accumulatore è pieno per tre quarti di acqua nella quale viene fatto circolare il vapore che, condensandosi, fa aumentare la temperatura e la pressione dell'acqua stessa. L'accumulatore è collegato agli apparecchi utilizzatori (per esempio, turbine) per cui, quando questi entrano in funzione, provocano un abbassamento (caduta) di pressione; ciò causa il surriscaldamento dell'acqua dell'accumulatore e la conseguente produzione di vapore. Due valvole poste rispettivamente nei condotti d'immissione e di erogazione del vapore regolano lo scarico e il carico dell'accumulatore: l'accumulatore viene ricaricato dal vapore proveniente dalla caldaia quando la pressione a valle (nel condotto di immissione) diventa inferiore rispetto a quella a monte (nel condotto di erogazione).

Accumulatori termici per usi vari

Gli accumulatori per usi vari sono impiegati nei grandi impianti di riscaldamento e per la distribuzione di acqua calda o di vapore a privati: fra questi ultimi possono essere considerati anche gli scaldaacqua domestici. Negli accumulatori degli impianti di riscaldamento il calore viene accumulato da materiali solidi posti entro appositi radiatori termicamente isolati; il materiale è surriscaldato mediante energia elettrica; il calore accumulato viene ceduto a un fluido (acqua, vapore, aria) circolante nei condotti dell'impianto. Gli accumulatori di acqua calda e caldissima possono essere a bassa pressione (o a scarico) o ad alta pressione: l'acqua nei primi viene accumulata in apposito serbatoio, nei secondi circola sotto pressione entro una tubazione generalmente a serpentina; il riscaldamento dell'acqua viene effettuato dal calore prodotto da un combustibile (solido, liquido, gassoso) o da un resistore.

Bibliografia

C. H. Carr, Criterio di scelta degli accumulatori, in “Elettrificazione”, n. 12, 1969; G. Clerici, Gli accumulatori elettrici, Milano, 1985; H. Meister, Elementi di elettrotecnica, Milano, 1987; G. Biasutti, Elettricità industriale, Milano, 1988.

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