Lessico

agg. e sm. [sec. XIX; dal latino aggressus, pp. di aggrĕdi, aggredire].

1) Agg., che aggredisce, che tende ad aggredire: politica aggressiva. Fig., battagliero, violento; provocante: carattere aggressivo; “una bellezza sfiorita ma ancora aggressiva” (Fracchia).

2) Sm., sostanza usata come strumento bellico di offesa.

Aggressivi chimici: generalità

Sostanze chimiche, altamente tossiche, atte a distruggere o inabilitare individui, in particolare forze nemiche, e a rendere temporaneamente inabitabili aree abbastanza estese. Oltre l'elevata tossicità, gli aggressivi chimici devono possedere alcune caratteristiche essenziali per l'impiego bellico, quali una sufficiente persistenza, un'elevata insidiosità di azione e possibilmente una difficile rivelabilità e una problematica protezione da parte degli attaccati. È evidente che una scarsa persistenza rende praticamente impossibile il raggiungimento di concentrazioni campali utili: alcune sostanze, quali l'ossido di carbonio e l'acido cianidrico, sono state da tempo abbandonate per questo motivo, essendo gas molto fugaci. Gli aggressivi chimici si classificano in base al loro principale tipo di azione. A parte gli aggressivi chimici irritanti, tuttora validi per azioni di disturbo e usati per operazioni di polizia, gli unici aggressivi chimici attualmente considerati di interesse bellico sono i nervini o anticolinesterasici, i quali, oltre a essere dotati in massimo grado delle caratteristiche enunciate, sono facilmente diffusibili, molto stabili e hanno un periodo di latenza assai breve. Riguardo al meccanismo di azione gli aggressivi chimici si suddividono in: tossici della struttura cellulare, che provocano la coagulazione del protoplasma delle cellule; appartengono a questo gruppo i vescicatori e i tossico-soffocanti e alcuni urticanti (a dosi molto elevate); tossici della funzione cellulare, che bloccano i processi di ossido-riduzione endocellulari; appartengono a questo gruppo l'ossido di carbonio e l'acido cianidrico; tossici sinaptici o della funzione neuromuscolare, che bloccano la trasmissione dello stimolo nervoso; appartengono a questo gruppo i nervini, che comprendono gli esteri fosforici, i fluoro- e ciano-fosfonati e i fluoro-acetati. Questi ultimi, per la loro straordinaria resistenza all'idrolisi, sono particolarmente adatti all'inquinamento delle riserve idriche. I tossico-soffocanti aggrediscono esclusivamente l'apparato respiratorio e possono pertanto essere facilmente neutralizzati con l'uso di maschere. I vescicatori sono più insidiosi poiché, oltre ad aggredire l'apparato respiratorio allo stato di vapore, sono in grado di attraversare allo stato liquido la pelle e i comuni indumenti; sono anche abbastanza insidiosi perché quasi inodori e caratterizzati da un periodo di latenza piuttosto lungo. L'azione tossica non si manifesta infatti all'immediato contatto con l'epidermide, bensì alcune ore dopo, rendendo così più difficile la difesa. Il grado di tossicità degli aggressivi chimici viene espresso dall'indice di Haber che rappresenta l'LD50 (dose letale nel 50% dei casi) in funzione del tempo. L'indice di Haber è dato dal prodotto della concentrazione del tossico nell'ambiente, espressa in mg/m3, per il tempo di esposizione, espresso in minuti primi; pertanto il grado di tossicità è inversamente proporzionale al valore numerico dell'indice stesso. Per l'impiego pratico degli aggressivi chimici sono stati sperimentati e utilizzati vari mezzi, dalle bombe a mano alle bombe d'aereo; attualmente sono previsti quasi esclusivamente i proiettili di artiglieria per l'impiego tattico, i missili e l'irrorazione aerea per impieghi strategici. Per il loro basso costo e la relativa facilità di fabbricazione, gli aggressivi chimici sono alla portata di tutti i Paesi, compresi quelli che non possono permettersi un deterrente atomico; rispetto all'arma atomica, gli aggressivi chimici hanno inoltre il vantaggio di non provocare distruzioni materiali, rendendo così più rapidamente abitabili le aree colpite. § Aggressivi chimici anticolinesterasici. Gli aggressivi chimici di questo tipo sono in pratica gli unici ad avere attualmente un interesse bellico e quindi, anche ai fini di una eventuale difesa civile, è opportuno avere un'appropriata conoscenza del loro meccanismo di azione. Per comprendere l'azione patologica di questi tossici occorre aver presente il meccanismo biologico di trasmissione degli stimoli nervosi. Nei punti di connessione delle fibre nervose con i fasci muscolari e nei punti di diramazione delle stesse fibre nervose esistono particolari strutture fisico-anatomiche, dette sinapsi, attraverso le quali lo stimolo nervoso viene trasmesso grazie a una mediazione chimica. Le sostanze chimiche che operano queste trasmissioni sono principalmente l'acetilcolina, l'adrenalina e l'istamina, ciascuna propria di un determinato circuito e quindi tra loro non intercambiabili. In particolare sono a mediazione istaminica le sinapsi del parasimpatico spinale, a mediazione adrenalinica quelle dell'ortosimpatico e a mediazione acetilcolinica le sinapsi del parasimpatico escluse quelle dello spinale, le sinapsi mioneurali dei muscoli volontari e le sinapsi interneuroniche del sistema nervoso centrale. Le sinapsi a mediazione acetilcolinica sono dunque di gran lunga le più numerose e importanti e interessano la maggior parte delle funzioni fisiologiche essenziali. Le sinapsi colinergiche funzionano secondo un meccanismo di esterificazione e idrolisi: all'arrivo dello stimolo nervoso un amminoacido, la colina, si esterifica con l'acido acetico formando l'acetilcolina che trasmette l'impulso. Alla cessazione dello stimolo, un enzima, la colinesterasi, idrolizza rapidamente l'estere (in circa 4 millesimi di secondo) formando di nuovo colina e acido acetico e facendo così cessare la trasmissione dell'impulso. Gli aggressivi chimici anticolinesterasici agiscono inibendo l'attività della colinesterasi e impedendo così la cessazione dello stimolo; ne consegue uno stato momentaneo di iperfunzione, rapidamente seguito da paresi. Lo stimolo continuo del parasimpatico genera inoltre convulsioni e causa una notevole contrazione delle pupille; per analogia con il quadro sintomatologico proprio degli avvelenamenti da muscarina e nicotina, il quadro clinico prende i nomi di sindrome muscarinica e sindrome nicotinica, per lo più associate. La cura più efficace dovrebbe basarsi su sostanze ad azione contraria, capaci o di neutralizzare l'azione anticolinesterasica dell'aggressivo o di inibire l'azione fisiologica dell'acetilcolina. I soli prodotti conosciuti di questo tipo sono il curaro per le placche mioneurali e l'atropina per il sistema neurovegetativo; in pratica il curaro non può essere usato per ovvie difficoltà pratiche di dosaggio e l'atropina costituisce più che altro una cura sintomatica. Dato però che in definitiva la morte sopravviene quasi sempre per paralisi dei centri nervosi della respirazione, la cura più efficace consiste nella respirazione artificiale che, dovendo essere protratta per lunghissimo tempo (molte ore o addirittura alcuni giorni), in pratica può essere realizzata soltanto con l'ausilio del polmone artificiale.

Aggressivi chimici: cenni storici

Il primo impiego bellico degli aggressivi chimici avvenne il 22 marzo 1915 sul fronte di Ypres, quando i Tedeschi lanciarono gas cloro causando agli avversari, del tutto impreparati, 5000 morti e 10.000 intossicati. Successivamente, mentre tutte le truppe erano state dotate di maschere antigas, furono effettuati altri attacchi con il cloro e con il fosgene (dicembre 1915) con risultati molto inferiori. Nella notte fra il 13 e il 14 luglio 1917 i Tedeschi impiegarono, sempre a Ypres, un aggressivo molto più tossico, da allora denominato iprite, che provocò oltre 6000 morti. Per rendere inutile l'uso delle maschere, i Tedeschi scoprirono successivamente le arsine, aggressivi che, passando attraverso i filtri e provocando un vomito irrefrenabile, costringevano i soldati a togliersi le maschere restando così esposti all'azione di altri aggressivi lanciati contemporaneamente. Nel 1918 gli Americani scoprirono un nuovo aggressivo vescicatorio, la lewisite, che però non fu usato, essendo frattanto finita la guerra. Sul fronte italiano l'attacco più importante venne subito dalle nostre truppe il 29 giugno 1916 sul Carso (con ca. 5000 morti e 1000 prigionieri). Durante il secondo conflitto mondiale, l'enorme sviluppo dell'arma aerea e il carattere totalitario del conflitto aprirono nuove prospettive all'impiego degli aggressivi chimici. In Germania il chimico Schrader, partendo da studi effettuati in Svizzera su nuovi tipi di insetticidi, giunse alla scoperta degli aggressivi anticolinesterasici che vennero prodotti su larga scala in un grande stabilimento sotterraneo segretissimo (1 km² di superficie), situato sotto la foresta di Dyhernfurth a N di Breslavia. Questi prodotti (tabun, soman, sarin) non furono mai usati perché, mentre nella prima fase del conflitto non si era presentata la necessità, nella seconda la Germania aveva ormai perso la supremazia aerea, condizione assolutamente indispensabile sia per l'impiego risolutivo di questi aggressivi, sia per la difesa dalla successiva ritorsione. Se fossero stati lanciati avrebbero sicuramente provocato perdite enormi, di molto superiori a quelle causate dai due attacchi atomici sul Giappone. L'uso delle maschere è infatti praticamente inutile poiché, essendo questi prodotti incolori e quasi inodori, agiscono prima che la loro presenza sia avvertita; inoltre sono molto persistenti, poco volatili e, allo stato liquido, attraversano la pelle senza indurre alcuna manifestazione da contatto. Alcuni tipi di aggressivi chimici sono stati usati in guerra dagli Italiani contro gli Abissini (Makallè, gennaio del 1936), dai Giapponesi contro i Cinesi (Yichang, ottobre 1941) e dagli Egiziani nello Yemen (1966-67). Nella guerra del Vietnam sono stati usati dagli Statunitensi defolianti e alcuni aggressivi lacrimogeni e urticanti, questi ultimi specialmente per rendere inutilizzabili i cunicoli e le basi sotterranee. Riguardo agli aggressivi nervini o anticolinesterasici, le ricerche furono riprese dopo la fine della guerra partendo dalle informazioni tecniche sequestrate ai Tedeschi. Nel 1950 gli Inglesi scoprirono un nuovo gruppo di tossici sinaptici dotati di efficacia e di stabilità all'idrolisi molto superiori; i risultati furono comunicati agli U.S.A., al Canada e all'Australia e due di questi prodotti, di costituzione segreta, sono stati prodotti in America e contrassegnati con le sigle VE e VX. Negli U.S.A. sono tuttora in corso ricerche tendenti alla scoperta di aggressivi non mortali, capaci di inabilitare temporaneamente i colpiti senza provocare danni permanenti. I risultati sono però scarsi e a tutt'oggi sono stati messi a punto soltanto un prodotto a effetto allucinogeno, basato sull'LSD (BZ), e un prodotto (CS) che dà una violenta e penosa sensazione di freddo.

Aggressivi chimici: le misure di difesa

La cosa più importante ai fini della difesa dagli aggressivi chimici è il tempestivo riconoscimento della presenza e costituzione del tossico. Ciò si ottiene con i rivelatori, che sono di tipo chimico o elettronico. I rivelatori chimici, basati sul viraggio di colore di appositi reattivi, sono in genere piccole strisce di carta, polveri da spargere sul terreno o vernici, purtroppo non resistenti alle intemperie. Tra i rivelatori del secondo tipo, i più importanti sono basati sulla misura del grado di ionizzazione dell'aria attraversata da un flusso uniforme di radiazioni e sull'impiego di analizzatori gas-cromatografici opportunamente adattati; questi ultimi possono funzionare in continuo e danno anche indicazioni abbastanza precise sulla struttura chimica del tossico. La difesa, oltre che sulle comuni maschere, è basata su rifugi sotterranei con aria a circuito chiuso, tute con autorespiratori e mezzi corazzati completamente isolati dall'ambiente esterno; viene così in pratica a identificarsi con la difesa atomica. Per la terapia e il pronto soccorso ci si avvale dei normali mezzi medici e farmacologici, oltre che di alcuni antidoti appositamente studiati. Tra questi il più noto è il BAL (British Anti-Lewisite), costituito da un composto ditiolico analogo alla glicerina, il 2-3-dimercaptopropanolo. Questo prodotto, scoperto agli inizi della II guerra mondiale dagli inglesi Peters, Stocken e Thompson dell'Università di Oxford, ha la proprietà di fissare l'arsenico e altri metalli pesanti, sottraendoli così dalla circolazione; costituisce ancor oggi il migliore antidoto per gli avvelenamenti da arsenico, mercurio, antimonio e bismuto. Oltre che per gli aggressivi contenenti arsenico, ha una certa efficacia anche nelle intossicazioni da aggressivi contenenti cloro e bromo.

Aggressivi biologici

Contrariamente a quelli chimici, gli aggressivi biologici non sono mai stati usati in nessun conflitto, nonostante che gli studi relativi siano iniziati da più di mezzo secolo. I principi teorici dell'offesa biologica consistono nella diffusione sul territorio nemico di particolari ceppi batterici capaci di generare epidemie difficilmente controllabili con i farmaci conosciuti. Le difficoltà pratiche sono però innumerevoli e principalmente collegate al fatto che gli aggressivi biologici sono sostanze viventi. Esistono grossi problemi relativi alla preparazione e conservazione delle scorte e ai sistemi di lancio. Le cariche esplosive (bombe, proiettili di artiglieria, testate di missili) sono poco idonee perché distruggono buona parte della carica tossica mentre l'irrorazione aerea è insicura poiché, a causa dei venti, un'aliquota della carica batterica può ricadere su obiettivi diversi da quelli stabiliti. L'azione sterilizzante dei raggi ultravioletti, inoltre, distruggerebbe gran parte della carica batterica prima che questa raggiunga il suolo. Sono stati comunque selezionati alcuni ceppi di febbre Q e alcuni tipi di spore di carbonchio che meglio sopportano le condizioni di magazzinaggio e di disseminazione. I ceppi batterici scelti vengono resi più virulenti mediante passaggi alternati dai terreni di coltura alle cavie e conservati adsorbiti su adatti supporti. In alcuni casi è possibile effettuare la liofilizzazione e conservare le scorte in condizioni di ibernazione. Un altro problema relativo all'impiego di quest'arma è rappresentato dalla possibilità di lunga sopravvivenza delle forme batteriche nelle zone inquinate e conseguentemente dal loro lungo periodo di inabitabilità. Nel 1940 gli Inglesi, nel quadro di esperimenti a carattere difensivo, lanciarono sull'isola di Gruinard (un'isola disabitata a NW della Scozia) un ceppo di spore di carbonchio attivate. Le pecore, lasciate sull'isola come cavie, morirono subito ma, nonostante i tentativi di bonifica con irrorazione di disinfettanti, l'isola è rimasta fino a oggi inabitabile. Ogni anno una speciale squadra dell'esercito inglese ispeziona l'isola, ma si teme che il luogo resti inabitabile ancora per un secolo. Per tutti questi motivi, l'impiego degli aggressivi biologici non è ritenuto di probabile interesse bellico, sebbene le ricerche relative proseguano.

Bibliografia (aggressivi chimici)

G. Castelfranchi, P. Malatesta, Lezioni di chimica di guerra, Roma, 1954; J. R. Van Vazer, Phosphorus and its Compounds, New York, 1966; R. Clarke, We All Fall Down: the Prospect of Biological and Chemical Warfare, Londra, 1968; S. Franke, P. Franz, Warnke, Lehrbuch der Militarchemie, Berlino, 1969.

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