Lessico

agg. e sm. (pl. m. -ci) [da analgesia]. Di farmaco che riduce la sensibilità dolorifica senza determinare la perdita della coscienza: sostanze analgesiche; è un potente analgesico.

Farmacologia: generalità

L'azione dei farmaci analgesici si svolge a livello delle strutture nervose centrali e si differenzia per questo dall'effetto antidolorifico degli anestetici locali che ha un carattere essenzialmente periferico. Dagli anni Sessanta del sec. XX, da quando cioè gli antinfiammatori non steroidei (FANS) sono entrati a far parte della terapia, sono i rimedi più impiegati nel mondo occidentale. Alla fine dello stesso secolo, infatti, le prescrizioni ammontano ogni anno a ben 485 milioni nel mondo e a 47 milioni solo in Italia. Tra le numerose indicazioni terapeutiche degli analgesici si possono citare le nevralgie, le artriti croniche, l'osteoartrosi, la cefalea, la dismenorrea, il travaglio del parto, gli spasmi viscerali, cardiaci, muscolari, le sindromi dolorose di natura tossica e traumatica. In base alla struttura e alle proprietà farmacologiche, gli analgesici vengono classificati in differenti gruppi: narcotici e non narcotici.

Farmacologia: analgesici-narcotici

Farmaci dotati di potente azione analgesica e che agiscono a livello centrale. Sono utili nel trattamento del dolore acuto grave, compreso quello postoperatorio, e del dolore cronico, come quello neoplastico. Sono tuttavia poco utilizzati, per una sopravvalutazione della loro durata d'azione e degli effetti collaterali che possono dare. Per questo motivo vengono somministrati spesso a un dosaggio sottostimato. La morfina è, per esempio, un analgesico-narcotico per eccellenza, capace di influenzare sia l'iniziale percezione periferica del dolore sia la risposta emotiva a esso. Per lenire il dolore acuto, la morfina viene di solito somministrata per via endovenosa o per via intramuscolare. La morfina a rilascio controllato assunta per via orale viene di preferenza utilizzata per trattare il dolore da neoplasia di grave entità. I suoi effetti negativi (stipsi, dilatazione delle venule, ecc.) sono dosedipendenti. Poiché la risposta agli analgesici-narcotici è individuale, il loro dosaggio deve essere modificato a seconda delle esigenze di ogni paziente. La loro sensibilità è inoltre aumentata negli anziani. Il nome di analgesici-narcotici è dovuto al fatto che il loro uso, accanto agli effetti analgesici, può produrre assuefazione, cioè l'individuo ne avverte sempre più la necessità ed è costretto ad assumerne dosi sempre crescenti per ottenere l'effetto analgesico, sicché la sospensione dell'assunzione può provocare gravi crisi di astinenza. Di conseguenza il soggetto diviene dipendente dalla sostanza sia psichicamente sia fisicamente (fenomeno del morfinismo). Gli analgesici-narcotici provocano anche il grave effetto collaterale di depressione del centro del respiro.

Farmacologia: analgesici-non narcotici

Farmaci di varia natura, detti anche analgesici antipiretici, antinfiammatori, che vengono divisi in classi chimiche: a) derivati dell'acido salicilico (acido acetilsalicilico o aspirina, salicilato di sodio, salicilammide, salicilato di metile); b) derivati dell'anilina (acetanilide, paracetamolo, fenacetina); c) derivati pirazolonici (antipirina, ossifenbutazone, fenilbutazone); d) derivati dell'acido antranilico (fenamati, glafenina, floctafenina); e) indometacina e derivati arilacetici e arilpropionici (sulindac, tolmetin, ibuprofene). Gli analgesici-non narcotici agiscono inibendo, nell'organismo, la biosintesi di importanti mediatori dell'infiammazione (per esempio le prostaglandine); sono meno attivi degli analgesici-narcotici, ma anche molto meno tossici, infatti non provocano né effetto stupefacente né depressione respiratoria. Hanno anche proprietà antipiretiche e antinfiammatorie; il principale effetto collaterale che presentano è quello della gastrolesività. Alcuni antinfiammatori possono interferire con l'anticoagulante warfarin, aumentando l'effetto anticoagulante e provocando sanguinamenti, o con la teofillina, incrementando la tossicità di questo principio attivo. Sempre alla fine del sec. XX è stata messa a punto una nuova classe di antinfiammatori, detta degli inibitori specifici della COX-2 di cui celecoxib è il capostipite: si tratta di principi attivi che bloccano in modo selettivo la ciclossigenasi-2 (o COX-2), prodotta dai macrofagi, dai sinoviositi e dai fibroblasti solo in corso di un'infiammazione. Non agiscono invece sulla ciclossigenasi-1 (o COX-1), sempre presente a livello dello stomaco, del rene, del fegato e dell'intestino e responsabile della sintesi delle prostaglandine “fisiologiche”, cioè di quelle molecole che proteggono il tratto gastrointestinale e mantengono normale la funzione piastrinica e renale. Rispetto ai FANS tradizionali che inibiscono la COX-1 e la COX-2 bloccando la produzione sia delle prostaglandine protettiche sia di quelle coinvolte nell'infiammazione, gli inibitori specifici della COX-2 si propongono come principi attivi efficaci contro l'infiammazione alla pari del naprossene e del diclofenac ma con un'incidenza di effetti collaterali a carico dell'apparato gastrointestinale significativamente ridotta.

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