còlchico

sm. (pl. -ci) [sec. XVI; dal greco kolchikón, propr. pianta velenosa della Colchide, tramite il latino colchĭcum]. Nome comune usato per indicare la pianta appartenente alla specie Colchicum autumnale della famiglia Liliacee, erbacea perenne detta anche freddolina, efemero e zafferano bastardo, selvatica in tutta Europa, specialmente nei luoghi erbosi umidi, e assai comune nei prati dell'Italia settentrionale e centrale. Possiede un bulbotubero sotterraneo grosso come una castagna, piriforme, avvolto in una tunica rosso-bruna, che si fa grigia o giallastra se disseccata, dal quale in autunno sorgono uno o più fiori tubulosi simili a quelli dello zafferano, con colore variante dal rosa pallido al lilla-porporino, muniti di tre lunghi stili. Le foglie, grandi, lanceolate o lanceolato-lineari, lunghe fino a 40 cm, tutte basali, sono presenti solo in primavera o all'inizio dell'estate e mancano al tempo della fioritura: esse racchiudono i frutti, costituiti da capsule ovali triloculari contenenti numerosi semi zigrinati, bruno-rossastri, dal sapore acre e amaro. I semi e i bulbotuberi formano una droga della quale sin dall'antichità erano note le proprietà medicamentose e la forte tossicità. I principi attivi del colchico sono gli alcaloidi colchicina e demetil-colchicina o demecolcina, ambedue dotati di proprietà antigottose e di effetti citotossici. L'avvelenamento da colchico ha sintomatologia molto simile a quella dell'infezione colerica, con vomito, diarrea, paralisi ascendente.

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