castrato

Indice

agg. e sm. [sec. XIII; pp. di castrare].

1) Agg., privato degli organi genitali; fig., senza carattere, effeminato.

2) Agnello castrato o solo castrato come sm.: evirato e quindi ingrassato; ha carne più tenera e saporita del normale e costituisce la base per molte gustose preparazioni regionali (cuz lombardo, castradina veneta, ecc.).

3) Sm., cantori evirati da bambini, prima della mutazione della voce. Tale pratica cominciò verso la fine del sec. XVI e fu diffusa fino a tutto il XVIII. Probabilmente alla sua origine sta fra l'altro il divieto di far cantare in chiesa le donne e l'esito non del tutto soddisfacente che si otteneva sostituendole con bambini o con falsettisti. Il divieto vigente negli Stati pontifici di far cantare le donne in scena favorì anche l'impiego dei castrati in teatro, e fu proprio in campo operistico che essi ebbero grande diffusione e fortuna, sebbene tale pratica restasse limitata all'Italia. I castrati per un certo periodo costituirono la maggiore attrazione di uno spettacolo operistico, per il timbro artificiale, astratto, che pur serbando la penetrante chiarezza di quello infantile aveva però una diversa potenza ed estensione; la tessitura e l'uso dei registri di testa e di petto erano diversi da quelli femminili. Inoltre il castrato spesso si dedicava con tutte le energie a perfezionare la tecnica vocale, fino a conseguire risultati sbalorditivi, che identificarono in questo tipo di cantante la massima incarnazione del bel canto. L'importanza e la diffusione dell'opera nella vita sociale settecentesca resero vani per molti anni i divieti e le polemiche contro la castrazione. L'impiego dei castrati sopravvisse ancora a lungo nel sec. XIX nella sola Cappella Pontificia (il decreto di abolizione porta la data del 1903).

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