cliènte

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sm. e f. [sec. XVI; dal latino clíens-entis].

1) Nell'antica Roma, cittadini liberi, ma legati da un rapporto di dipendenza a un patrono, dal quale avevano in concessione terre ed erano tutelati dalla sua fides in cambio di particolari doveri (obsequium, officium, pietas). La frode commessa dal patrono nei loro confronti aveva come sanzione, ancora all'epoca delle XII Tavole, la sacertà. I clienti partecipavano, insieme ai gentiles, ai sacra, alle guerre e ai comizi curiati, sia pure in posizione inferiore. Durante l'età repubblicana i rapporti di clientela andarono allentandosi e infine scomparvero.

2) Per estensione, con valore spregiativo, chi, per interessi personali, è asservito a un personaggio facoltoso o comunque eminente, soprattutto nel mondo politico: “Il municipio diventava... un'agenzia elettorale, una fabbrica di clienti” (De Roberto).

3) Chi, per comodità, fiducia acquisita e risultati soddisfacenti, fa abitualmente acquisti in uno stesso negozio o si serve di un medesimo professionista: da anni è il fedele cliente del parrucchiere all'angolo.

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