concettismo

sm. [da concetto]. Atteggiamento letterario che trova la massima diffusione nell'area del petrarchismo e ha una sua tipica espressione nel conceptismo dello spagnolo Quevedo. Il gusto delle sottigliezze ha la sua manifestazione storica più evidente nel Seicento per un maturarsi completo del Rinascimento; preziosismo e marinismo, gongorismo ed eufuismo sono motivi diversi di un'unica ricerca di creazione artistica in piena libertà. I principi retorici del concettismo volgono alla sentenziosità, alla maniera, e quindi all'ermetismo fino alle estreme conseguenze di una posizione aliena da problemi filosofici e sociali e basata su giochi retorici, su contrasti di contenuto e forma, su ricerche di teatralità, di artificio. Il motivo fondamentale del concettismo si trova già negli antichi e, come è stato detto, anche nel Petrarca, degno di essere considerato il primo dei petrarchisti per un gusto del poetare che era stato dei trovatori; nondimeno ha la sua manifestazione più tipica nel Seicento per un'estrema tendenza ai pregi della forma e alla riduzione di problemi storici e morali (e naturalmente psicologici quanto all'amore e alla religione) in un solo canale di ispirazione: quello dei “concetti”. Nella letteratura spagnola del Seicento, “concettista” esemplare, oltre a Quevedo, fu Gracián, che nel suo trattato Agudeza y Arte de Ingenio (1648) fu anche il maggior teorico del concettismo. Vedi anche culteranesimo. § Per estensione, il termine è entrato nell'uso comune per indicare un modo di scrivere ingegnoso ed elaborato.

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