lavóro, campo di-

luogo di internamento allestito in URSS a cominciare dal 1917 per confinare elementi controrivoluzionari, o considerati comunque pericolosi per il regime bolscevico. Il sistema trovava degli antecedenti nella vecchia prassi zarista di deportare, soprattutto in Siberia, criminali comuni e perseguitati politici. Speciali poteri vennero conferiti alla CEKA, che organizzò una ventina di campi di lavoro. Sotto il controllo della GPU, che subentrò nel 1922 alla CEKA, si formò un'ampia rete di “campi di lavoro correzionale”, per lo sfruttamento su vasta scala del lavoro forzato ma anche con finalità di rieducazione dei detenuti, il cui numero crebbe sensibilmente con l'afflusso nei campi della Russia settentrionale e della Siberia – i più noti divennero quelli di Vorkuta, Kolyma, Magadan, Norilsk – dei contadini che avevano tentato di resistere alla collettivizzazione dell'agricoltura. Sostituita nel 1934 la GPU dal NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni, alle cui dipendenze operava il GULag, Amministrazione centrale dei campi di lavoro), le condizioni di vita nei campi di lavoro divennero particolarmente dure (si giunse fino all'eliminazione dei detenuti, nel periodo delle grandi purghe staliniane). Una forte denuncia delle dure condizioni di vita nei campi di lavoro sovietici è venuta dai romanzi di A. I. Solženicyn, che con il riconoscimento del premio Nobel (1970), costarono all'autore anche l'espulsione dall'URSS (1974). Nel “disgelo” succeduto alla destalinizzazione, i campi di lavoro furono drasticamente ridotti di numero e ne fu attenuata la rigidità, ma di una loro scomparsa come strumento di repressione politica si può essere certi solo a partire dall'avvento al potere di M. S. Gorbačëv e con il successivo crollo dell'URSS.

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