licenziaménto

Indice

Definizione

sm. [sec. XIV; da licenziare]. Atto ed effetto del licenziare. In particolare, l'atto col quale il datore di lavoro procede unilateralmente a porre fine al rapporto di lavoro.

Giurisprudenza: regolamentazione

La materia è regolata da tre leggi fondamentali: la n. 604 del 15 luglio 1966; la n. 300 del 20 maggio 1970 e la n. 108 dell'11 maggio 1990. A norma dell'art. 1 della legge n. 604/1966 il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa o per giustificato motivo. Nel concetto di giusta causa rientrano i fatti di particolare gravità che siano tali da configurare una irrimediabile negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e della fiducia insita nello stesso. Il licenziamento per giustificato motivo può essere di natura oggettiva e soggettiva. Nel primo caso esso concerne le variazioni del normale andamento dell'impresa tali da non essere compatibili con l'utilizzazione del personale divenuto superfluo. Nel secondo caso il licenziamento è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ravvisabile nel concorso di fatti o comportamenti di entità e gravità tali da scuotere nell'imprenditore la fiducia posta a fondamento del rapporto e da fargli, con fondamento, dubitare delle attitudini professionali del lavoratore all'espletamento delle sue mansioni. Il licenziamento privo di motivazione (ad nutum) è ammesso dalla legge solo per alcune categorie di lavoratori: dirigenti, lavoratori con contratto a termine, dipendenti delle cosiddette organizzazioni di tendenza, addetti ai servizi domestici. La legge n. 604/1966 stabilisce una tassativa procedura per l'intimazione del licenziamento il cui mancato rispetto comporta l'inefficacia del licenziamento stesso. Il licenziamento deve essere intimato in forma scritta dal datore di lavoro; entro 15 giorni il lavoratore può domandare i motivi che hanno causato il licenziamento; entro i successivi 7 giorni il datore di lavoro deve comunicare i detti motivi per iscritto; nei 60 giorni che seguono la comunicazione di questi, il lavoratore ha l'onere di impugnare il licenziamento a mezzo di un qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la sua volontà. Decorso il termine, il lavoratore decade dal suo diritto di impugnazione: il licenziamento diviene irrevocabile giudizialmente. Nell'ipotesi invece in cui ne venga accertata l'illegittimità, potranno essere dichiarati dal giudice: l'inefficacia del licenziamento se questo è stato intimato in violazione delle forme prescritte; l'annullamento, se esso è stato intimato senza giusta causa o giustificato motivo; la sua nullità, se disposto per ragioni discriminatorie (per credo politico, fede religiosa, appartenenza a un sindacato, razza, lingua, sesso). I limiti dimensionali del datore di lavoro hanno rilievo per determinare il tipo di tutela accordata al lavoratore che sia stato illegittimamente licenziato. Si ha una tutela risarcitoria per i datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti (5 per le imprese agricole). In tale ipotesi il datore di lavoro è condannato a riassumere il lavoratore entro 3 giorni oppure a risarcire il danno versando al licenziato un'indennità. Per i datori di lavoro occupanti più di 15 dipendenti (più di 5 per le imprese agricole) la legge prevede una tutela che garantisce al lavoratore ingiustamente licenziato la reintegrazione nel posto di lavoro e il diritto al risarcimento del danno subito nella misura non inferiore alle 5 mensilità del salario. Particolari norme sono previste per il licenziamento di rappresentanti sindacali. Nel luglio 2002 è stato firmato, dal Governo e dalle parti sociali (con l'esclusione della C.G.I.L.), il cosiddetto "Patto per l'Italia", della durata di tre anni, a titolo sperimentale. L'accordo prevede, per le imprese che, assumendo nuovo personale, superino la soglia dei 15 dipendenti, la possibilità di licenziare anche senza una giusta causa. Il lavoratore licenziato non può, in questi casi, essere reintegrato nel posto di lavoro, ma riceve soltanto un indennizzo. § La disciplina legislativa esclude esplicitamente dal proprio campo di applicazione la materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, regolata da un accordo tra le confederazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro del 5 maggio 1965 e da una direttiva CEE (n. 75 del 17 febbraio 1975) relativa al riavvicinamento degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi. Per licenziamenti collettivi debbono intendersi i licenziamenti richiesti dalla necessità di attuare una riduzione del personale dovuta a causa di un ridimensionamento dell'azienda deciso dall'imprenditore nell'esercizio della sua iniziativa economica. Il giudice non può assolutamente sindacare le scelte dell'imprenditore ma deve valutare se sussistono effettivamente le circostanze poste a fondamento del licenziamento e annullare il licenziamento collettivo che abbia una natura pretestuosa.

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