piàngere

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(ant. o poetico piàgnere), v. intr. e tr. (ind. pr. piango-gi; prem. piansi, piangésti, ecc.; pp. pianto) [sec. XIII; latino plangĕre, battersi il petto].

1) Intr. (aus. avere), versare lacrime, per lo più accompagnate da gemiti e lamenti, per dolore fisico o morale o per forte commozione: piangere singhiozzando, in silenzio; piangere di gioia, di rabbia, a causa di tali sentimenti. Fig.: cose che farebbero piangere i sassi, che strappano le lacrime, tanto sono commoventi; uno spettacolo che fa piangere, molto scadente e deludente, di pessima qualità. Anche di stimoli lacrimatori puramente fisiologici: le cipolle fanno piangere.

2) Per estensione, gemere, lamentarsi: la gatta piange perché non trova più i gattini. Soffrire, patire: popoli che piangono sotto l'oppressione straniera; anche soffrire intimamente: mi piange il cuore a vederlo partire. Rifl., ant., dolersi, affliggersi.

3) Per analogia, gocciolare, stillare: muri che piangono per l'umidità; le viti piangono, quando lasciano cadere gocce di linfa dai tralci tagliati.

4) Tr., versare, emettere (solo con l'oggetto interno): piangere lacrime di rabbia, di dispetto. Per estensione, dolersi, mostrare viva afflizione per la morte di qualcuno o per un fatto doloroso, una sciagura: piangere la morte di un amico;piangere i propri peccati, espiarli col pianto. In particolare, rimpiangere: “I' vo piangendo i miei passati tempi” (Petrarca). Anche lagnarsi con insistenza, deprecare ostentatamente una condizione di infelicità vera o fittizia: piangere miseria.

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