rettitùdine

sf. [sec. XVI; dal latino rectitūdo-dínis]. L'essere retto, rar. in senso proprio: rettitudine di un corpo. Più spesso fig., l'esser retto in senso morale; onestà, probità: un giovane di specchiata rettitudine; rettitudine di intenti. § In filosofia è la costante corrispondenza di una cosa o di un atto con il suo fine. Retto è per Platone ciò che corrisponde all'uguaglianza, per cui qualcosa non patisce oscillazioni secondo il più o il meno, che sarebbero privazione di essere. Aristotele e gli stoici definiscono “retta” la ragione capace di formulare nozioni del bene, e quindi “retta” è la legge naturale. Nella Scolastica medievale il tema dell'azione morale “retta”, in quanto virtuosa e razionale, fu largamente presente, particolarmente in San Tommaso. Vi è anche un uso logico del termine, secondo il quale si definisce “retto” il discorso corrispondente alle leggi della logica.

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