tenàglia

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(meno comune tanàglia), sf. (si usa per lo più al pl.) [sec. XVI; dal provenzale tenalha, che continua il latino tardo tenacŭla, legami, da tenēre, tenere].

1) Attrezzo formato da due leve di primo genere (bracci), fulcrate l'una sull'altra, ossia incrociate e tenute insieme da un perno posto nel punto d'incrocio, le cui estremità di presa (ganasce o becchi) a cuneo ricurvo vengono usate per afferrare oggetti di vario tipo. La tenaglia da falegname viene usata soprattutto per estrarre i chiodi dal legno; la tenaglia da fabbro è provvista di manici molto lunghi per impedire che il calore emanante dai pezzi metallici incandescenti raggiunga l'impugnatura; i becchi possono avere forme diverse per adeguarsi alla forma dei pezzi da lavorare alla forgia.

2) Nelle loc.: a tenaglia, che funziona come una tenaglia o che ha forma simile alle ganasce aperte di una tenaglia; muoversi, avanzare a tenaglia, seguendo due linee diverse e stringendosi poi intorno all'obiettivo, per lo più per accerchiare e simili: l'esercito avanzò con una manovra a tenaglia. In particolare, in falegnameria, incastro a tenaglia, tipo di incastro di due elementi ottenuto mediante una scanalatura di sezione rettangolare che corre per tutta la lunghezza, eseguita su uno degli elementi, e di un dente della stessa sezione che corre per tutta la lunghezza dell'altro.

3) Strumento simile, opportunamente sagomato, usato dai dentisti per l'estrazione dei denti; fig.: levare qualche cosa con le tenaglie, strapparla a viva forza; ci vogliono le tenaglie per farlo parlare, per levargli una parola di bocca e simili, detto di chi è molto restio a parlare per timidezza o perché non vuol dire quello che sa.

4) Popolare, nome che si dà alle chele degli Scorpioni e dei Crostacei.

5) Nella fortificazione militare, opera addizionale esterna, così chiamata per il suo tracciato rientrante o a tenaglia.