Il romanzo: il diritto alla felicità

Il romanzo

Nella seconda metà del Seicento, il sospetto in cui era tenuta l'immaginazione, in quanto fonte di racconti fantastici e inverosimili, aveva fatto sì che gli autori per giustificare la narrazione ricorressero a documenti più o meno veri, a ipotetiche testimonianze o memorie. All'inizio del Settecento il romanzo si svincolò lentamente dalla preoccupazione di contenere l'invenzione e, se spesso adottò ancora l'espediente del personaggio che raccontava al narratore proprie memorie o avventure, la struttura mascherò sempre meno il crescente prevalere dell'immaginazione. Sin dai primi anni dal secolo, il romanzo si avviò a diventare il genere letterario di gran lunga dominante, perché più adatto alla mentalità dell'epoca: forma più libera, non oppressa dal confronto con giganteschi modelli, non soggetta alle regole che gravavano sulla tragedia o sulla poesia; forma duttile, modificabile a piacimento, capace di contenere narrazioni, divagazioni, riflessioni, effusioni del cuore e vagabondaggi della mente; infine, forma di grande presa sul pubblico (di cui diventa il divertimento e allo stesso tempo lo specchio) e ideale veicolo di diffusione delle idee. All'inizio del secolo imperversò il genere degli "pseudo-mémoires", romanzi avventurosi presentati come memorie di un personaggio. Fra questi le Mémoires de Monsieur d'Artagnan (Memorie del Signor d'Artagnan), un romanzone alquanto disordinato pubblicato nel 1700 da Courtilz de Sandras (1644-1712); le Mémoires de la vie du comte de Grammont (Memorie della vita del conte di Grammont, 1713), opera raffinata e coerente di Antoine Hamilton (1646-1720), uno degli esponenti più brillanti della corte raccoltasi intorno al re inglese Giacomo II in esilio a Saint-Germain-en-Laye. I due romanzi, pur nettamente differenti per qualità, rappresentano la transizione fra il genere delle memorie e il romanzo vero e proprio, transizione che si compì mirabilmente nei capolavori di Prévost.