Generi, correnti e autori del Novecento italiano

Crepuscolarismo, futurismo, neorealismo, surrealismo, ermetismo... Il Novecento della letteratura italiana è costellato di correnti e influenze letterarie che, assieme alle due guerre mondiali, hanno segnato il Secolo breve.

INDICE

L'inizio del secolo fino alla guerra mondiale è ancora caratterizzato dall'influsso dei tre grandi poeti a cavallo tra Otto e Novecento: Carducci, Pascoli e D'Annunzio. A Carducci e D'Annunzio si ribellano per via ironico-esistenziale il crepuscolarismo e il cenacolo della "Voce", e per quella avanguardistica il futurismo. Al contrario la sperimentazione pascoliana viene accolta come modello di stile. Parallelamente si realizzano le due maggiori esperienze letterarie di livello europeo: la drammaturgia di Pirandello e la narrativa di Svevo. Gli anni '20, accanto a chiari segni di richiamo alla tradizione, vedono l'affermarsi di due grandi personalità: Ungaretti e Montale. L'ermetismo, che contraddistingue il decennio successivo, sembra concentrare la creatività poetica sulle valenze puramente espressive della parola, cercando rifugio dalla realtà storica in una vaga dimensione religiosa.

La seconda guerra mondiale costringe a compiere scelte decisive e drammatiche e rimette in moto una concezione della letteratura segnata dall'impegno politico-civile, che avrà nel neorealismo il suo momento culminante. L'esordio di scrittori come Pasolini, Sciascia e Calvino si affianca al già sicuro magistero linguistico e intellettuale di Moravia e Gadda, destinati a svolgere un ruolo guida nei decenni successivi. Il sempre più accentuato contrasto tra cultura e società ispira la contestazione e l'impegno delle neoavanguardie degli anni '60. Nell'ultimo quarto di secolo, a un progressivo affievolirsi della poesia in lingua, si contrappone il rifiorire dei poeti dialettali. Nella prosa prevale un generale appiattimento sulla cronaca, alla ricerca di trame narrative di non ampio respiro vicine al taglio delle sceneggiature cinematografiche.

Al di là del decadentismo

Il secolo si apre all'insegna della ricerca espressiva e teorica. In Italia e in Europa dominano le "avanguardie". La presenza di Pascoli e D'Annunzio è ancora molto forte. Le prospettive letterarie del primo decennio possono essere così schematizzate: il crepuscolarismo, che rovescia il mito romantico-decadente del poeta in favore di una nuova ironica semplicità; il futurismo, che si propone come nuovo linguaggio della modernità; il dibattito delle riviste e l'apertura alla poetica del "frammento", cioè l'avvio a una nuova tensione poetico-morale. Dal primo dopoguerra la letteratura trova una testimonianza assolutamente originale e ormai libera da qualsiasi modello decadente.

Il crepuscoralismo

Il critico G.A. Borgese parlò per primo di "crepuscolarismo" in un articolo sul giornale "La Stampa" del 1910 per definire la collocazione storica di una tendenza letteraria che costituiva, secondo lui, il tramonto, il crepuscolo appunto, della grande tradizione poetica italiana dell'Ottocento e nella quale si riconoscevano principalmente i poeti G. Gozzano, S. Corazzini, M. Moretti, C. Govoni. Questi poeti non costituirono una scuola o un movimento; furono piuttosto accomunati dal rifiuto polemico della retorica carducciana e del mondo estetizzante di D'Annunzio e uniti dall'adesione a una poesia intimista, fatta, come dice Gozzano, di "buone cose di pessimo gusto". Maestri prediletti furono il Pascoli della poetica del "fanciullino" e il D'Annunzio meno retorico del Poema paradisiaco.

Il mondo poetico crepuscolare

La poesia crepuscolare illustra situazioni ricorrenti, attinte per lo più dal piccolo mondo della provincia. Si descrivono gli arredi pretenziosi del "salotto buono" della piccola borghesia o le stanze d'un ospedale. Si lamenta la noia dei pomeriggi domenicali e lo stanco trascinarsi della vita d'ogni giorno, situazioni elette a simboli d'un malessere di vivere che nasce dalla crisi d'ogni certezza. I poeti non credono più ai valori tradizionali, né filosofici, né politici né scientifici, si sentono soli e incompresi e si chiudono nel proprio disagio, che conosce lo smarrimento di fronte al reale e il ripiegamento in se stessi, lo sguardo distaccato e ironico capace di proteggere da ogni coinvolgimento emotivo. In accordo con i temi quotidiani e dimessi, il crepuscolarismo ricerca un tono basso, colloquiale, un andamento prosastico e discorsivo. Il linguaggio si adegua alla semplicità della materia.

Guido Gozzano

Il torinese Guido Gozzano (1883-1916) è forse il maggiore poeta crepuscolare. Non terminò gli studi giuridici e frequentò i circoli intellettuali. Del 1907 è la prima raccolta La via del rifugio, che venne ben accolta. Nello stesso anno l'aggravarsi della tubercolosi sollecitava subito di recarsi nel sanatorio di Davos, sulle Alpi svizzere, invece, con una scelta inopportuna, egli decise di recarsi al mare, presso Genova. Negli anni successivi, con alterne speranze e peggioramenti, trascorse lunghi periodi tra la Riviera ligure e la montagna piemontese, preparando la seconda raccolta, I colloqui (1911), che ripeté il successo della prima. La malattia non gli dette tregua; nel 1912 si recò in India alla ricerca di un'impossibile guarigione. Rientrò in Italia pochi mesi dopo e scrisse sulla "Stampa" interessanti resoconti, raccolti poi nel volume Verso la cuna del mondo (1917, postumo), mentre distrusse le poesie erotiche scritte durante il viaggio. Nel 1914 pubblicò alcune parti frammentarie del poemetto Farfalle. Epistole entomologiche, che rimase incompiuto, e raccolse in volume I tre talismani, sei fiabe scritte per il "Corriere dei piccoli". Dopo la morte vennero edite La principessa si sposa (1917); L'altare del passato (1918); L'ultima traccia (1919). Il carattere principale delle sue poesie è un'ironia sottile e dissacrante espressa con una scelta precisa di contenuti, stile e lessico. Lirismo e prosaicità convivono in un equilibrio insolito nella tradizione italiana. Nascono veri e propri personaggi, come Totò Merùmeni, esteta e libertino, l'avvocato nostalgico del poemetto La signorina Felicita, la Carlotta di L'amica di nonna Speranza, immersa nella luce ambigua di un salotto antico pieno di "buone cose di pessimo gusto". Se nei Colloqui il registro polemico e quello nostalgico sono dichiaratamente crepuscolari, nello splendido abbozzo del poema incompiuto Farfalle, il tono risulta improvvisamente elevato e dolente, con accenti che ricordano l'ultimo Leopardi.

Sergio Corazzini

Il romano Sergio Corazzini (1886-1907), animatore di un cenacolo letterario, minato dalla tubercolosi, morì giovanissimo. Pubblicò in vita le raccolte di versi: Dolcezze (1904); L'amaro calice e Le aureole (1905); Piccolo libro inutile, Elegia (una sola poesia di ottantatré endecasillabi) e Libro per la sera della domenica (1906). Postume apparvero le Liriche (1908 e 1922). Esponente tipico del crepuscolarismo, con forti echi dei simbolisti francesi e fiamminghi, ha composto versi in cui la vita diventa attesa quasi incorporea della morte, e la parola esprime una perenne malinconia, nelle forme di un sommesso e dolente monologo. La sua è una produzione esangue ed estenuata.

Corrado Govoni

Corrado Govoni (1884-1965), nativo di Tàmara, presso Ferrara, fu autodidatta. Nel 1903, a meno di vent'anni, esordì con due raccolte: Le fiale, in stile dannunziano, e Armonia in grigio et in silentio, di toni crepuscolari ma anche ironici, seguite da Fuochi d'artificio (1905) e Gli aborti (1907). Si avvicinò quindi alla poetica del futurismo con le raccolte: Poesie elettriche (1911); Rarefazioni (1915); Inaugurazione della primavera (1915 e 1920). Dopo alcuni romanzi, tra cui La strada sull'acqua (1923) e Misirizzi (1930), tornò alla poesia con componimenti in cui prevalgono un accentuato decorativismo e la ricerca di un ritmo tenue e cantabile: Il quaderno dei sogni e delle stelle (1924); Canzoni a bocca chiusa (1938); Govonigiotto (1941). La raccolta Aladino (1946) fu scritta in memoria del figlio ucciso alle Fosse Ardeatine. Le ultime raccolte sono Stradario della primavera (1958) e La ronda di notte (1966, postumo). La sua opera è un repertorio ricchissimo d'immagini, ordinate secondo un procedimento accumulativo e allusivo.

Marino Moretti

Marino Moretti (1885-1979), di Cesenatico, visse a lungo a Firenze dove frequentò una scuola di recitazione e conobbe A. Palazzeschi, G. Papini e G. Prezzolini. Al 1905 risale la prima raccolta di versi Fraternità, seguita da Poesie scritte col lapis (1910), Poesie di tutti i giorni (1911), Il giardino dei frutti (1915). Rifiutò tutti i modelli poetici, se si esclude l'influenza di Pascoli, contrapponendo alla poesia dei suoi tempi una poesia senza "remo" né "ali", senza verità da trasmettere, secondo i moduli della poesia crepuscolare. Ne scaturisce un mondo minimo, grigio e triste nella sua mediocrità quotidiana, fatto di cose semplici e comuni, di lessico elementare, di ricordi dell'infanzia, degli affetti più importanti, come quello della madre. Si dedicò anche alla narrativa, componendo romanzi che ottennero un discreto successo di pubblico: I puri di cuore (1923) e La vedova Fioravanti (1941) sono i risultati più significativi della sua vasta produzione. In vecchiaia tornò alla poesia con ben quattro raccolte: L'ultima estate (1969); Tre anni e un giorno (1971); Le poverazze. Diario a due voci (1973); Diario senza le date (1974).

Il Futurismo

Il futurismo è il movimento d'avanguardia più importante di inizio secolo. Si basa sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali; cerca un linguaggio adeguato alla nuova civiltà delle macchine e basato sul vitalismo dell'epoca moderna. Il futurismo coinvolge tutte le forme artistiche dando origine a veri e propri capolavori nell'ambito delle arti plastiche e visive. Volle essere soprattutto un nuovo costume rivoluzionario di vita individuale e collettiva; per questo si diffuse in vari modi in tutta Europa e finì per anticipare l'ideologia fascista.

Caratteri generali

Alla base del futurismo fu l'intuizione che la cultura del Novecento non avrebbe potuto non tener conto dei poderosi processi di trasformazione socio-economica in atto: la rapida industrializzazione, la nuova struttura e la nuova funzione delle città, il trionfo della velocità, protagonista dei mezzi di comunicazione (come la radio) e dei mezzi di trasporto (l'automobile, l'aereo e in generale quelli mossi dal motore a scoppio), infine la stessa violenza distruttiva delle nuove armi. Ai futuristi risultò inadeguata la vecchia concezione della cultura come riflessione e comprensione razionale della realtà; così le contrapposero l'idea di una cultura incentrata sul bisogno di agire e su un progetto artistico capace di rappresentare il dinamismo.

L'elaborazione teorica fu affidata ai cosiddetti "manifesti". Il primo Manifesto del futurismo fu pubblicato il 20 febbraio 1909 da F.T. Marinetti, sulle pagine del quotidiano "Le Figaro" di Parigi e richiamava l'atto di fondazione di un movimento politico: i futuristi aspiravano a modificare radicalmente la società. Il futurismo, dunque, si pose in un'ottica dichiaratamente antiborghese: fu contro il perbenismo, ogni forma di tradizione, il parlamentarismo e la democrazia; sostenne invece la positività assoluta del gesto ribelle e libertario, dell'eroismo fine a se stesso, del disprezzo dei sentimenti, della guerra come "sola igiene del mondo". Tra i vari successivi manifesti che ribadivano e ampliavano l'intento provocatorio del primo, il più interessante per l'elaborazione culturale e le conseguenze fu il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), che propose la distruzione di tutti i nessi sintattici per lasciare le "parole in libertà" e realizzare l'espressione dell'"immaginazione senza fili", fondata su un uso estremo dell'analogia e dell'onomatopea per restituire sulla pagina l'effetto bruto e immediato del rumore. Una "rivoluzione tipografica" doveva realizzarsi con l'abolizione della punteggiatura e l'assunzione di una grafica capace di trasmettere immediatamente la diversa importanza delle parole. Apparvero anche manifesti tecnici di altre arti quali la pittura, la musica e l'architettura. Il Manifesto del teatro futurista sintetico (1915) suggeriva di sorprendere il pubblico con spettacoli brevissimi o addirittura inesistenti per provocarne la reazione anche violenta. Le posizioni del futurismo italiano in ambito politico trovarono espressione sulla rivista "Lacerba", furono meno originali e rimasero legate a forme di nazionalismo. Allo scoppio della prima guerra mondiale i futuristi si schierarono decisamente a favore dell'interventismo e parecchi di loro partirono volontari.

Filippo Tommaso Marinetti

Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), teorico del futurismo, nacque ad Alessandria d'Egitto, dove compì gli studi liceali; si laureò poi in lettere alla Sorbona di Parigi. Scrisse in francese le sue prime opere: I vecchi marinai (Les vieux marins, 1898); La conquista delle stelle (La conquête des étoiles, 1902); Distruzione (Destruction, 1904); la migliore è Il re Baldoria (Le roi Bombance, 1905), tragedia satirica contro la democrazia. Dopo la pubblicazione dei primi manifesti futuristi, curò l'antologia Poeti futuristi (1912). In quegli anni uscirono le sue opere più significative: Mafarka il futurista (1910) e la raccolta poetica Zang Tumb Tumb. Adrianopoli, Ottobre 1912 (1914), testi affidati a un'esasperata sperimentazione. Lo scoppio della prima guerra mondiale accentuò l'impegno politico di Marinetti che si schierò a favore dell'intervento, riunendo i suoi discorsi nel volume Guerra sola igiene del mondo (1915); nel dopoguerra aderì al Partito Fascista. Esaltato dal regime, nel 1929 fu nominato Accademico d'Italia e da allora tutto dedicato alla propaganda di governo. Pubblicò numerose opere autobiografiche, tra cui L'alcova di acciaio (1927); Scatole d'amore in conserva (1927); La grande Milano tradizionale e futurista (1969, postumo); Una sensibilità italiana nata in Egitto (1969, postumo).

Marinetti ebbe un ruolo di rilievo sulla scena europea per la capacità di organizzare e propagandare le nuove forme espressive; impose il modello dell'avanguardia in antitesi con il gusto estetico del pubblico.

Ardengo Soffici

Il toscano Ardengo Soffici (1879-1964) fu anche pittore di rilievo. Visse alcuni anni a Parigi a contatto con artisti e letterati. Tornato a Firenze (1907), prese parte all'esperienza della rivista "La Voce", e nel 1913 fondò con G. Papini la rivista "Lacerba". La raccolta poetica Bif§zf + 10. Simultaneità. Chimismi lirici (1915) è il suo risultato poetico più significativo, dominato dall'esaltazione futurista della modernità e della civiltà tecnologica. Cercò un "autobiografismo lirico" (Ignoto toscano, 1909 e Autoritratto d'artista italiano nel quadro del suo tempo, apparso fra il 1951 e il 1955). Notevoli il romanzo Lemmonio Boreo (1911) e alcuni saggi di critica d'arte. Dopo la grande guerra visse la riconversione all'ordine e la restaurazione della tradizione letteraria, in sintonia con la politica fascista.

Aldo Palazzeschi

Il fiorentino Aldo Palazzeschi (pseudonimo di Aldo Giurlani, 1885-1974), divenne entusiasta seguace del futurismo, ma ruppe con Marinetti perché contrario all'interventismo, vivendo da allora prima a Parigi, quindi di nuovo in Italia, appartato dalla cultura ufficiale. È autore del più bel testo di narrativa futurista, Il codice di Perelà (1911), e di alcuni testi poetici sperimentali raccolti nell'Incendiario (1913) e poi ampliati in Poesie (1925), dove mostra un uso grottesco della parola dotta, ma completamente svuotata di significato. Dopo la rottura con il futurismo, espresse una narrativa meno sperimentale e più realistica. Due imperi...mancati (1920, contro la guerra), le novelle raccolte nei volumi Il re bello (1921), Il palio dei buffi (1937), Bestie del '900 (1951), confluiti alla fine in Tutte le novelle (1957) e a cui succedette Il buffo integrale (1966), mostrano un realismo irregolare e ribelle e una rappresentazione del mondo piccolo-borghese. Elementi più patetici sono riscontrabili invece nei romanzi La piramide (1926) e soprattutto nel capolavoro Sorelle Materassi (1934), I fratelli Cuccoli (1948) e Roma (1953). Le opere della vecchiaia rivelano un nuovo equilibrio fra leggerezza sperimentale e densità poetica narrativa: importanti i romanzi Il doge (1967), Stefanino (1969), Storia di un'amicizia (1971) e le raccolte poetiche Cuor mio (1968) e Via delle cento stelle (1972). Palazzeschi, nella sua lunga carriera letteraria, è stato capace di rinnovarsi, passando dalle esperienze d'avanguardia del primo Novecento ai fermenti neorealistici del secondo dopoguerra.

"La Voce" e la poetica del "frammento"

"La Voce" è una delle principali riviste dei primi del Novecento: il suo lavoro rappresenta e sintetizza il grande dibattito culturale che allora si produsse intorno alle riviste letterarie. Le pubblicazioni iniziate a Firenze il 20 dicembre 1908, proseguite fino al 31 dicembre 1916, furono dapprima settimanali, poi (dal 1913) quindicinali. Fu diretta fino al 1914 da G. Prezzolini, tranne il breve periodo (aprile-ottobre 1912) in cui la direzione passò a G. Papini; dal 1914 venne diretta dal critico G. De Robertis (1888-1963) di Matera. Il progetto iniziale della rivista fu di carattere etico-politico, di chiara matrice crociana: la rivista ebbe il merito di diffondere la filosofia di B. Croce fra le nuove generazioni di intellettuali. L'intento primario dei collaboratori fu quello di dare "voce" a interventi culturali diversi, ma tesi a realizzare una cultura onesta capace di una moralità superiore. Di qui il programma di svecchiamento della cultura tradizionale e l'attenzione a tutti i problemi che travagliavano il paese: nacquero inchieste sulla questione meridionale, sulla scuola, sulle nuove filosofie e sulle nuove espressioni artistico-letterarie, con particolare attenzione alle battaglie delle avanguardie. Tutti i temi furono affrontati con grande impegno, riscontrabile sia nella seria documentazione sia nella tensione morale che permea gli articoli della rivista. Sotto la direzione di Prezzolini la rivista fu espressione di un "idealismo militante", più vicino alle posizioni del filosofo G. Gentile che a quelle di B. Croce. Nella fase successiva al 1913, molti intellettuali (tra cui G. Papini e A. Soffici) abbandonarono la rivista. per dare vita al nuovo periodico "Lacerba", anticrociano e futurista.

A partire dal 1914 la rivista, diretta da G. De Robertis, si dedicò esclusivamente a questioni letterarie. Particolare attenzione fu rivolta alla questione del rinnovamento del linguaggio letterario: la rivista si fece manifesto soprattutto dell'espressionismo, che condusse i vociani a prediligere forme nuove d'espressione, quali il frammento lirico e il superamento della tradizionale diversità fra poesia e prosa quale ricerca autentica e dolorosa di verità esistenziale. Vi collaborarono molti intellettuali, in particolare: S. Slataper, G. Boine, P. Jahier, R. Bacchelli, U. Saba, A. Palazzeschi, R. Serra, G.A. Borgese, C. Sbarbaro, D. Campana, C. Govoni.

Scipio Slataper

Il triestino Scipio Slataper (1888-1915) fu aperto alle istanze della cultura mitteleuropea e all'assidua lettura di autori tedeschi e nordici (ne derivò il saggio critico su Ibsen, pubblicato postumo nel 1916). L'opera più nota è Il mio Carso (1912), una sorta di lirico romanzo autobiografico attraversato da una tensione verso la distruzione selvaggia della vita, a cui tuttavia corrisponde il richiamo verso il mondo civile, verso una società più giusta e umana. Dopo aver sostenuto l'intervento in guerra dell'Italia contro l'Austria (Le strade d'invasione dall'Italia all'Austria, 1915), si arruolò volontario e morì in combattimento. Pubblicati postumi sono i suoi Scritti letterari e critici (1920), Scritti politici (1925) e l'epistolario Alle tre amiche (1958) che raccoglie le lettere inviate alle tre donne amate.

Giovanni Boine

Il ligure Giovanni Boine (1887-1917) nella sua breve e irrequieta esistenza, sentì vivissima l'esigenza di reinterpretare la tradizione cattolica; collaborò alle riviste "Il Rinnovamento" e "La Voce". Attento ai problemi sociali, si mosse fra un anarchismo individualistico e il bisogno di ordine, di rigore, di valori sicuri ai quali fare riferimento, che ritrovò nella vita e nella disciplina militare, come testimoniò nei Discorsi militari (1914). Osteggiò il neoidealismo di Croce con recensioni spesso polemiche e irriverenti (1914-1916) sulla "Rivista ligure". Nel romanzo autobiografico, Il peccato (1914), manifesta l'insofferenza verso le costrizioni sociali, con metodo narrativo intenso e dall'andamento lirico. Frantumi (1918), ultima sua opera, è una raccolta di prose liriche e il risultato migliore della sua scrittura: sono frammenti in cui si avvale di soluzioni stilistiche vicine all'espressionismo, in forte rottura con la tradizione.

Piero Jahier

Il genovese Piero Jahier (1884-1966), figlio di un pastore valdese, rinunciò a gli studi teologici per una crisi religiosa, e s'impiegò alle Ferrovie dello Stato. Nel 1909 cominciò a collaborare con la rivista "La Voce", pubblicandovi, con lo pseudonimo di Gino Bianchi, articoli, recensioni e testi letterari che testimoniano il suo profondo interesse religioso. Nel 1916 pubblicò Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi, libro di memorie d'infanzia che, con toni di satira anche violenta, ritrae l'insignificanza della vita e del lavoro borghese. Ufficiale degli alpini nella prima guerra mondiale, pubblicò poi la sua opera più nota Con me e con gli alpini (1919), mista di prosa e versi, esaltazione di un'umanità semplice e tenace, capace di sacrifici eroici. Dello stesso anno è Ragazzo, altissimo documento autobiografico che rievoca speranze e turbamenti della sua adolescenza.

Carlo Michelstaedter

Il goriziano Carlo Michelstaedter (1887-1910), di famiglia ebraica, si dedicò a studi di filosofia e di letteratura. Passato a Firenze collaborò alla "Voce"; si suicidò giovanissimo. Studioso delle filosofie pessimistiche e "negative" (F. Nietzsche e A. Schopenauer), nella sua tesi di laurea La persuasione e la rettorica (1913, postumo) mise a fuoco il problema di fondo della sua riflessione: l'impossibile rapporto fra il pensiero e la comunicazione nelle diverse organizzazioni sociali. Il saggio è un atto di accusa contro l'ipocrisia sociale e contro ogni istituzione culturale: la sua critica non risparmia le forme tradizionali del sapere, la pedagogia e il nuovo idealismo. Approfondì la sua meditazione negativa nel saggio Il dialogo della salute (1912, postumo). Le Poesie (1948, postumo) risentono dell'influenza di Leopardi. L'Epistolario (1958, postumo) e la raccolta Scritti scolastici (1976, postumo) hanno evidenziato i legami esistenti fra Michelstaedter e la cultura europea del Novecento.

Il frammentismo espressionistico di Federigo Tozzi

Federigo Tozzi (1883-1920) è uno dei più significativi autori del Novecento, narratore di grande originalità.

La vita e le opere

Esasperato dai continui scontri con il padre, che non accettò mai la sua attività letteraria, Tozzi visse in miseria i primi anni del secolo tra la natia Siena e Roma. Nel 1908 ottenne un impiego a Pontedera presso le ferrovie, ma l'anno successivo, morto il padre e divenuto erede di una discreta fortuna, si licenziò, sposò Emma Palagi, e si trasferì nel podere di Castagneto. Per alcuni anni, in relativa tranquillità, collaborò con riviste minori; compose testi poetici (La zampogna verde, 1911; La città della Vergine, 1913) e compilò l'Antologia d'antichi scrittori senesi (Dalle origini a Santa Caterina) (1913). Passato da un'iniziale simpatia verso il socialismo a un acceso spiritualismo animato da un cattolicesimo reazionario, fondò con l'amico scrittore Domenico Giuliotti (1877-1956), la rivista "La Torre" (1913), che si autodefinì l'"organo della reazione cattolica". Per la cattiva amministrazione del patrimonio in breve dovette vendere il podere e trasferirsi (1914) con la moglie e il figlio Glauco a Roma, dove pubblicò i brevissimi racconti di Bestie (1917), che gli aprirono la strada alla collaborazione con varie riviste. In pochi anni scrisse le opere più importanti: romanzi, novelle e testi teatrali, in gran parte già abbozzati precedentemente. Prima della morte, a Roma, pubblicò i romanzi Con gli occhi chiusi (1919) e Tre croci (1920). Postumi furono pubblicati le novelle Giovani, L'amore, Ricordi di un impiegato (tutte nel 1920), Il podere (1921) e l'incompleta Gli egoisti (1923), il romanzo epistolare Novale (1925), costituito dalle lettere inviate alla fidanzata.

Tematiche e stile

L'arte di Tozzi trae origine dalla rappresentazione di una materia fortemente autobiografica, fatta di ricordi ancora dolorosi, di fobie, di pulsioni profonde che attraversano il suo animo. Tema del primo romanzo, Con gli occhi chiusi, forse l'opera migliore, è l'iniziazione sentimentale ed erotica di un adolescente e presenta infiniti punti di contatto con la vita dell'autore. L'ambiente è una Siena opprimente, che fa da sfondo anche alla drammatica storia dei tre fratelli librai protagonisti inetti, meschini e sventurati di Tre croci, e il podere di Poggio de'Meli, tanto simile al reale fondo agricolo di Castagneto che è al centro del terzo romanzo, Il podere, potente e desolata confessione dell'incapacità di amministrare, di scegliere e quindi di vivere dell'autore. Tutto questo contenuto esistenziale (e quello al centro dei Ricordi di un impiegato o presente in maniera quasi urlata nei frammenti di Bestie) si trasforma sulla pagina in una scrittura personalissima che si mantiene nella struttura dei periodi, nei costrutti verbali, negli aspetti fonetici vicino all'andamento della lingua parlata, ma acquista nell'insieme una grande carica espressionistica grazie al taglio con cui l'autore osserva le cose e avverte in esse il riflesso del proprio disagio esistenziale.

La letteratura italiana dopo il decadentismo in sintesi

Il crepuscolarismo Il mondo poetico crepuscolare si compone di situazioni ricorrenti, per lo più del piccolo mondo della provincia. I poeti non credono più ai valori tradizionali, filosofici, politici o scientifici imperanti. Si sentono soli e incompresi e si chiudono nel proprio disagio. La lingua è sempre dimessa e prosastica. Solo in Gozzano dominano un'ironia e autoironia lancinante.
Esponenti principali Esponenti principali furono i poeti Guido Gozzano (1883-1916), Sergio Corazzini (1886-1907), Marino Moretti (1885-1979), Corrado Govoni (1884-1965).
Il futurismo Il futurismo è il movimento d'avanguardia più importante di inizio secolo. Si basa sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali; cerca un linguaggio sperimentale ed eversivo, adeguato alla moderna civiltà delle macchine e basato su un atteggiamento che vuole riprodurre il vitalismo dell'epoca moderna. L'elaborazione teorica fu affidata ai cosiddetti "manifesti".
Esponenti principali Il rappresentante più significativo è Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), che pubblicò il primo Manifesto del futurismo (1909). Fra gli altri esponenti di rilievo: Ardengo Soffici (1879-1964) e Aldo Palazzeschi (1885-1974), il quale tuttavia dopo un'iniziale adesione al futurismo passa a una narrativa meno sperimentale e più realistica (Le sorelle Materassi, 1934).
"La Voce" "La Voce" (1908-1916) è una delle principali riviste dei primi del Novecento. Il suo lavoro rappresenta e sintetizza il grande dibattito culturale d'inizio secolo. I vociani vogliono un forte impegno morale ed espressivo. La lingua poetica si apre al cosiddetto "frammentismo", cioè a un'espressione poetica capace di trascrivere direttamente il dramma esistenziale.
Esponenti principali Il triestino Scipio Slataper (1888-1915, autore del romanzo Il mio Carso, 1912); il ligure Giovanni Boine (1887-1917, autore del romanzo autobiografico Il peccato, 1914); il genovese Piero Jahier (1884-1966, che esaltò la vita di un'umanità semplice e tenace nel romanzo Con me e con gli alpini, 1919); il goriziano Carlo Michelstaedter (1887-1910, La persuasione e la rettorica, 1913).
Federigo Tozzi L'arte del senese Tozzi (1883-1920) trae origine dalla rappresentazione di una materia fortemente autobiografica, fatta di ricordi ancora dolorosi, di fobie, di pulsioni profonde del suo animo. La scrittura rispetta la struttura dei periodi, gli aspetti fonetici vicino all'andamento della lingua parlata, e acquista nell'insieme una grande carica espressionistica. Sue opere principali sono: Bestie (1917), Con gli occhi chiusi (1919), Tre croci (1920), Il podere (1921).

Benedetto Croce e il dibattito critico

Il neoidealismo italiano segna la rinascita del pensiero hegeliano e la forte opposizione nei confronti del metodo positivista. Il pensiero di Croce e di Gentile si fece riferimento essenziale sia per lo storicismo sia per il liberalismo italiano. Attorno a questa rinascita filosofica di inizio secolo matura, in modo assai complesso e ricco, il pensiero di scrittori o saggisti come Papini, Prezzolini, Gramsci. La riflessione sulla letteratura, inoltre, anima in varie direzioni il lavoro critico di autorevoli figure quali Serra, Borgese, Cecchi e Debenedetti.

Benedetto Croce

Benedetto Croce (1866-1952), figura centrale del neoidealismo, è stato il punto di riferimento dell'estetica della critica letteraria e della storiografia del Novecento italiano.

La vita

Nato a Pescasseroli, compì i primi studi a Napoli; a 17 anni, persi i genitori, venne accolto dallo zio Silvio Spaventa a Roma, dove s'iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Rientrato a Napoli nel 1886, Croce si dedicò alla ricerca storico-erudita, arrivando a una prima sistemazione teorica del rapporto tra storia, definita "rappresentazione del reale", e arte, definita "rappresentazione del possibile", nella "memoria" La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte (1893). Croce si interessò al marxismo su cui scrisse diversi saggi, poi raccolti in Materialismo storico ed economia marxistica (1900). Frattanto si occupava di letteratura, e diede un'esposizione organica della sua concezione dell'arte nell'Estetica come scienza dell'espressione (1902). Nel 1903 fondò con il filosofo e pedagogista siciliano G. Gentile (1875-1944) la rivista "La Critica", nella quale pubblicò numerosi studi su scrittori italiani della seconda metà del sec. XIX, raccolti poi sotto il titolo La letteratura della nuova Italia (6 voll., 1914-40), nonché vari saggi storici, in parte raccolti nel volume Storia del Regno di Napoli (1925). Nel 1910 fu nominato senatore e divenne ministro della Pubblica istruzione nel governo 1920-21. Il sodalizio con Gentile si ruppe quando questi aderì al fascismo, mentre Croce si schierò risolutamente contro il nuovo regime pubblicando il Manifesto degli antifascisti (1925). Pur astenendosi dalla politica attiva, Croce rimase costante punto di riferimento per gli intellettuali avversi alla dittatura e sviluppò accanto all'attività filosofica e critica un'intensa produzione storiografica i cui risultati più importanti furono la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928), la Storia dell'età barocca in Italia (1929) e, infine, la Storia d'Europa nel secolo XIX (1932). Morì a Napoli.

La concezione filosofica

Riferimento essenziale di Croce è il pensiero idealista del tedesco G.W. Hegel (1770-1831). L'idea fondamentale della "filosofia dello spirito" di Croce è che lo spirito (termine con il quale egli intende la realtà umana nella sua interezza) si articola in quattro forme distinte di attività: due teoretiche, la conoscenza intuitiva o conoscenza dell'individuale (che mette capo all'arte) e la conoscenza logica o conoscenza dell'universale (che è produttrice di concetti); e due pratiche, l'economica (o volizione del particolare) e l'etica (o volizione dell'universale). Lo spirito umano non si muove in senso univoco attraverso queste sue forme, ma "circola" liberamente per esse, determinandosi di volta in volta come spirito estetico o logico, economico o etico. L'opposizione che si manifesta all'interno d'ogni sfera (bello-brutto, vero-falso, utile-dannoso, bene-male) si risolve, infatti, per Croce in un nesso di "distinti". Ciò vuol dire che il momento negativo d'una forma di attività è costituito dall'"interferenza" di un'altra forma in sé positiva. Così, per esempio, il brutto è l'interferenza nell'arte del pensiero astratto o dell'attività pratica, non è cioè la negazione o il "contrario" della conoscenza intuitiva (l'arte), ma qualcosa di diverso da essa, un "distinto". La filosofia dello spirito crociana è esposta in quattro volumi: la già menzionata Estetica, la Logica come scienza del concetto puro (1909), la Filosofia della pratica. Economica ed etica (1908) e infine la Teoria e storia della storiografia (1917) nella quale culmina la propria concezione nella discussa identità di filosofia e storia.

L'estetica e la critica letteraria

L'arte è l'attività teoretica dello spirito rivolta all'individuale: essa è cioè "intuizione", termine che non designa un'occulta o misteriosa facoltà dell'artista, ma la cognizione di questo o quell'oggetto individuale, reale o immaginario che sia. Dal momento però che l'intuizione, a differenza della semplice sensazione, non è passiva ma attiva, essa è insieme espressione. L'immagine che l'artista riproduce con il suo mezzo specifico è anzitutto rappresentazione d'un sentimento, e come tale "liricità": l'opera d'arte non è cioè semplice imitazione o riproduzione d'una realtà individuale, bensì del modo in cui l'artista vede o intuisce quella realtà; in essa dunque contenuto e forma sono tutt'uno. La conseguenza di questa teoria fu la negazione della rilevanza estetica dei generi letterari e la riduzione della storia letteraria a una serie di trattazioni separate dei singoli autori. Quanto alla critica letteraria, essa è per Croce una ricostruzione del processo creativo dell'autore fino alla scoperta del nucleo costitutivo della sua ispirazione e, da ultimo, a un giudizio che assegni l'opera alla sfera estetica (bello) o la escluda da essa (brutto). Dopo l'Estetica del 1902 Croce riprese più volte la propria teoria in Problemi di estetica (1910), nel Breviario di estetica (1912), nell'Aesthetica in nuce (1928) e infine in La poesia (1936), dove veniva riconosciuto anche all'espressione non strettamente lirico-poetica un suo valore artistico come "letteratura". Efficaci esempi di critica letteraria sono i suoi saggi su Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920), Goethe (1917) e La poesia di Dante (1921), nonché le tarde Letture di poeti (1950).

Il giudizio critico

Il senso della ricerca di Croce dimostra una generale esigenza di serietà morale e di equilibrio formale, con una forte opposizione a tutto ciò che, nella letteratura, possa apparire decadente e negativo. Nei confronti della letteratura moderna e contemporanea fu rigido a favore dei classici, in conformità alla sua concezione dell'arte come armonica perfezione piuttosto che come ispirazione irrazionale. Quindi gli furono estranei autori e correnti innovatori e d'avanguardia.

Piero Gobetti

Il pensiero del torinese Piero Gobetti (1901-1926) è la testimonianza di un liberalismo integrale: l'esaltazione di un bisogno di idealità, di etica, di dignità letteraria e politica. Attratto dalla filosofia idealista, fondò la rivista "Energie nuove" (1918). Collaborò nel 1920 alla rivista di Gramsci "L'Ordine nuovo", sulla quale tenne una rubrica di recensioni teatrali: i suoi interventi furono poi pubblicati nel volume La frusta teatrale (1923). Nel 1922 fondò la rivista "Rivoluzione liberale" dalle cui pagine elaborò una critica agli ideali del Risorgimento e auspicò un patto politico tra borghesia e proletariato. Significativo per la sua valutazione del Risorgimento è anche il saggio La filosofia politica di V. Alfieri (1923). Nel 1924 fondò la rivista letteraria "Il Baretti", alla quale collaborarono intellettuali come Croce, Montale e Cecchi: era suo intento aggregare le forze intellettuali italiane per opporsi al fascismo che si stava consolidando. Nel 1925 dovette interrompere la sua attività in seguito al venir meno della libertà di stampa. Aggredito e duramente percosso da squadristi fascisti, fuggì a Parigi, dove morì poco dopo. La sua produzione fu raccolta e pubblicata postuma: Opere critiche (1926); Paradosso dello spirito russo (1926); Risorgimento senza eroi (1926).

Antonio Gramsci

Antonio Gramsci (1891-1937), fondatore del Partito comunista, propose uno degli sforzi più importanti nel Novecento per definire una nuova coscienza nazionale.

La vita

Allo scoppio della rivoluzione russa Gramsci fu tra i primi dirigenti socialisti a schierarsi in favore dei bolscevichi. Dopo la guerra, con A. Tasca, B. Terracini e P. Togliatti, Gramsci fondò l'"Ordine nuovo", rivista di dibattito politico e culturale, a cui collaborarono anche intellettuali di estrazione non marxista, come P. Gobetti. Nel 1921 il gruppo di "Ordine Nuovo" uscì dal Partito socialista e diede vita al Partito Comunista d'Italia. Nel 1924, eletto deputato, fu tra i dirigenti dell'opposizione antifascista dopo l'assassinio di G. Matteotti nel 1926 fu arrestato e condannato a vent'anni di reclusione. In carcere la sua salute peggiorò; ottenne la libertà completa solo pochi giorni prima di morire.

Le opere e il pensiero

Gramsci scrisse molto: la sua riflessione ha messo a fuoco alcune questioni fondamentali della storia d'Italia, in particolare quelle relative alla formazione e alla funzione degli intellettuali. Questo nodo trova largo spazio nei Quaderni del carcere (1929-34). Queste annotazioni vennero riunite per temi e pubblicate postume in sei volumi con i titoli redazionali: Il materialismo e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale; Passato e presente (1948-51). La parte estetica della riflessione gramsciana riguarda prevalentemente il confronto con B. Croce, del quale, rifacendosi alla lezione di F. De Sanctis, rifiutava la concezione elitaria della cultura, auspicando l'avvento di un intellettuale "organico", cioè partecipe dello sviluppo sociale. La cultura (le idee e la divulgazione) vive in una realtà dinamicamente politica e ha un ruolo decisivo per creare l'"egemonia" della classe operaia e fondare una nuova "coscienza nazionale". Documento esemplare di dignitosa sofferenza sono infine le Lettere dal carcere, pubblicate nel 1947.

Il modernismo di Papini e Prezzolini

Protagonisti di una cultura vivace, esuberante, che sperimenta e attacca radicalmente qualsiasi forma di cultura accademica, furono G. Papini e G. Prezzolini. Le riviste da loro fondate o a cui essi parteciparono attivamente, permisero la maturazione di una letteratura novecentesca finalmente autonoma dagli stanchi retaggi della cultura provinciale italiana.

Giovanni Papini

Il fiorentino Giovanni Papini (1881-1956) nel 1903 fondò il "Leonardo", con lo scopo di combattere l'accademismo e l'immobilismo della cultura ufficiale. Diede la sua prima prova di narratore con i due volumi di racconti metafisici Tragico quotidiano (1906) e Il pilota cieco (1907). Nello stesso anno pubblicò Il crepuscolo dei filosofi, in cui attaccava con "briosa strafottenza" alcuni maestri del pensiero contemporaneo, da Kant a Hegel, da Schopenhauer a Nietzsche. Del 1912 è Un uomo finito, in cui è racchiusa tutta una tematica di ribellioni e di dissidi, nel quadro di un racconto autobiografico. In quel periodo, Papini scrisse moltissimo: oltre a saggi sul pragmatismo, i racconti di Parole e sangue (1912) e di L'altra metà (1912). Nel 1913 fondò con A. Soffici la rivista "Lacerba", che divenne l'organo del futurismo italiano. Negli anni dopo la guerra si accostò al cattolicesimo e manifestò clamorosamente la sua conversione con la Storia di Cristo (1921), un libro di violenta polemica contro il materialismo contemporaneo. Seguirono il Dizionario dell'omo salvatico (1923) in collaborazione con D. Giuliotti, i versi di Pane e vino (1926), Sant'Agostino (1929), le prose di Gog (1931), Dante vivo (1933). Dal 1935 Papini aderì al fascismo e fu nominato accademico d'Italia. Alla fine della seconda guerra mondiale la fortuna di Papini sembrò definitivamente tramontata; ma nel 1946 con le Lettere di Celestino VI, nel 1949 con la Vita di Michelangiolo nella vita del suo tempo e poi con Il diavolo (1953) egli tornò improvvisamente alla ribalta, destando scalpore e interesse. Forse le pagine migliori di tutta la sua vastissima produzione furono le "schegge" apparse sul "Corriere della Sera", poi riunite nel volume Le schegge (1971, postumo). Postumi anche Il giudizio universale (1957), La seconda nascita (1958), Diario (1962), Rapporto sugli uomini (1977).

Giuseppe Prezzolini

Il perugino Giuseppe Prezzolini (1882-1982), autodidatta, attento ai più diversi richiami culturali e ideologici, si avvicinò a Parigi alla filosofia di H. Bergson e al pragmatismo. Nel 1903 fondò con G. Papini la rivista "Il Leonardo", sulla quale firmò fino al 1907 articoli di impronta bergsoniana, venati di irrazionalismo e fortemente polemici verso il positivismo e il verismo. Nel 1906 pubblicò assieme a G. Papini il volume La cultura italiana, in seguito più volte riedito. Al 1908 risale la sua adesione alla filosofia crociana e la fondazione della rivista "La Voce", che diresse fino al 1914. Interventista allo scoppio della prima guerra mondiale, fu ufficiale al fronte. Dal 1925 al 1929 lavorò presso un istituto culturale della Società delle Nazioni, e nel 1930 si trasferì a New York dove insegnò alla Columbia University. Tornato in Italia, si trasferì a Lugano da dove collaborò con vari giornali e riviste.

Prezzolini svolse nei primi due decenni del Novecento una importantissima funzione di organizzatore culturale, di divulgatore di idee, passando con disinvoltura attraverso atteggiamenti diversi e contrastanti; la continuità era garantita dalla sua concezione dell'intellettuale come figura demiurgica, capace di guidare lo sviluppo storico e sociale. Nell'insieme la sua vasta opera è improntata a evidente conservatorismo. Tra i numerosissimi scritti si ricordano Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1902 al 1948 (1936-48); America in pantofole (1950) e America con gli stivali (1954), impressioni di viaggio legate all'esperienza americana; L'italiano inutile (1953), autobiografia intellettuale con una stimolante descrizione dei primi decenni del Novecento; L'Italia finisce, ecco quel che resta (1958), Dal mio terrazzo (1960); Dio è un rischio (1969).

Il dibattito critico: Serra, Borgese, Cecchi, Debenedetti

Renato Serra

Il romagnolo Renato Serra (1884-1915), di Cesena, fu forse il più grande critico letterario di inizio secolo. Partito da interessi classici (tesi di laurea sul Petrarca, 1904), si dedicò alla letteratura contemporanea italiana e straniera (l'inglese J.R. Kipling, i francesi Ch. Péguy e R. Rolland), lontano da ogni preoccupazione di metodo, in realtà geniale precursore degli studi sui legami tra scrittura e fatti storici. Tutte le sue Opere uscirono postume (1919-23), tranne i suoi libri più belli: Le lettere (1914), un bilancio della letteratura italiana contemporanea, e l'Esame di coscienza di un letterato (1915), il suo capolavoro pubblicato prima di cadere in battaglia, in cui è riconoscibile l'intensità impressionistica di una riflessione intorno al senso dello scrivere e del leggere.

Giuseppe Antonio Borgese

Il siciliano Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) manifestò una forte personalità di intellettuale e fu un fine cultore delle letterature straniere. Partito da una forte esigenza morale, gettò le basi del canone storiografico novecentesco. Superato l'iniziale dannunzianesimo (ne sancì il distacco con il saggio Gabriele D'Annunzio, 1909), si avvicinò a una concezione dell'arte legata alla vita nei suoi risvolti psicologici e morali. Interventista acceso, ma deluso dai risultati del conflitto, propose nel saggio Tempo di edificare (1923) un'idea di letteratura capace di contribuire a una nuova umanità. Di qui la valorizzazione dell'opera di scrittori come L. Pirandello e F. Tozzi. Rifiutò di prestare il giuramento al regime fascista ed emigrò negli Stati Uniti, dove insegnò dal 1931 al 1949. Famoso il suo saggio in inglese sul fascismo Golia, la marcia del fascismo (Goliath, the march of fascism, 1937), nel quale denunciò la matrice piccoloborghese del totalitarismo. Di rilievo gli interventi critici su G. Pascoli e su alcuni poeti che proprio da lui vennero chiamati "crepuscolari". Fra i saggi si ricordano La vita e il libro (1931); Ottocento europeo (1927); Il senso della letteratura italiana (1931); Problemi di estetica e storia della critica (1952). Si dedicò anche alla narrativa: molte le raccolte di novelle, riunite in Le novelle (1950); numerosi romanzi nei quali analizza contorte situazioni psicologiche, spicca fra gli altri Rubè (1921), storia di un intellettuale siciliano piccoloborghese interventista deluso, che nel dopoguerra si ritrova svuotato di piccoli o grandi ideali proprio alla vigilia dell'avvento del fascismo.

Emilio Cecchi

Il fiorentino Emilio Cecchi (1884-1966) è forse la mente saggistica più interessante di inizio secolo. Collaborò tra l'altro a "La Voce", e fu tra i fondatori de "La Ronda". Attento a tutti gli aspetti essenziali della cultura contemporanea (come il cinema, a cui si accostò anche come sceneggiatore), fu esperto di letteratura inglese e americana, studiata durante i soggiorni negli Stati Uniti (1930 e 1938). I saggi, Scrittori inglesi e americani (1935) e America amara (1939), ebbero il merito di far conoscere all'Italia fascista la società e la cultura americane. La sua attività di critico è testimoniata da molti studi, fra i quali: L'arte di Rudyard Kipling (1911); La poesia di Giovanni Pascoli (1912). Pregevoli i saggi di critica d'arte. Con N. Sapegno (1901-1990) diresse un'importante Storia della letteratura italiana (9 voll., 1965-69). Il suo metodo critico, sorretto da una raffinata cultura, gli fa affrontare la pagina letteraria con l'intento di cogliervi lo spessore umano e la psicologia dello scrittore. Si dedicò anche alla scrittura creativa con brevi e raffinatissime prose, pubblicate per lo più sulle terze pagine dei giornali, raccolte poi in Pesci rossi (1920), L'osteria del cattivo tempo (1927), Qualche cosa (1931), Corse al trotto (1936).

Giacomo Debenedetti

L'opera critica del biellese Giacomo Debenedetti (1901-1967) è una straordinaria sintesi di esigenze realistiche in cui però maturano temi di natura surreale. Formatosi nella Torino di P. Gobetti, manifestò subito il suo interesse per gli scrittori di frontiera, come U. Saba e C. Michelstaedter, e per la letteratura europea più significativa, in particolare per l'opera del francese M. Proust, da lui ritenuto il caposcuola del romanzo contemporaneo. Superata l'iniziale adesione all'estetica di B. Croce, si avvicinò alla critica marxista, mentre s'interessava sempre più alla psicoanalisi, quale strumento d'indagine critica. Nelle tre serie di Saggi critici (1929; 1945; 1959), la sua ricerca si svolse in più direzioni: focalizzò l'attenzione sulla "cronaca interna" d'un autore per istituire continui rapporti fra biografia e poesia, fra letteratura e storia, utilizzando strumenti diversi, dall'analisi stilistica all'approccio psicanalitico. Particolare attenzione rivolse al personaggio narrativo, che considerò come frutto della storia occidentale. In questa direzione lesse le opere di F. Tozzi, L. Pirandello, I. Svevo, M. Proust, J. Joyce nei due saggi di fondamentale importanza: Il personaggio-uomo (1970) e Il romanzo del Novecento (1971). Nei romanzi Amedeo e altri racconti (1926), Otto ebrei (1944) e 16 ottobre 1943 (1945), narrò le vicende di ebrei perseguitati dalle leggi razziali.

Benedetto Croce e il dibattito critico in sintesi

Croce Filosofo fondatore del neoidealismo italiano, storiografo e critico lettarario, Benedetto Croce (1866-1952) è l'indiscusso riferimento dell'estetica e della critica letteraria del Novecento italiano. Formulò il concetto di intuizione-espressione, osservando che l'immagine che l'artista riproduce con il suo mezzo specifico è anzitutto rappresentazione di un sentimento: l'opera d'arte non è cioè semplice imitazione o riproduzione d'una realtà individuale, bensì del modo autonomo in cui l'artista vede o intuisce quella realtà; in essa dunque contenuto e forma sono tutt'uno.
Giudizio Convinto assertore di una concezione dell'arte come armonica perfezione, si oppose ad autori e correnti innovatori e d'avanguardia.
Antonio Gramsci Antonio Gramsci (1891-1937), uno dei fondatori del Partito comunista d'Italia (1921), rifiuta la concezione elitaria della cultura, auspicando l'avvento di un intellettuale "organico", cioè partecipe dello sviluppo sociale. Per lui la cultura (le idee e la divulgazione) vive in una realtà dinamicamente politica e assume dunque un ruolo decisivo per creare una nuova "egemonia" della classe operaia e fondare una nuova "coscienza nazionale". Opere principali Quaderni del carcere (1929-34).
Papini e Prezzolini Papini e Prezzolini, entrambi collaboratori della rivista "La Voce", sono protagonisti di una cultura vivace, esuberante, spesso contraddittoria, mai vacua, che sperimenta e attacca radicalmente qualsiasi forma di cultura accademica. Di Papini (1882-1956), fondatore della rivista "Lacerba", sono da ricordare Il crepuscolo degli dei (1907), Un uomo finito (1912); La storia di Cristo (1921), testimonianza della sua clamorosa conversione al cattolicesimo; Le schegge (1971, postumo) che raccolgono le sue pagine migliori. Prezzolini (1882-1982), fondatore della rivista "La Voce" (1908), fu un grande divulgatore di idee e di cultura. Stimolante descrizione dei primi decenni del Novecento è la sua autobiografia L'italiano inutile (1953).
Il dibattito critico Espresso in varie direzioni dalla riflessione sulla letteratura, ha come principali protagonisti: Renato Serra (1884-1915), autore soprattutto di Esame di coscienza di un letterato (1915); Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) a cui si devono rilevanti saggi sulla letteratura italiana, sui crepuscolari, sul fascismo (Golia, la marcia del fascismo, 1937, in inglese), Le novelle (1950), e fra i romanzi, Rubè (1921); Emilio Cecchi (1884-1966), vociano tra i fondatori della rivista "La Ronda", esperto di letteratura inglese e americana, è autore di una Storia della letteratura italiana (9 voll., 1965-69) e di brevi e raffinate prose giornalistiche (tra cui Pesci rossi, 1920, Qualche cosa, 1931); Giacomo Debenedetti (1901-1967), crociano avvicinatosi alla critica marxista e alla psicoanalisi, è autore di Saggi critici (1929; 1945; 1959) e dei fondamentali Il personaggio-uomo (1970) e Il romanzo del Novecento (1971), nei quali focalizzò la sua attenzione critica sul personaggio narrativo.

La nuova poesia: Saba e Ungaretti

L'opera di Saba e Ungaretti è una rivoluzione quasi inconsapevole. Saba cerca la semplicità della parola, la musicalità del verso, un paesaggio reale e quotidiano. In Ungaretti è più evidente il confronto con la tradizione francese; la sua poesia coglie l'innocenza e la nuda verità umana anche delle circostanze più tragiche. Entrambi i poeti insieme con Campana, Rebora e Sbarbaro inaugurano la nuova poesia italiana del Novecento.

Umberto Saba

Umberto Saba è pseudonimo del triestino Umberto Poli (1883-1957), figura straordinaria e solitaria nel panorama della poesia italiana del Novecento.

La vita e le opere

Lasciò gli studi ancora adolescente per lavorare come commesso. A vent'anni si trasferì per qualche tempo a Firenze, dove entrò in contatto con i redattori della "Voce", ai quali propose i propri scritti. L'esperienza (1907) del servizio militare a Salerno lo allontanò dall'ambiente estetizzante e lo avvicinò alla realtà quotidiana. Tornato a Trieste, nel 1909 sposò Carolina (Lina) Wölfler, che gli diede l'unica figlia, Linuccia. Nel 1910 pubblicò a proprie spese la raccolta Poesie nella quale emergono i versi che celebrano la vita familiare come porto di pace. Nella successiva Trieste e una donna (1912) domina invece il contrasto tra la sofferenza per un amore sfuggente e l'esaltazione della città come luogo familiare e sicuro. Dopo la prima guerra mondiale riprese a scrivere e a pubblicare poesie: Cose leggere e vaganti (1920); L'amorosa spina (1921), che con le raccolte precedenti confluirono nella prima edizione del Canzoniere (1921); Preludio e canzonette (1923); Cuor morituro (1926).

Nel 1928 la rivista "Solaria" pubblicò la sua raccolta Preludio e fughe (1928), cui seguirono Parole (1934) e le brevi prose di Scorciatoie (1936). Le leggi razziali imposte dal fascismo (1938) lo costrinsero a cedere formalmente la proprietà della libreria, e a trasferirsi a Parigi.

Con lo scoppio della guerra trovò rifugio a Firenze, dove visse nascosto per vari mesi, visitato solo da Montale. Alla fine del conflitto visse a Milano, dove preparò e pubblicò le varie edizioni del Canzoniere (1945, 1948, 1951, 1961, postuma). Dopo le ultime raccolte Ultime cose (1944); Mediterranee (1946); Uccelli. Quasi un racconto (1951), le bellissime prose Scorciatoie e raccontini (1946), morì a Gorizia. Postumo uscì il romanzo incompiuto Ernesto (1975).

I temi del "Canzoniere"

Somma di tutte le raccolte pubblicate nel corso degli anni, il Canzoniere è un'opera compiuta. La poesia di Saba nasce non da una frattura con il passato, ma da una fusione tra il grande interesse per la poesia italiana del Settecento e dell'Ottocento (in particolare per Leopardi) e le suggestioni più intense della cultura mitteleuropea contemporanea (Nietzsche e Freud).

Da queste scelte culturali discendono i suoi temi: protagonista è l'inesausta ricchezza della vita, con tutte le sue contraddizioni, la gioia e il dolore, le pulsioni d'amore e di morte. Saba si appropria dei momenti della vita con un godimento vorace e istintivo, quasi fanciullesco, sia che si tratti delle vie della sua città o di un'immagine di donna, di un sogno o di un ambiente. Tutte queste cose divengono per il poeta "parole buone", rivolte al lettore non per disorientarlo nel labirinto del simbolismo, ma per accompagnarlo in un cammino di amicizia. Ben diverso dall'io decadente o crepuscolare, che diventava baluardo e difesa dal mondo, l'io della lirica di Saba è disposto a una fraterna comunione. Ma proprio per questa sua "innocenza" nell'approccio con il mondo, a ogni passo egli incontra il negativo, il senso di sofferenza e di dolore che sta in fondo a ogni manifestazione della vita, anche la più gioiosa.

Giuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti (1888-1970) è considerato uno dei maggiori e più influenti poeti italiani del Novecento.

La vita

Trascorse ad Alessandria d'Egitto, dov'era nato, gli anni dell'infanzia e della prima giovinezza. Nel 1912 si recò a Parigi per completare gli studi alla Sorbona. Qui si legò d'amicizia con i maggiori protagonisti dell'avanguardia letteraria e artistica (G. Apollinaire, P. Picasso, M. Jacob, A. Modigliani e G. de Chirico), e conobbe A. Soffici e A. Palazzeschi, che inviarono in Italia alcune sue poesie, apparse sulla rivista "Lacerba". Rientrato in Italia nel 1915, partecipò alla prima guerra mondiale. L'esperienza della trincea sul Carso fu decisiva per la sua vocazione di poeta. Proprio al fronte, nel 1916, apparvero le ottanta copie della prima raccolta, Il porto sepolto, confluita nel 1919 in Allegria di naufragi e poi nell'edizione definitiva, L'allegria (1931). Stabilitosi a Roma, si guadagnò da vivere redigendo rassegne stampa per il ministero degli esteri e collaborando a giornali e riviste. Furono anni di ripiegamento interiore, che lo portarono alla nuova maturità stilistica espressa nei versi di Sentimento del tempo (1933). Nel 1936 andò a insegnare letteratura italiana all'università di San Paolo del Brasile. Rientrato in Italia, nel 1942 venne eletto Accademico d'Italia e nominato professore di letteratura italiana all'università di Roma, incarico che mantenne fino al 1958. Nel 1947 uscì Il dolore, versi dedicati soprattutto alla guerra e alla morte del figlio Antonietto. Seguirono La terra promessa (1950), Un grido e paesaggi (1952), Il taccuino del vecchio (1960). Nel 1961 apparvero le prose Il deserto e dopo, che raccoglie scritti di viaggio, ricordi e pensieri di varia ispirazione. Nel 1969, alla vigilia della morte, avvenuta a Milano, tutte le poesie furono riunite in volume, a cui lo stesso Ungaretti diede il titolo di Vita d'un uomo.

Le opere

Nel 1916, in piena guerra e in un clima letterario saturo di dannunzianesimo e di "canzoni" inneggianti alle virtù guerriere e alle gesta d'oltremare, i versi di Porto sepolto ebbero un effetto sorprendente. In effetti quelle poesie, dai versi spesso brevissimi, talvolta composti di una sola parola, stravolgevano la tradizione, portando alle estreme conseguenze quanto aveva iniziato Pascoli. Nessun libro del Novecento poetico italiano è stato, da questo punto di vista, altrettanto rivoluzionario.

Nell'Allegria , dopo i ritocchi formali volti a scolpire ancor più la parola-materia, il verso libero (ma spesso si tratta di endecasillabi e settenari spezzati) dilata al massimo la sua forza espressiva. Il poeta, "uomo di pena", racconta il suo calvario di soldato come in un diario della sofferenza scandito dal luogo e dal giorno. La solidarietà e la compassione si elevano sui cumuli di macerie; la metrica è frantumata, la parola è scarnificata, ridotta alla sua essenza pura, tanto più significativa perché sobria, frammento di vita che si staglia sul bianco della pagina. E proprio questa voluta rarefazione (eredità del simbolismo estremo del francese S. Mallarmé) conferisce alle immagini il loro scabro e intenso lirismo, mentre il poeta, avvolto in "una corolla di tenebre", diventa "un grido unanime... un grumo di sogni". Nel dopoguerra, con Sentimento del tempo, che segna il personale "ritorno all'ordine" di Ungaretti, il paesaggio sarà la campagna romana, le immagini si faranno più morbide e sensuali, le forme più cantabili. La tradizione, prima scardinata, si riaffaccia ora nel confronto con i maestri del passato: il verso si ricompone, torna a celebrare i fasti delle misure classiche. Il grido dell'Allegria si fa racconto, la parola si dispiega in cadenze talora auliche.

Nel Dolore, le strazianti parole per il figlio perduto ("In cielo cerco il tuo felice volto") accompagnano i versi su Roma occupata e sui disastri, soprattutto morali, della guerra (Non gridate più), mentre, consumatasi la stagione delle smanie amorose, si affaccia ora quella più opaca dei ricordi. Con La terra promessa, Un grido e paesaggi, Il taccuino del vecchio, fino ai versi scritti ancora nel 1969, siamo alla poesia dell'inverno: accanto agli strumenti linguistici ormai consolidati di uno stile "barocco", manieristico (memore del paesaggio brasiliano) che guarda a Tasso e Leopardi, si accentuano i dubbi e i turbamenti sul destino dell'uomo; pur nel conforto rappresentato dalla religione, la vita viene guardata con l'ironico distacco e la malinconica saggezza di chi ha molto vissuto e molto sofferto.

Dino Campana

Dino Campana (1885-1932), considerato per l'eccentricità della vita l'ultimo dei poeti "maledetti", ha tentato uno sperimentalismo originalissimo che risente di numerose componenti culturali, in primo luogo del simbolismo francese.

Nato a Marradi, presso Firenze, studiò chimica a Bologna e Firenze; già nel 1905 venne ricoverato per qualche mese nel manicomio di Imola. Vagabondò in seguito per l'Italia e all'estero. Nel 1913 entrò in contatto a Firenze con A. Soffici e G. Papini. Nel 1914 pubblicò a proprie spese la sua prima opera, Canti orfici. Nel 1918 fu internato nel manicomio di Castel Pulci, presso Firenze, e lì visse fino alla morte. La maggior parte della produzione artistica (Inediti, 1942; Taccuino, 1949; Lettere, 1958; Taccuinetto fiorentino, 1960) fu pubblicata postuma.

La poetica

Se la follia è un modo per comprendere la sua esistenza, nella poesia essa è il segno letterario di un'esperienza conoscitiva, che spinge il poeta al totale rifiuto della realtà alienante, alla ricerca di una innocenza incontaminata. Ricollegandosi a Baudelaire, Rimbaud, Poe, Nietzsche, Campana sviluppa nella sua poesia una volontà anarchica e distruttiva, che mira anche a sconvolgere i meccanismi della comunicazione borghese e a creare con la parola poetica lampi improvvisi, "grida" per "sputarvi in viso". Suo tema fondamentale è il "viaggio", metafora poetico-esistenziale che spinge il poeta verso terre lontane alla ricerca di una terra sognata, intuita solo poeticamente. Ricerca, conoscenza, liberazione che apre agli aspetti più inquietanti dell'esistenza; la parola poetica si fa divina perché rivelatrice della realtà più profonda e inconoscibile. Di qui il titolo che richiama il mitico cantore greco Orfeo e un'antica religione misterica, per designare questa poesia capace di penetrare nel mistero, assoluta.

La poesia di Campana occupa un posto a sé e rappresenta un risultato autonomo rispetto alle forme dell'avanguardia. Il mito del poeta "pazzo" e "vagabondo", nato dopo l'internamento definitivo in manicomio, non ha agevolato la comprensione della sua poesia.

Clemente Rebora

Di formazione laica, il milanese Clemente Rebora (1885-1957) attraversò una grave crisi interiore che lo portò vicino al suicidio; a questa condizione è legata la scelta della poesia come forma di riflessione e comunicazione. Pubblicò nel 1913 i Frammenti lirici, dominati da un profondo senso di inquietudine esistenziale. Lo scoppio del primo conflitto mondiale acuì il suo disagio. Pubblicò i Canti anonimi di C. R. (1922) e datosi allo studio delle letterature orientali e degli scrittori russi, tradusse la favola buddista Gianardana (1923), Il cappotto di N. Gogol (1922), La felicità domestica di L. Tolstoj (1930). Nel 1928 si accostò alla fede cattolica, nel 1929 prese i voti e nel 1936 fu ordinato sacerdote: al momento della sua ordinazione distrusse tutti i suoi scritti e si chiuse nel completo isolamento, senza tuttavia mai smettere l'attività poetica, come testimoniano le ultime raccolte di argomento religioso: Via Crucis (1955); Canti dell'infermità (1956).

La poesia di Rebora nasce da un espressionismo martellante, quasi plasmato e lavorato da un'interrogazione spirituale angosciosa che pare priva di soluzione. Come nel caso lontano di Jacopone da Todi, anche la sua poesia religiosa appare un dramma irrisolto, perpetuo e luminosissimo.

Camillo Sbarbaro

Di formazione laica, il milanese Clemente Rebora (1885-1957) attraversò una grave crisi interiore che lo portò vicino al suicidio; a questa condizione è legata la scelta della poesia come forma di riflessione e comunicazione. Pubblicò nel 1913 i Frammenti lirici, dominati da un profondo senso di inquietudine esistenziale. Lo scoppio del primo conflitto mondiale acuì il suo disagio. Pubblicò i Canti anonimi di C. R. (1922) e datosi allo studio delle letterature orientali e degli scrittori russi, tradusse la favola buddista Gianardana (1923), Il cappotto di N. Gogol (1922), La felicità domestica di L. Tolstoj (1930). Nel 1928 si accostò alla fede cattolica, nel 1929 prese i voti e nel 1936 fu ordinato sacerdote: al momento della sua ordinazione distrusse tutti i suoi scritti e si chiuse nel completo isolamento, senza tuttavia mai smettere l'attività poetica, come testimoniano le ultime raccolte di argomento religioso: Via Crucis (1955); Canti dell'infermità (1956).

La poesia di Rebora nasce da un espressionismo martellante, quasi plasmato e lavorato da un'interrogazione spirituale angosciosa che pare priva di soluzione. Come nel caso lontano di Jacopone da Todi, anche la sua poesia religiosa appare un dramma irrisolto, perpetuo e luminosissimo.

La nuova poesia in sintesi

Umberto Saba Nutrita di tradizione poetica italiana e mitteleuropea, la sua poesia è aperta alla ricchezza e contraddittorietà della vita in una fraterna comunione. Ma per questa sua semplicità e "innocenza" di approccio con il mondo, egli incontra il negativo, la sofferenza e il dolore che stanno in fondo a ogni manifestazione della vita, anche la più gioiosa. Opera principale: Canzoniere (1945; 1961, edizione postuma definitiva).
Giuseppe Ungaretti La poesia è la ricerca della verità umana e il poeta è "uomo di pena". Le parole, scavate fino all'osso, pesano con un enorme dolore e diventano materia. La solidarietà e la compassione si elevano sui cumuli di macerie. La metrica è frantumata in versi brevissimi, la parola scarnificata, ridotta alla sua essenza pura, e tanto più significativa perché sobria, frammento di vita che si staglia sul bianco della pagina. Negli anni più maturi si riaffaccia la tradizione con un ritorno all'ordine in una visione di ironica e malinconica saggezza.
Opere Allegria di naufragi (1919); Sentimento del tempo (1933); Il dolore (1947); La terra promessa (1950); Un grido e paesaggi (1952); Il taccuino del vecchio (1960).
Dino Campana Considerato per l'eccentricità della vita l'ultimo dei poeti "maledetti", ha tentato uno sperimentalismo originalissimo, che risente di numerose componenti culturali, in primo luogo del simbolismo francese. Opera principale: Canti orfici (1914), in cui il viaggio è metafora poetico-esistenziale.
Clemente Rebora La sua poesia ha un'altissima ispirazione religiosa; il dramma esistenziale comunque irrisolto si manifesta in un fortissimo espressionismo lirico. Opere: Frammenti lirici (1913), Canti dell'infermità (1956).
Camillo Sbarbaro Fece della "rinuncia", della povertà esistenziale il nucleo della sua poesia, in una scabra e insieme levigata oggettività poetica. Opere principali: Resine (1911); Pianissimo (1914); prose liriche: Trucioli (1920); Fuochi fatui (1956), Scampoli (1960).

Gli anni Venti e Trenta

Il primo dopoguerra vede da una parte un rilancio della narrativa (con l'esigenza di un nuovo tipo di romanzo) e dall'altra un "ritorno all'ordine", rappresentato soprattutto dalle proposte della rivista romana "La Ronda". Negli anni di consolidamento del regime fascista, il ventennio fra le due guerre conosce una produzione narrativa e poetica di notevole livello. Riappare il romanzo naturalistico a cui corrisponde un espressionismo tutto grottesco e municipale. Si affacciano sul panorama letterario molte figure (come Montale, Bontempelli, Debenedetti, Landolfi, Moravia) che saranno significative anche per la letteratura della seconda parte del secolo.

Enrico Pea

Enrico Pea (1881-1958), nato a Seravezza, presso Lucca, visse un'adolescenza disagiata, svolgendo diversi mestieri, fra i quali il mozzo, finché si stabilì ad Alessandria d'Egitto. Qui conobbe il poeta G. Ungaretti, che curò la pubblicazione della sua prima opera in versi, Fole (1910). Ritornato in Italia, Pea si stabilì a Viareggio, dove, fondato il teatro Politeama, compose le tragedie Giuda (1918), Prime piogge d'ottobre (1919) e Rosa di Sion (1920), seguite dalla Passione di Cristo (1923). Fra i numerosi racconti e romanzi, molti a sfondo autobiografico, dominati dalla rievocazione mitico-popolare della terra versiliese e da personaggi che sanno vivere passioni peccaminose e primordiali, spiccano la trilogia Moscardino (1922), Il volto santo (1924), Il servitore del diavolo (1931), e i romanzi: Magoometto (1942), Lisetta (1946), Zitina (1949), Peccati in piazza (1956) e Il " Maggio" in Versilia, in Lucchesia e in Lunigiana (1954), che palesa l'amore e l'interesse per la rappresentazione dei "maggi" toscani. Morì a Forte dei Marmi.

"La Ronda" e il rondismo

La rivista romana "La Ronda", pubblicata fra il 1919 e il 1922, rifiutò l'esperienza dell'avanguardia. Il suo stesso titolo, alludendo alla ronda militare, prospettava l'esigenza di ordine nelle fila del mondo letterario. Venne proposta una sorta di nuovo classicismo, tutto "italiano", che si rifaceva al magistero di Manzoni e Leopardi. I rondisti (V. Cardarelli, A. Baldini, R. Bacchelli, E. Cecchi, B. Barilli) guardarono alla prosa, e in particolare alle Operette morali leopardiane, come a un mezzo per trovare un perfetto equilibrio formale, serio e dignitoso. L'esigenza finiva però per far trascurare la necessità di una costruzione strettamente romanzesca. Ne derivò quindi una sorta di "frammentismo" luminoso e affascinante, anche se perfettamente opposto a quello drammatico e urlato della "Voce", soluzione stilistica elegante, ma per lo più priva di contenuti originali.

Vincenzo Cardarelli

Vincenzo Cardarelli è lo pseudonimo di Nazareno Caldarelli, di Tarquinia (1887-1959), l'esponente di maggior rilievo della tendenza a una parziale restaurazione dei valori poetici tradizionali. Autodidatta, collaborò alla rivista "La Voce", e fu tra i fondatori della "Ronda". Molte delle sue opere sono scritte in un misto di poesia e di prosa; Prologhi (1916); Viaggi nel tempo (1920); Prologhi Viaggi Favole (1929); Il sole a picco (1929).

In seguito i versi furono raccolti e pubblicati a parte in Poesie (1936, 1942, 1948). Quasi estranea al panorama della lirica europea del Novecento, la sua poesia si rifà ai modelli della tradizione italiana, in primo luogo a Leopardi: frutto di una cura meticolosa, essa è caratterizzata da una chiarezza classica, che Cardarelli contrappose all'ermetismo. Temi dominanti sono il tempo e le stagioni, non colte nel loro divenire, ma rappresentate nella loro assolutezza, fissate perfettamente dalla parola; dominano i paesaggi caratterizzati da chiare e accurate descrizioni.

Misurate e classicheggianti le prose (Solitario in Arcadia, 1947; Villa Tarantola, 1948), in cui ricorre il mito delle origini, di un'Etruria assolata e allusiva; quelle autobiografiche sono pervase spesso da una profonda malinconia dovuta a un presente sempre amaro.

Riccardo Bacchelli

Il bolognese Riccardo Bacchelli (1891- 1985), di cui è rilevante l'opera narrativa, fu tra i fondatori della rivista "La Ronda". Al classicismo programmatico egli però giunse dopo aver superato una precoce crisi decadente, di cui sono testimonianza i versi dei Poemi lirici (1914). Il difficile equilibrio tra intelligenza e sensualità, moralità e fantasia, poli estremi della sua singolare e complessa ispirazione, si può dire già raggiunto nelle due felici opere Lo sa il tonno del 1923 (deliziosa favola satirica, dove un pesce spada e una remora aiutano un giovane tonno a raggiungere una disincantata e matura saggezza), e Il diavolo al Pontelungo del 1927 (storia degli esperimenti anarchici in Italia e del loro fallimento, dove una manzoniana ironia si alterna a momenti d'intensa drammaticità). In altri romanzi, invece, l'equilibrio si spezza per il prevalere di ambizioni intellettualistiche che spingono lo scrittore a tentare il tema erotico (La città degli amanti, 1929) o a scandagliare i misteri della psiche (Oggi, domani e mai, 1932), allontanandolo da quel contatto con la terra e con la storia in cui vive la sua migliore ispirazione. La vocazione di Bacchelli al racconto, all'evocazione storica e illustre, si realizza compiutamente nella vasta narrazione de Il mulino del Po (1938-40): il freno della storia e la lezione di Manzoni temperano l'esuberanza talora barocca dello stile, costringendolo nei limiti d'un realismo di sapore romantico e d'un epos popolaresco che abbraccia un secolo intero di storia. Nei successivi romanzi (Il pianto della figlia di Lais, 1945; Lo sguardo di Gesù, 1948; Non ti chiamerò più padre, 1959; Il coccio di terracotta, 1966) prevale nello scrittore una virile malinconia, orientata in senso religioso. Al tema dell'amore coniugale, già affrontato in Una passione coniugale (1930), Bacchelli tornò in Rapporto segreto (1967) e nell'Afrodite: un romanzo d'amore (1969) di struggente lirismo.

Antonio Baldini

Il romano Antonio Baldini (1889-1962), scrittore e giornalista, elegante estensore di terze pagine, fu tra i fondatori della rivista "La Ronda". Dopo un libro di memorie sulla prima guerra mondiale (Nostro Purgatorio, 1918), si specializzò nel genere del ritratto pungente e ironico. Tra i racconti è da ricordare Michelaccio (1924), personaggio ormai proverbiale fra caricatura e maschera popolare, che rappresenta un villano che vive in un suo mondo fuori dal tempo. Scrisse inoltre le prose romane Rugantino (1942) e testi nati dalle sue esperienze di viaggio.

Bruno Barilli

Oltre che letterato, Bruno Barilli (1880-1952), nato a Fano, fu compositore e critico musicale. Tra i fondatori della rivista "La Ronda", egli mantenne un denso equilibro fra curiosità espressiva e desiderio di tradizione. Scrisse numerosi saggi di critica musicale (Delirama, 1924; Il sorcio del violino, 1926; e Il paese del melodramma, 1929), libri di viaggi (Il sole in trappola. Diario del periplo dell'Africa, 1931; Parigi, 1933; Il viaggiatore volante (1946), e la raccolta di frammenti Capricci di vegliardo (1951). La sua prosa, barocca, vivace e cromatica, è comunque lontana dal decoro e dalla compostezza espressiva predicati dalla "Ronda".

Massimo Bontempelli

Il comasco Massimo Bontempelli (1878-1960) nella sua opera narrativa propose in chiave elegante ma ancora conformista un desiderio di apertura alla modernità.

La vita e le opere

Figlio di un ingegnere ferroviario, studiò a Milano e a Torino; si occupò di editoria e di giornalismo. Nel 1930 venne nominato Accademico d'Italia, proprio quando cominciava ad avvertire un crescente disagio nei confronti del regime fascista, di cui, benché fosse iscritto al partito, non condivise mai il tentativo di controllare la cultura e gli intellettuali. Il suo percorso letterario è contraddistinto dall'urgenza di creare un'arte destinata alla società industrializzata: Bontempelli recupera così il messaggio delle avanguardie, specie del futurismo, che aveva richiamato gli artisti a un rapporto stretto con il mondo della produzione. Futuristi sono il libro di poesia Il purosangue (1920), i romanzi La vita intensa (1920) e La vita operosa (1921), dove le soluzioni narrative risultano però cerebrali e di maniera. I successivi romanzi La scacchiera davanti allo specchio (1922) ed Eva ultima (1923) superano il futurismo e risentono delle suggestioni della pittura metafisica (G. de Chirico, C. Carrà, G. Morandi) e del teatro del grottesco. Gli sforzi per portare avanti lo sperimentalismo si concretizzarono nella rivista "Novecento" (fondata nel 1926 con il giornalista e scrittore toscano Curzio Malaparte, che darà il meglio di sé nei crudi romanzi Kaputt, 1944, e La pelle, 1949), bandiera del modernismo. Il figlio di due madri (1929), Vita e morte di Adria e dei suoi figli (1934), Gente nel tempo (1937) sono i romanzi di questo periodo, contrassegnati da una ricerca ossessiva di valori simbolici. Si ricordano ancora i lavori teatrali Nostra Dea (1925), Minnie la candida (1927), Cenerentola (1942).

La tematica

La concezione dell'arte sviluppata da Bontempelli è sintetizzata nella formula "realismo magico". In polemica da una parte con il verismo ottocentesco, dall'altra con la letteratura accademica, Bontempelli sostiene che l'arte deve essere "realistica", ovvero legata al mondo, ma anche "magica", cioè deve rappresentare "l'irruzione dell'assurdo nella realtà quotidiana", scoprendo "il senso magico nella vita". Di qui anche la particolare attenzione per il cinema. Il suo sperimentalismo tuttavia mostrò a volte congegni narrativi artificiosi, intrecci esasperati, ricerca eccessiva di sorprese e di cambi di scena.

Corrado Alvaro

Il calabrese Corrado Alvaro (1895-1956) avanza la proposta di un nuovo realismo narrativo. Nella narrativa conseguì i risultati più significativi: dalla raccolta di racconti La siepe e l'orto (1920) al romanzo L'uomo nel labirinto (1922), ai racconti Gente in Aspromonte (1930), l'opera migliore, alla trilogia meridionalistica delle Memorie del mondo sommerso (L'età breve, 1946; Mastrangelina, 1960 e Tutto è accaduto, 1960).

Le tematiche

Il realismo, l'attenzione alla realtà degli emarginati e delle plebi contadine del Sud, sono i temi narrativi di Alvaro. La vicenda del povero ragazzo calabrese, protagonista di Gente in Aspromonte si carica di valenze etico-sociali, non disgiunte dalla nostalgia per una terra incantata, mitica, lontana dalle disuguaglianze e dalla sopraffazione. Nel romanzo L'uomo è forte, scritto dopo un suo viaggio in Unione Sovietica, nel quale lo scrittore non solo analizza l'oppressione delle società totalitarie, ma anche delle grandi città industriali del Nord. Le due vocazioni, meridionalistica e cosmopolita, sembrano coniugarsi nella trilogia Memorie del mondo sommerso. Alvaro conclude la propria vicenda narrativa con il romanzo Belmoro, incompiuto, dove presenta e sintetizza i suoi temi più cari.

"Solaria" e i solariani

La rivista "Solaria" nasce a Firenze nel 1926 per iniziativa del giornalista Alberto Carocci. Sua prospettiva era l'apertura a una coscienza letteraria europea e cosmopolita, liberata dai condizionamenti programmatici o nazionalistici. Dall'esperienza della "Ronda" ereditò il culto dell'eleganza formale e un implicito disimpegno nei confronti del regime fascista. La rivista "Solaria" fece conoscere F. Tozzi e I. Svevo, ma anche M. Proust, J. Joyce, T.S. Eliot e F. Kafka. La sua ricerca letteraria fu un tentativo di approfondimento civile e politico. Le pubblicazioni vennero sospese nel 1936, dopo alcuni interventi della censura fascista. Tra i collaboratori figurano E. Montale, G. Debenedetti, C.E. Gadda, R. Bacchelli, E. Vittorini e G. Ungaretti.

All'interno della nuova aria europea ebbero modo di maturare scrittori molto diversi fra loro, ma tutti accomunati da una forte ricerca narrativa.

Il trevigiano Giovanni Comisso (1895-1969), instancabile viaggiatore, curioso e vitalissimo, propose una scrittura di spregiudicata sensualità, che pure si traduce in un raccontare conversevole, come nei racconti cronachistici del Settecento. La sua fama è legata a racconti (Gente di mare, 1929; Un gatto attraversa la strada, 1954), a diversi libri di viaggio (L'italiano errante per l'Italia, 1937; Capricci italiani, 1952) e soprattutto al diario Giorni di guerra (1930), in cui l'evento tragico viene rivissuto con uno stupore colmo di vitalità.

Il fiorentino Alessandro Bonsanti (1904-1984), richiamandosi a M. Proust, cercò un procedimento analitico, volto a cogliere il trapasso del tempo attraverso una capillare esplorazione psicologica e della memoria. Le sue opere più significative sono Racconto militare (1937), il romanzo ciclico La vipera e il toro (1955) e la tetralogia La buca di San Colombano (1964-72).

Arturo Loria (1902-1957), di Carpi, si avvalse di una prosa sempre drammatica e impietosa sulle assurdità quotidiane nei racconti: Il cieco e la bellona (1928); La scuola di ballo (1932); Settanta favole (1957) e il romanzo incompiuto Le memorie inutili di Alfredo Tittamanti (1941).

L'istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini (1910-1965), amico di U. Saba, al quale fu legato da un forte rapporto intellettuale, svolse una lunga attività di giornalista. Esordì nella narrativa con racconti pubblicati su "Solaria" (1931-32) e confluiti poi nel volume I nostri simili (1939). Di ambientazione istriana è la trilogia autobiografica Gli anni ciechi (Le trincee, 1942; Amor militare, 1955; Il cavallo Tripoli, 1956), in cui scandagliò la propria tormentata adolescenza e la dolorosa iniziazione alla vita adulta. Il romanzo più noto è L'onda dell'incrociatore (1947), forte vicenda dominata da un complesso edipico irrisolto, ambientata nel porto di Trieste.

Gli anni Venti e Trenta in sintesi

Enrico Pea Enrico Pea (1881-1958) è autore di versi (Fole, 1910), tragedie, romanzi e racconti (Moscardino, 1922; Il volto santo, 1924), improntati alla rievocazione autobiografica e versiliana.
La Ronda La rivista romana "La Ronda", pubblicata fra il 1919 e il 1922, rifiuta l'esperienza di inizio secolo e propone una sorta di nuovo classicismo, tutto "italiano", che si rifà al magistero di Manzoni e Leopardi, privilegiando la prosa d'arte. Fra i rondisti riconosciamo.
I rondisti Vincenzo Cardarelli (1887-1959), autore di Poesie (1936, 1942, 1948) di chiarezza classica, sul modello di Leopardi. Riccardo Bacchelli (1891-1985), autore dei romanzi storici Il diavolo al Pontelungo (1927), Il mulino del Po (1938-40), di solido impianto narrativo, fonti di un epos popolaresco. Antonio Baldini (1889-1962) che dopo una serie di ritratti pungenti e ironici (Amici allo spiedo, 1918), scrisse i racconti Michelaccio (1924) e prose romane (Rugantino). Il critico musicale Bruno Barilli (1880-1952), autore del saggio Il sorcio del violino (1926) e di frammenti autobiografici (Capricci di vegliardo, 1951).
Massimo Bontempelli Massimo Bontempelli (1878-1960) fondò con C. Malaparte la rivista "Novecento" (1926). Opere principali: il romanzo Gente nel tempo (1937) e il lavoro teatrale Minnie la candida (1927). Sostenne in letteratura il "realismo magico", cioè l'irruzione dell'assurdo nella realtà quotidiana per scoprire il senso magico della vita.
Corrado Alvaro Le opere principali del calabrese Corrado Alvaro (1895-19567) sono i racconti Gente in Aspromonte (1930), la trilogia Memorie del mondo sommerso (1946-1960) e il romanzo L'uomo è forte (1938).
"Solaria" La rivista fiorentina "Solaria" (1926-36) propone l'apertura a una coscienza letteraria europea e cosmopolita, liberata dai condizionamenti programmatici o nazionalistici.
I solariani Fra i solariani si distinguono: Giovanni. Comisso (1895-1969), autore di Gente di mare (1929) e Giorni di guerra (1930); Alessandro Bonsanti (1904-1984) autore della tetralogia La buca di San Colombano (1964-1972); Arturo Loria (1902-1957) con i racconti La scuola di ballo (1932); Pier Antonio Quarantotti Gambini (1910-1965), noto per il romanzo L'onda dell'incrociatore (1947).

Surrealismo e realismo

Il programma del surrealismo francese, promosso intorno agli anni '20 da André Breton, non entrò direttamente nella letteratura italiana, che invece mutuò da questo movimento più che altro un immaginario fantastico. Il "surrealismo" diffuso nelle opere di Bontempelli, nell'ultimo Pirandello o nella narrativa di Palazzeschi derivava perlopiù da esperienze autonome e direttamente futuriste. Solo la narrativa di Savinio, Landolfi, Delfini, Buzzati e Campanile, sembrò mantenere un rapporto più stretto con le esperienze surrealiste francesi. Sempre intorno agli anni '30 si affermò anche una nuova forma di "realismo": Bilenchi, Silone, Bernari, il primo Moravia ne furono i rappresentanti.

Surrealismo e dintorni

Nessuno scrittore italiano (compreso il migliore Delfini) ha mai considerato direttamente i programmi poetici e politici del surrealismo. Si può piuttosto immaginare un surrealismo più generale, plasmato dal realismo della nostra tradizione, ma aperto a quel fantastico fatto anche di leggerezza e curiosità (certo pure di eredità futurista), tratti dunque che sono integrati della migliore narrativa italiana.

Alberto Savinio

Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea de Chirico (1891-1952), nato ad Atene, fu cultore di letteratura e musica e valente pittore come il fratello Giorgio, con il quale condivise i rapporti con le avanguardie del tempo durante i vari soggiorni a Parigi. Esordì in ambito letterario con Les chants de la mi-mort, (I canti della mezza morte, 1914), a cui seguì il volume di versi e prose Hermaphrodito (1918), quasi un romanzo sperimentale in cui italiano e francese si alternano. Nei romanzi Tragedia dell'infanzia (1920, pubblicato nel 1937) e Infanzia di Nivasio Dolcemare (1941), rappresentò l'infanzia come oppressa dal mondo dei grandi, che annientano la libertà fantastica del bambino. Narrate uomini la vostra storia (1942), una raccolta di 24 biografie stravaganti e immaginarie di uomini del passato, e i racconti Casa "La Vita" (1943), sono incentrati sul tema della morte e attraversati da una comicità talora sinistra. Le ultime opere Tutta la vita (1945) e Il signor Dido (1978, postumo), ripropongono l'indagine acuta e sottile sull'infanzia e sulla morte. L'opera saggistica ha uno stile lieve e giocoso, che predilige spesso l'aforisma, l'elzeviro, e toni pungenti; di rilievo la Nuova enciclopedia (1977, postuma), divertente e provocatoria enciclopedia che unisce voci del sapere tradizionale a voci dedicate a temi e questioni di scarso rilievo. La poliedrica opera di Savinio mostra non solo ricchezza di interessi ma anche un'intensità espressiva capace di sintetizzare leggerezza giocosa e gravità teorica, narrazione sfolgorante e aforisma.

Tommaso Landolfi

Il toscano Tommaso Landolfi (1908-1979) visse a lungo a Firenze, dove negli anni Trenta si legò al gruppo dell'ermetismo. Influenzato dalla letteratura nordica e russa, subì il fascino di autori come E.T. Hoffmann, E.A. Poe, F. Dostoevskij, F. Kafka e del surrealismo. Esordì con racconti di tono surreale e grottesco (Dialogo dei massimi sistemi, 1937 e Il mar delle blatte e altre storie, 1939), in cui si delinea il suo universo letterario: viaggi fantastici in luoghi inesistenti; figure femminili fulgide e sensuali, desiderate e irraggiungibili; pulsioni erotiche che esplodono in desideri torbidi. Al primo romanzo, La pietra lunare (1939), che narra della stregoneria e del mistero che si celano nella vita di un piccolo centro di provincia, seguirono i brevi romanzi surreali Le due zitelle (1945) e Racconto d'autunno (1947), il racconto fantascientifico Cancroregina (1950), viaggio di un uomo rimasto prigioniero in un'astronave in orbita intorno alla terra, e Racconti impossibili (1966). Le ultime opere narrative sono caratterizzate da un andamento diaristico con il prevalere del monologo (La bière du pécheur, 1953; Rien va, 1963; Des mois, 1967).

Antonio Delfini

Il modenese Antonio Delfini (1907-1963), trasferitosi a Firenze (1933), frequentò l'ambiente della rivista "Solaria". Dalla lezione del surrealismo francese assimilò una scrittura che rifiutava via via ogni legame con il realismo nell'alveo della linea inaugurata da A. Savinio. L'esuberante immaginazione dei racconti Il ricordo della Basca (1938), raggiunge il culmine nel romanzo Il fanalino della Battimonda (1940), dove viene stravolta anche la sintassi. La distorsione farsesca della realtà continua nei racconti La Rosina perduta (1957) e Misa Bovetti e altre cronache (1960). Raggiunse la notorietà con i Racconti (1963), ma i suoi risultati migliori sono le ultime prove, dove l'elemento satirico si combina con una letteratura della memoria, come nel racconto autobiografico Una storia (1956) e nel romanzo incompiuto Il 10 giugno 1918 (1961). Nelle Poesie della fine del mondo (1961) introdusse la figura dell'intellettuale anarchico e stravagante.

Dino Buzzati

Il bellunese Dino Buzzati (1906-1972) visse quasi sempre a Milano, svolgendo l'attività di giornalista e maturando anche la passione per la pittura. Nei suoi racconti si narrano vicende apparentemente normali, rilette in chiave fantastica e surreale; la sua opera, i cui modelli letterari sono rintracciabili soprattutto in F. Kafka, J. Conrad e E.A. Poe, comunica l'assurdo e l'angoscia esistenziali. Dopo l'esordio con i racconti lunghi Bàrnabo delle montagne (1933) e Il segreto del Bosco Vecchio (1935), giunse al successo con il romanzo Il deserto dei Tartari (1940), storia di un ufficiale che al confine di un misterioso e inesplorato deserto consuma la vita nella vana attesa del nemico: l'ambientazione fantastica, in un luogo e in un tempo imprecisati, comunica le più quotidiane forme della frustrazione esistenziale. Seguirono raccolte di racconti (fra cui spiccano I sette messaggeri, 1942 e La boutique del mistero, 1968); i romanzi Il grande ritratto (1960) e Un amore (1963), forse il più riuscito, più vicini alla letteratura di consumo.

Buzzati non può essere definito scrittore surreale in senso tradizionale, perché non scardina nella pagina letteraria ogni principio di verosimiglianza, ma ricorre a elementi reali che si caricano di significati simbolici.

Cesare Zavattini

L'emiliano Cesare Zavattini (1902-1989), collaboratore di "Solaria", ottenne un buon successo con la prima opera Parliamo tanto di me (1931), seguita da I poveri sono matti (1937) e Io sono il diavolo (1941). Nel dopoguerra si dedicò alla sceneggiatura cinematografica firmando molti film del neorealismo, tra cui Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948). Seguì una serie di opere in prosa, come Straparole (1967), in cui abbondano originali creazioni lessicali, e in poesia con versi in dialetto (Stricarm' in d'na parola, 1973). La sua prosa è scintillante, umoristica, surreale, capace di esprimere rapidamente timbri diversi, dal fiabesco al drammatico, dal comico al sentimentale.

Il realismo

Il nuovo realismo, che va affermandosi intorno agli anni '30, è denudato da qualsiasi valenza "magica", come voleva Bontempelli. Con Bilenchi, Silone e Bernari la realtà è materia scabra e i suoi contenuti (il mondo dei contadini o degli operai) si fanno oggetto narrativo da rappresentare senza enfasi alcuna.

Romano Bilenchi

Il toscano Romano Bilenchi (1909-1989), di Colle Val d'Elsa, formatosi nel vivace clima intellettuale fiorentino, populista e antiborghese fu dapprima nelle fila del fascismo di sinistra (collaborò alla rivista "Il Bargello"), poi vicino al gruppo di "Solaria" e ai poeti ermetici. Amico di scrittori come Vittorini e del pittore O. Rosai, documentò tali rapporti nei suoi libri di memorie. Scrittore dallo stile lineare, quasi a voler sottolineare l'esclusiva attenzione ai problemi esistenziali, fece della vita nella sua "inquieta normalità" il tema dominante di racconti e romanzi (Il capofabbrica, 1932; Anna e Bruno, 1938; Mio cugino Andrea, 1943; Conservatorio di Santa Teresa, 1940 e Il bottone di Stalingrado, 1972). Altro tema della sua produzione è la perdita dell'ingenua felicità dell'infanzia e l'incontro dell'adolescente con la violenza degli uomini.

Ignazio Silone

Ignazio Silone è lo pseudonimo dell'abruzzese Secondo Tranquilli (1900-1978). Trasferitosi a Roma, s'impegnò nell'attività politica, partecipando (1921) alla fondazione del Partito Comunista. Dal 1930 visse esule in Svizzera e si allontanò dal Partito Comunista in opposizione allo stalinismo. Rientrò in Italia dopo la fine del conflitto mondiale e morì a Ginevra.

Al centro del suo primo romanzo Fontamara è la vita dei contadini, i "cafoni" della Marsica con la loro lotta senza speranza contro la terra arida e i soprusi di pochi ricchi e dell'autorità fascista. Nel romanzo successivo, Pane e vino (1937), anch'esso pubblicato prima all'estero, si avverte la rottura con il comunismo: la lotta dei cafoni si allontana sempre più dalle forme della lotta proletaria, verso una sorta di socialismo cristiano, più rispettoso della persona. Anche nelle scelte linguistiche Silone mostra la sua adesione al mondo degli emarginati, adottando una semplicità lessicale e sintattica mutuata dal parlato. La prospettiva etica prevale su quella politica e ideologica nel romanzi Una manciata di more (1952), Il segreto di Luca (1956), L'avventura di un povero cristiano (1968), romanzo-saggio che ripropone la vicenda del papa Celestino V. Oltre ad alcuni saggi storico-politici, è interessante Uscita di sicurezza (1956), autoritratto psicologico e morale.

Carlo Bernari

Carlo Bernari è lo pseudonimo del napoletano Carlo Bernard (1909-1992). Interessato ai problemi economici e sociali del Sud, con il romanzo Tre operai (1934) anticipò l'avvento del neorealismo, guardando alle classi subalterne di una Napoli non più città solare mediterranea, in una prospettiva ideologica di sinistra. Particolare anche lo stile, che introduce monologhi interiori. La città meridionale campeggia ancora nei romanzi del dopoguerra (Speranzella, 1949; Vesuvio e pane, 1952), nei quali si fondono lingua e dialetto. Nelle opere successive (Era l'anno del sole quieto, 1964; Un foro nel parabrezza, 1971; Tanto la rivoluzione non scoppierà, 1976; Il giorno degli assassini, 1980), Bernari superò la dimensione meridionale e si aprì a una narrativa esistenziale ed espressionistica.

Surrealismo e realismo in sintesi

Surrealismo Il surrealismo italiano degli anni '30 più che mutuare i temi poetici e politici di quello francese, si ispirò a un immaginario fantastico, in parte erede delle esperienze futuriste.
Alberto Savinio La poliedrica opera di Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea de Chirico (1891-1952), mostra non solo una ricchezza di interessi ma anche un'intensità espressiva capace di sintetizzare leggerezza giocosa e gravità teorica, narrazione sfolgorante e aforisma. Opere principali: L'Hermaphrodito (1918) in versi e prose, quasi un romanzo sperimentale in cui italiano e francese si alternano; i racconti Casa "La Vita" (1943).
Tommaso Landolfi Per Tommaso Landolfi (1908-1979), legato all'ermetismo e influenzato dagli autori nordici e russi, la letteratura diventa un gioco affascinante e terribile, in cui la vita "narrata" si deforma in immagini scomposte e irreali. Della sua vasta produzione si ricordano i racconti surreali e grotteschi Il mar delle blatte (1939) e il primo romanzo, La pietra lunare (1939).
Antonio Delfini In Antonio Delfini (1907-1963) l'esuberante immaginazione sconvolge ogni rapporto con la realtà (racconti Il ricordo della Basca, 1938), e raggiunge il culmine nel romanzo Il fanalino della Battimonda (1940), dove viene stravolta anche la sintassi.
Dino Buzzati La narrazione di Dino Buzzati (1906-1972) si avvale dell'ambientazione fantastica, in luogo e tempo imprecisati, per descrivere le più quotidiane forme della frustrazione esistenziale. Da ricordare i racconti Bàrnabo delle montagne (1933) e il romanzo Il deserto dei Tartari (1940).
Cesare Zavattini In Cesare Zavattini (1902-1989), anche sceneggiatore di numerosi film del neorealismo, la prosa è scintillante, umoristica, surreale, capace di esprimere rapidamente timbri diversi, dal fiabesco al drammatico, dal comico al sentimentale. Tra le opere: Parliamo tanto di me (1931) e Straparole (1967).
Romano Bilenchi Romano Bilenchi (1909-1989), scrittore essenziale, ha come tema dominante la perdita dell'ingenua felicità dell'infanzia e l'incontro dell'adolescente con la violenza degli uomini. Opere principali: Anna e Bruno (1938); Conservatorio di Santa Teresa (1940).
Realismo Intorno agli anni '30 si afferma un nuovo realismo, privo di valenza magica. I contenuti sono il mondo contadino e operaio.
Ignazio Silone Al centro dell'opera di Ignazio Silone, pseudonimo dell'abruzzese Secondo Tranquilli (1900-1978), sono la vita dei contadini, i "cafoni" della Marsica con la loro lotta senza speranza contro la terra arida e contro i soprusi dei ricchi (Fontamara, 1933; Pane e vino, 1937) e una prospettiva meno ideologica e più etica (Il segreto di Luca, 1956; L'avventura di un povero cristiano, 1968).
Carlo Bernari Carlo Bernari, pseudonimo del napoletano Carlo Bernard (1909-1992), con Tre operai (1934) anticipa l'avvento del neorealismo in letteratura, rappresentando le classi subalterne napoletane in una prospettiva ideologica di sinistra. La sua scrittura è limpida e armonica. In Speranzella (1949) e Vesuvio e pane (1952) fonde lingua e dialetto.

L'ermetismo

Già dalla fine degli anni '20, e in modo più cospicuo dagli anni '30, si sviluppa la corrente poetica dell'ermetismo, termine usato inizialmente in senso negativo, come sinonimo di oscurità, e divulgato dal critico Francesco Flora nel volume La poesia ermetica (1936). Si tratta in realtà di un'esperienza letteraria che rinuncia alla semplicità della comunicazione per riprodurre la complessità segreta e analogica del rapporto realtà-poesia.

La stagione ermetica

L'ermetismo si riallaccia al simbolismo francese, prediligendo S. Mallarmé e P. Valéry, e propone una concezione della parola poetica "pura", sottratta a ogni suggestione esterna (politica, sociale), alla quale viene affidato il compito di svelare i frammenti di senso, nascosti nelle pieghe dell'insignificante vita quotidiana: si allentano così i legami logici e la poesia si popola di metafore e di analogie in una trama evocativa, simbolica e spesso "oscura". La stagione ermetica, nel senso più ristretto del termine, risale al confronto-scontro degli anni '30 con la corrente crociana. I giovani (S. Quasimodo, A. Gatto, L. Sinisgalli, M. Luzi e altri) guardavano come modello della "nuova poesia" a Ungaretti, il quale può essere ritenuto l'iniziatore dell'ermetismo. Soprattutto Firenze fu il centro dell'ermetismo italiano; "Frontespizio" e "Campo di Marte" le riviste che ne divulgarono idee e testi.

Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo (1901-1968) è uno tra gli esponenti più significativi dell'ermetismo.

La vita e le opere

Nato a Modica, dopo gli studi di ingegneria interrotti, a Roma, attraverso l'amico e cognato E. Vittorini entrò in contatto con "Solaria", che gli pubblicò la prima raccolta poetica Acque e terre (1930). Nel 1932 uscì la seconda raccolta, Oboe sommerso, ma fu Erato e Apollion (1936), che lo consacrò poeta "ermetico". Nel 1938 si stabilì a Milano, si dedicò alla traduzione dei classici (Lirici greci, 1940), suscitando vasta eco. Nel 1942 apparve Ed è subito sera, senz'altro il suo titolo più fortunato, comprendente tutte le poesie già edite, con l'aggiunta delle Nuove poesie (1936-42). Gli anni della guerra, insieme alle altre traduzioni (da Catullo, Virgilio, Omero e Sofocle) che uscirono dal 1945 in poi, dettero una svolta al suo modo di fare poesia. Una nuova, sofferta umanità, accompagnata da una febbrile tensione etica e stilistica, anima i versi di Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), Il falso e vero verde (1956), La terra impareggiabile (1958), Dare e avere (1966). Nel 1959 ricevette il Nobel per la letteratura. Morì a Napoli.

La poetica

Quasimodo canta l'angoscia dell'uomo di fronte al mondo contemporaneo. In lui la poesia rappresenta l'estrema illusione, l'ultimo rifugio contro la disgregazione dei valori. Il ritorno ai classici e alla natia Sicilia, luogo d'elezione di quell'antica civiltà, è il tentativo di ritrovare la perduta età dell'oro, l'isola beata non scalfita dalle modernità, intatta nella luce mediterranea del mito. In tutta la sua poesia si ritrovano sia la nostalgia di quel paradiso, sia una condizione di perenne esilio. Più tardi la guerra e l'impegno politico imporranno al canto monodico e solitario un'apertura verso la coralità del dolore: i versi ospiteranno la cronaca, senza negare il proprio passato lirico, ma adeguandosi alle drammatiche urgenze della storia.

Alfonso Gatto

Il salernitano Alfonso Gatto (1909-1976) fondò a Firenze con V. Pratolini la rivista "Campo di Marte" (1938). Le prime due raccolte poetiche, Isola (1932) e Morto ai paesi (1937) hanno un linguaggio fortemente evocativo; poi le "immagini vertiginosamente analogiche" si aprono a forme più distese nelle numerose raccolte successive (tra cui Il capo sulla neve, 1949; La forza degli occhi, 1954; Osteria flegrea, 1962), caratterizzate da "un surrealismo d'idillio". Al tema fondamentale dell'esperienza quotidiana del dolore, si accompagnano quelli della Resistenza e dell'impegno civile.

Vicino agli ermetici: Sinisgalli

Leonardo Sinisgalli (1908-1981), lucano, ingegnere elettrotecnico, fondò a Milano la rivista "Civiltà delle macchine". Le prime prove poetiche (18 poesie, 1936; Campi elisi, 1939), sollecitate dall'amico G. Ungaretti, hanno un orientamento ermetico ed esprimono il ricordo ossessivo dell'infanzia in Lucania. In seguito la sua lirica fu più realistica e razionale (La vigna vecchia, 1956; L'età della luna, 1962; Paese lucano, 1962; Il passero e il lebbroso, 1970; Mosche in bottiglia, 1975). Fra le prose spiccano i racconti lucani Belliboschi (1948).

L'ermetismo in sintesi

Ermetismo È una corrente letteraria degli anni '30 che rinuncia alla semplicità della comunicazione per riprodurre la complessità analogica del rapporto realtà-poesia.
Quasimodo Salvatore Quasimodo (1901-1968) è uno dei poeti ermetici più significativi; fu premio Nobel per la letteratura nel 1950. La poesia rappresenta per lui l'estrema illusione, l'ultimo rifugio contro la disgregazione dei valori. Il ritorno ai classici è il tentativo di ritrovare la perduta età dell'oro . Tra le opere spiccano Ed è subito sera (1942), Giorno dopo giorno (1947), Dare e avere (1966). Notevoli le traduzioni dei classici (Lirici greci, 1940).
Gatto La poesia di Alfonso Gatto (1908-1981) presenta un linguaggio ermetico fortemente evocativo. Da ricordare le raccolte Isola (1932), La forza degli occhi (1954).
Sinisgalli Leonardo Sinisgalli (1908-1981) coniuga l'esperienza ermetica con una lirica più razionale e realistica, nel ricordo ossessivo della natia Lucania. Raccolte principali: Campi elisi, (1939), L'età della luna (1962).

Il neorealismo

Alla fine della guerra, la rinascita politico-economica del Paese avvia una radicale democratizzazione della cultura: lo sviluppo dell'editoria popolare, la nuova scolarizzazione, il ruolo del cinema, la vitalità del giornalismo e della radio, sono fattori alla base di una cultura realistica e popolare (di forte contenuto politico), che avrà dunque nel "neorealismo" la sua espressione più alta.

I caratteri generali

Il termine "neorealismo" era già stato avanzato alla fine degli anni '30, per quegli autori (per esempio, C. Alvaro, che si proponevano di riannodare i fili con la tradizione veristica di G. Verga e Tozzi. Alla letteratura dei buoni sentimenti, cara al regime fascista, si contrapponevano un nuovo modo espressivo e una nuova realtà sociale, la questione delle plebi rurali del Sud e del mondo operaio del Nord. Sulla nascita del neorealismo del dopoguerra forte fu l'influenza della narrativa americana, che, tradotta da letterati come E. Vittorini e C. Pavese, introdusse in un'Italia fascista e provinciale, le opere di E. Calwell, J. Steinbeck, H. Melville, W. Saroyan, facendo sorgere un vero e proprio amore per l'America, intesa come terra dell'utopia libertaria, nuova frontiera di libertà e indipendenza. L'esigenza di un atteggiamento critico nei confronti dell'Italia fascista, divenne un imperativo per quegli intellettuali, in gran parte aderenti al Partito Comunista, che consideravano la letteratura come strumento di denuncia e di impegno sociale. Il neorealismo propriamente detto si sviluppò dal 1940 al 1950, prediligendo in letteratura la narrativa dominata dai filoni tematici della guerra, della Resistenza e della condizione degli emarginati.

Elio Vittorini

Alla base dell'intera attività di Elio Vittorini (1908-1966) sta la fiducia nella cultura, unica forza capace di costruire un mondo più giusto e umano. La sua letteratura fu sempre il segno di un progresso e di una ricerca reale e concreta.

La vita

Nato a Siracusa, sposò la sorella del poeta Quasimodo. Nel 1929 iniziò a collaborare con la rivista "Solaria" e per un decennio visse a Firenze. Nel 1938 si trasferì a Milano, dove visse fino alla morte. Nel 1942 iniziò una stretta collaborazione con il Partito Comunista clandestino. Dopo la Liberazione fondò la rivista "Il Politecnico" (1945), entrando poi in aperto conflitto con il gruppo dirigente comunista sul tema dell'autonomia della cultura. Nel 1959 fondò con I. Calvino la rivista "Il Menabò", avviando un'intensa stagione di dibattiti sulle avanguardie letterarie.

L'organizzatore culturale

Già a partire dagli anni '30, con il giovanile articolo Scarico di coscienza (1929), Vittorini denunciò il provincialismo della letteratura italiana e la necessità di un'apertura alle influenze delle letterature straniere. Negli anni successivi tradusse diversi romanzi americani e nel 1941 con E. Cecchi curò l'antologia Americana, raccolta di narratori statunitensi con cui diffondeva nel chiuso contesto italiano il "mito America". La stessa fondazione del "Politecnico" (1945), doveva essere uno strumento per rinnovare la cultura, a diretto contatto con i problemi della vita quotidiana.

La narrativa

L'interesse alla contemporaneità domina anche la narrativa a partire dai racconti giovanili Piccola borghesia (1931). Il primo romanzo Il garofano rosso, uscito a puntate su " Solaria" (1933-1936) edito solo nel 1948, narra l'iniziazione alla vita adulta di un liceale, che, dopo un'infatuazione per le idee fasciste, arriva a riconoscere la durezza e la contraddittorietà della realtà. Tutta la narrativa successiva ruota attorno al tema del viaggio, che diventa metafora esistenziale del processo conoscitivo: nel viaggio si contrappongono sempre due mondi, la Sicilia dell'infanzia e la città, luogo emblematico del divenire della realtà, in cui si muove l'uomo maturo. (Conversazione in Sicilia, 1937). Uomini e no (1945) è invece il romanzo della Resistenza a Milano, in sintonia con le istanze della letteratura neorealista, anche se l'opera è pervasa da forti tensioni liriche, sottolineate con intere sezioni scritte in corsivo. Seguirono i romanzi Il Sempione strizza l'occhio al Frejus (1947), in cui la vita del proletariato milanese diviene simbolo della dignità della vita popolare; Le donne di Messina (1948,) che ha al suo centro ancora un viaggio che conduce a una comunità fondata su un irrealizzabile comunismo di beni; l'incompiuto Le città del mondo (1969, postumo), che narra le storie parallele di alcuni personaggi in viaggio in una Sicilia ancora teatro dello scontro fra sogno e realtà, passato e futuro.

Cesare Pavese

Narratore nostalgico e insieme concretamente realista, Cesare Pavese (1908-1950) cercò di conciliare la necessità tutta civile del rispetto umano con una drammatica coscienza di corruzione, da cui quasi niente riesce a salvarsi. Fondamentale la sua opera di diffusione in Italia delle esperienze letterarie europee e americane.

La vita

Cesare Pavese, nato a Santo Stefano Belbo nelle Langhe, visse quasi sempre a Torino, dove entrò in contatto con esponenti dell'antifascismo. Intraprese il lavoro editoriale, diresse (1934) la rivista "La Cultura", ma quando (1935) la rivista fu soppressa dal regime fascista, venne arrestato e condannato a tre anni di confino. Graziato, dopo un anno, tornò a collaborare con l'editoria, svolgendo un intenso lavoro di saggista e traduttore di autori inglesi e americani, (tra gli altri D. Defoe, H. Melville e J. Joyce) e prendendo parte all'antologia Americana (1941), curata da E. Vittorini. Sua prima opera fu la raccolta di poesie Lavorare stanca (1936), la cui seconda edizione (1943) comprende anche l'importante saggio Il mestiere di poeta. Nonostante le numerose, intense amicizie, Pavese visse gli anni dell'anteguerra e della guerra in uno stato di solitudine psicologica intensa e dolorosa a causa anche di una vita sentimentale difficile e tormentata. Nel romanzo Paesi tuoi (1941) che lo impose all'attenzione della critica, sono già presenti tutti i temi della sua produzione più matura. Per tutto il periodo della Resistenza, alla quale non partecipò direttamente, si rifugiò presso una sorella nel Monferrato. Qui scrisse i racconti di Feria d'agosto (1946). Dopo la Liberazione Pavese iniziò un periodo di impegno politico nel Partito Comunista e di grande creatività: scrisse il romanzo Il compagno (1947); i Dialoghi con Leucò (1947); i testi di narrativa di Prima che il gallo canti (1949); i tre lunghi racconti che costituiscono La bella estate (1949). Il punto più alto della sua attività, la pubblicazione del romanzo La luna e i falò (1950), coincise con il culmine della sua crisi esistenziale che lo spinse a togliersi la vita in una stanza d'albergo a Torino. Dopo la sua morte furono pubblicate le poesie di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951); i racconti Notte di festa (1953); il romanzo Fuoco grande (1959), scritto con B. Garufi e soprattutto l'interessantissimo diario (1932-1950), edito con il titolo Il mestiere di vivere (1952, 1990).

I temi

Nella produzione di Pavese viene riproposto costantemente il tema dell'infanzia vissuta nel paesaggio delle Langhe, dove la campagna aspra, segnata da fatica e miseria, è però ricca di una tensione vitale che si manifesta, nei necessari opposti della nascita e della morte, con i simboli ricorrenti del sesso e del sangue. L'adolescenza è il momento in cui l'individuo entra in relazione con questa vitalità in maniera istintiva, creando un "mito" in cui luoghi e tempo si stringono in maniera insolubile. Da questa "rivelazione mitica" comincia il viaggio doloroso e faticoso dell'uomo verso la propria maturazione, verso l'impegno, verso la città, simbolo della capacità organizzatrice della ragione che si oppone alle forze naturali. Tale cammino è vissuto come un dovere non rinviabile, perché così si realizza l'ostinata volontà di partecipare alla vita collettiva; ma al tempo stesso è alienante e oppressivo e causa la profonda mortificazione di sé propria dell'età adulta, dominata dal senso di esclusione dalla vita e quindi di solitudine, vera prigione da cui è impossibile evadere. Da essa nasce il "vizio assurdo", il desiderio di sopprimersi che ha accompagnato Pavese per tutta la sua vita.

Nel suo romanzo più significativo, La luna e i falò, il protagonista, tornato nelle Langhe dopo molti anni passati in America, presto si rende conto che solo i luoghi sono rimasti identici, non le persone e le situazioni. La lingua del romanzo si serve di parole quotidiane, di una sintassi improntata ai moduli del dialetto e al parlato, che comunicano al lettore la fatica di passare da una realtà vissuta in maniera intensa ma ingenua a un più consapevole bisogno di capire.

Beppe Fenoglio

Beppe Fenoglio (1922-1963), figura appartata rispetto alla società letteraria, incentra la sua opera su due motivi essenziali: la vita contadina delle Langhe e la guerra, entrambi rappresentati ad altissimi livelli stilistici e di severità morale.

La vita e le opere

Nato ad Alba, dovette interrompere gli studi universitari perché chiamato alle armi. Dopo l'armistizio del 1943 rientrò in Piemonte e partecipò alla Resistenza. Dopo la liberazione cominciò a scrivere i racconti I ventitré giorni della città di Alba (1952), a cui seguirono il racconto lungo La malora (1954), ambientato nelle Langhe, e il romanzo Primavera di bellezza (1959), ispirato all'esperienza partigiana. La morte lo colse precocemente mentre lavorava a numerosi progetti che videro la luce postumi, come i romanzi Un giorno di fuoco (1963, ristampato nel 1965 con il titolo Una questione privata); Il partigiano Johnny (1968), il suo incompiuto capolavoro; il racconto La paga del sabato (1969) e quelli riuniti in L'affare dell'anima (1978).

"Il partigiano Johnny"

Il partigiano Johnny è il suo risultato più tormentato e complesso, come testimoniano le varie stesure. Con il frequente ricorso all'inglese, Fenoglio tenta di conferire all'italiano una nuova identità, perseguita attraverso uno scavo ossessivo della parola e delle sue molteplici possibilità. Romanzo di crisi di una generazione in conflitto con se stessa, il Partigiano Johnny appare il frutto di un'amarezza insondabile, l'esito stilistico di una perplessità profonda. A Fenoglio non interessa esprimere giudizi sulle parti in lotta; ciò che gli interessa è la lotta in quanto tale, come emblema di vita; non solo e non tanto il bene e il male, ma uno scontro di forze impietose, che la guerra esalta. Di questa deflagrazione egli diventa al tempo stesso il cronista e lo storico, plasmando una lingua vivissima, scabra, che mescola il tono epico (sull'esempio di H. Melville) e la sentenza al popolare, il sublime al gergale, l'estremo realismo delle immagini all'allegoria.

Vasco Pratolini

Il fiorentino Vasco Pratolini (1913-1991) è una delle voci più autentiche del neorealismo, per la capacità di far assurgere a protagonista della sua narrativa il mondo popolare, di cui condivise lotte e ideali. Iniziò l'attività di scrittore con opere dedicate alla memoria dell'infanzia e dell'adolescenza (Il tappeto verde, 1941; Via de' Magazzini, 1942; Le amiche, 1943), ma il primo romanzo a rappresentare una svolta nella sua narrativa fu Il quartiere (1944), che aveva come soggetto la vita popolare fiorentina. Seguirono Cronaca familiare (1947) e Cronache di poveri amanti (1947), ambientato ancora in un quartiere fiorentino con riferimenti storici alle violenze fasciste degli anni 1925-26. Dopo il romanzo Un eroe del nostro tempo (1949), storia di un personaggio "negativo", un giovane fascista violento e rozzo, ritornò al mondo fiorentino con il racconto lungo Le ragazze di San Frediano (1951), e quindi diede avvio alla trilogia di romanzi Una storia italiana, uno spaccato della vita sociale italiana dalla fine dell'Ottocento al secondo dopoguerra. Con il romanzo La costanza della ragione (1963) ritornò all'originaria ispirazione dell'adolescenza.

Jovine, Rea e Carlo Levi

Il molisano Francesco Jovine (1902-1950), ispirato dall'impegno politico (partecipò in seguito alla Resistenza) e umano, pubblicò i romanzi Un uomo provvisorio (1934) e Signora Ava (1942). Postumo è il suo capolavoro Le terre del Sacramento, che descrive le miserevoli condizioni di vita e l'arretratezza delle plebi meridionali.

Il campano Domenico Rea (1921-1994) fu esponente di un neorealismo crudo, ma anche elegante e sensuale. Tra i suoi romanzi e racconti: Spaccanapoli (1947); Gesù fate luce (1950); Una vampata di rossore (1959); Il fondaco nudo (1985; Ninfa Plebea (1992).

Il torinese Carlo Levi (1902-1975), militante antifascista, raccontò l'esperienza del confino nel romanzo Cristo si è fermato a Eboli (1945), che, a metà tra il reportage di alto livello e il pamphlet di denuncia, si inserisce nella tradizione meridionalistica, conferendo al mondo contadino un'aura epica e un forte valore simbolico. L'indagine sociale ispira anche i saggi e le cronache narrative: Paura della libertà (1946); L'orologio (1950); Le parole sono pietre (1955), denuncia delle condizioni di vita delle solfatare siciliane; La doppia notte dei tigli (1959), che narra di un viaggio nella Germania postnazista; Tutto il miele è finito (1964), dedicato alle condizioni della Sardegna.

Tobino e Cassola

Mario Tobino (1910-1991), di Viareggio, medico, dopo gli esordi come poeta, pubblicò il racconto autobiografico Il figlio del farmacista (1942), e successivamente il romanzo Bandiera nera (1950), analisi dell'ambiente medico durante il fascismo, e il racconto-diario Il deserto della Libia (1952). Nel romanzo più noto, Le libere donne di Magliano (1953), rappresentò con acume e sensibilità la tragedia di molte pazienti malate di mente, colte nella solitudine e nell'estraneità a cui condanna la "follia", strana forse ma autentica "libertà". La brace di Biassoli (1956) è dedicato alla memoria della madre morta. Il clandestino (1962) rievoca un episodio della Resistenza alla quale partecipò. Nelle opere posteriori prevale l'analisi psicologica (Sulla spiaggia e di là dal molo, 1966, ambientato in Versilia; Una giornata con Dufenne, 1968, rievocazione di un vecchio compagno di scuola; Un perduto amore, 1979; La ladra, 1984).

Il romano Carlo Cassola (1917-1987) entrò in rapporti con l'ambiente fiorentino di "Letteratura". Già la sua primissima produzione di racconti (Alla periferia e La visita del 1942; Il taglio del bosco, 1954, il suo capolavoro) risente della lezione tematica e stilistica del neorealismo. Cassola guarda alle realtà più semplici, agli oggetti più normali, alle vicende più comuni ambientate in Maremma. Elabora la teoria del "subliminare": le cose stanno sempre sotto la soglia della coscienza, per questo dietro il banale quotidiano si può celare qualcosa di inafferrabile. Tale poetica non muta sostanzialmente nei romanzi più impegnati Fausto e Anna (1952) e La ragazza di Bube (1960), in cui lo scrittore si misura con i temi della Resistenza e del dopoguerra. Di fronte a una realtà contemporanea sentita sempre più "nemica", Cassola passa a una scrittura più intimistica, con un intento fra il consolatorio e l'evasivo (Un cuore arido, 1961; Il cacciatore, 1964; Ferrovia locale, 1968). Tra le ultime opere spiccano: Paura e tristezza (1970), Monte Mario (1973), Fogli di diario (1974), la raccolta autobiografica L'uomo e il cane (1977) e testi ispirati all'antimilitarismo.

Il neorealismo in sintesi

Neorealismo I presupposti principali del neorealismo (1940-1950) sono un realismo più autentico, il "mito dell'America", una nuova esigenza di impegno politico. Filoni tematici sono la guerra, la Resistenza, la condizione operaia e degli emarginati.
Vittorini Alla base dell'attività di Elio Vittorini (1908-1966) è la fiducia nella cultura come unica forza capace di costruire un mondo più giusto e più umano, da qui il suo impegno letterario e politico. La sua narrativa ruota attorno al tema del viaggio, metafora esistenziale del processo conoscitivo. Opere principali: Il garofano rosso (1948); Conversazione in Sicilia (1937); Uomini e no (1945).
Pavese Cesare Pavese (1908-1950), morto suicida, narratore nostalgico e insieme concretamente realista, ha cercato di conciliare la necessità tutta civile del rispetto umano con una drammatica coscienza di corruzione, da cui quasi niente riesce a salvarsi. Temi della sua narrativa: le natie Langhe, la rivelazione mitica dell'adolescenza, il faticoso e doloroso dovere della vita collettiva, il desiderio di annientamento (il "vizio assurdo"). Tra le sue opere: La bella estate (1949); La luna e i falò (1950); il diario Il mestiere di vivere (1952).
Fenoglio Beppe Fenoglio (1922-1963) ha espresso un realismo eroico e insieme etico, essenzialmente incentrato sui due motivi della vita contadina delle Langhe e della guerra. Da ricordare: I ventitré giorni della città di Alba (1952); Primavera di bellezza (1959) e soprattutto Il partigiano Johnny (1968).
Pratolini Vasco Pratolini (1913-1991) fece protagonista della sua opera il mondo popolare soprattutto toscano (Cronaca familiare; Cronache di poveri amanti, 1947).
Jovine Francesco Jovine (1902-1950), molisano, non risparmia le miserevoli condizioni di vita delle plebi meridionali (Le terre di Sacramento, 1950).
Rea Domenico Rea (1921-1994) propone una suggestiva crudezza realistica (Spaccanapoli, 1947).
Levi Carlo Levi (1902-1975), torinese, unisce tradizione meridionalistica e indagine sociale nel suo romanzo Cristo si è fermato a Eboli (1945).
Tobino Mario Tobino (1910-1991), medico toscano, ha rappresentato la solitudine ed estraneità della malattia mentale (Le libere donne di Magliano, 1953).
Cassola Carlo Cassola (1917-1987), romano, guardò alle realtà più semplici della Maremma e ai temi più impegnati della Resistenza e del dopoguerra (Il taglio del bosco, 1954; Fausto e Anna, 1952; La ragazza di Bube, 1960).

il realismo critico

Il lavoro di scrittori come Moravia, Sciascia, Brancati, Piovene, Soldati, Flaiano, Bassani, Primo Levi o Parise va oltre la nozione pur ampia di "neorealismo" ed è più opportunamente collocabile in una sorta di "realismo critico", categoria narrativa in cui si tende, oltre che a rappresentare, soprattutto a indagare le forme della realtà. Moravia è lo scrittore dell'analisi perpetua; Brancati o Piovene, dello smascheramento; per Parise e Sciascia, pur da presupposti diversi, scrivere significa soprattutto analizzare una tipologia umana e sociale. Anche Tomasi da Lampedusa o Primo Levi, così lontani per esperienza e stile, sembrano avere in comune una forte esigenza critica e di inchiesta umana. Pasolini infine intende la letteratura come un modello per capire la realtà.

Alberto Moravia

Alberto Moravia, pseudonimo del romano Alberto Pincherle (1907-1990), fu un osservatore instancabile e sagace della realtà contemporanea. Fece propri molti temi della modernità: il sesso, l'alienazione, il significato dei rapporti economici. La sua scrittura, sempre aderente al contesto sociale, in genere quello borghese, è un esempio di lucidità e rigore espressivo.

La vita e le opere

Non compì studi regolari per motivi di salute. Il romanzo Gli indifferenti, pubblicato (1929) a proprie spese, che narra il disfacimento del tessuto umano e morale di una famiglia romana degli anni '20, destò straordinario interesse ma suscitò l'ostilità della cultura fascista. Moravia cominciò a viaggiare (Londra, Parigi, Stati Uniti, Cina) come inviato speciale di numerosi giornali. Pubblicò altre opere di narrativa: Le ambizioni sbagliate (1935); L'imbroglio (1937); I sogni del pigro (1940); La mascherata (1941). Nel 1941 sposò la scrittrice Elsa Morante. Tornato a Roma dopo la liberazione della città, iniziò un intenso periodo creativo: pubblicò, oltre al romanzo breve Agostino (1944) incentrato sui turbamenti sessuali di un adolescente, numerosi romanzi e racconti come La romana (1947); Racconti romani (1954); La ciociara (1957) e Nuovi racconti romani (1959), esplorando il vitalismo del popolo romano nel quadro violento e drammatico della guerra. In altre opere come La disubbidienza (1948); L'amore coniugale e altri racconti (1949); Il conformista (1951); Il disprezzo (1954), proseguì invece la ricerca psicoanalitica intrapresa con Agostino. Con La noia (1960), facendo propri alcuni moduli del romanzo francese impostato sul tema dell'alienazione, Moravia trovò un nuovo e fertile terreno d'indagine: il senso di inutilità e di fallimento esistenziale. La sua produzione si arricchì in seguito di numerosi racconti (L'automa, 1962; Una cosa è una cosa, 1967; Il paradiso, 1970; Boh, 1976; La cosa, 1983), romanzi (L'attenzione, 1965; Io e lui, 1971; La vita interiore, 1978; 1934, 1982; L'uomo che guarda, 1985; Viaggio a Roma, 1989), saggi di notevole interesse (Un mese in Urss, 1958; Lettere dal Sahara, 1981).

Le tesi ispiratrici

La vastissima produzione di Moravia rappresenta e interpreta gli eventi che più profondamente hanno agito sulla società italiana (fascismo, guerra, occupazione e liberazione, rinascita economica, consumismo, contestazioni, terrorismo), servendosi di due strumenti: la psicoanalisi, per comprendere il rapporto dell'individuo con se stesso, e il marxismo, per analizzare i rapporti sociali, le dinamiche legate al possesso. Per Moravia la sfera sessuale è una forza vitale soltanto se espressione del mondo popolare, immediato e non condizionato. Nel contesto borghese invece tutti i rapporti si fondano sul denaro, tutto è mercificato, inserito in un meccanismo di consumo capace di distruggere ogni logica vitale. Nella struttura dei testi narrativi di Moravia vi è una netta prevalenza dell'azione sulla riflessione; la vicenda procede attraverso contrasti psicologici marcati tra i personaggi, solitamente pochi, che si rivelano attraverso i gesti e i dialoghi. Il linguaggio, chiaro, mantiene costantemente un livello medio, spesso con inflessioni romanesche. Le sue opere hanno un taglio marcatamente "teatrale" e sono state spesso spunto per versioni cinematografiche, a cui Moravia stesso collaborò.

Leonardo Sciascia

Leonardo Sciascia (1921-1989), scrittore di grande impegno civile e politico, propose una narrativa limpida e distaccata, in un sorta di pessimistico, lucido razionalismo. I metodi classici dell'indagine, dell'inchiesta poliziesca, della ricostruzione storica o della denuncia costruiscono le architetture dei suoi libri.

La vita e le opere

Nativo di Racalmuto, presso Agrigento, Sciascia entrò presto in contatto con l'ambiente culturale siciliano. Esordì con raccolte poetiche (Favole della dittatura, 1950; La Sicilia, il suo cuore, 1952), ma il suo impegno creativo si rivolse subito alla prosa. Le parrocchie di Regalpetra (1956) e i racconti Gli zii di Sicilia (1958), hanno al centro la Sicilia, con il suo passato di delusioni e promesse tradite e il suo problematico presente. Inaugurò poi una nuova stagione scegliendo il giallo come genere letterario e la denuncia della criminalità mafiosa come argomento principale. Il giorno della civetta (1961), diede allo scrittore successo e un ruolo di grande rilievo nella battaglia contro la mafia per un cambiamento radicale delle regole della società siciliana. Seguirono Il Consiglio d'Egitto (1963), ambientato nella Palermo del Settecento e A ciascuno il suo (1966). All'inizio degli anni '70 l'impegno civile di Sciascia si volse contro la cosiddetta "strategia della tensione" e il terrorismo. Nacquero così due delle sue opere più interessanti e controverse, Il contesto (1971) e Todo modo (1974), indagini poliziesche su oscuri episodi coinvolgenti figure del potere politico. Un momento di illusione positiva è Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia (1977), in cui esprime un'aspirazione alla razionalità ripresa dichiaratamente dalla cultura illuministica. La battaglia civile contro la logica dell'intrigo e della sopraffazione (sostenuta anche da incarichi politici) ebbe espressione organica nel filone dell'inchiesta storica (La morte dell'inquisitore, 1967) e nei racconti-inchiesta Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971) su uno scrittore francese suicida; La scomparsa di Majorana (1975) sulla misteriosa sparizione del famoso fisico nucleare; L'affaire Moro (1978), sul sequestro e l'omicidio del presidente democristiano; Dalle parti degli infedeli (1979), sulla connivenza tra Chiesa e mafia; Il teatro della memoria (1981). Notevole anche la sua attività di critico letterario, (Pirandello e la Sicilia, 1961).

Vitaliano Brancati

Vitaliano Brancati (1907-1954), erede della grande tradizione siciliana di Verga e De Roberto, analizzò la vita della borghesia siciliana durante il fascismo, avvalendosi di un'ironia dissacrante, e rivelatrice del disagio sociale dell'epoca.

La vita e le opere

Rifiutò molto presto la giovanile adesione al fascismo, documentata nel romanzo breve Singolare avventura di viaggio (1934). Dopo la seconda guerra mondiale si fece sostenitore di un liberalismo radicale, teso a denunciare l'intolleranza e il dilagante disprezzo per la cultura. La sua produzione letteraria comprende racconti (Il vecchio con gli stivali, 1945), romanzi (L'amico del vincitore, 1932; Gli anni perduti, 1941; Don Giovanni in Sicilia, 1941; Il bell'Antonio, 1949; l'incompiuto Paolo il caldo, 1955, postumo), opere drammaturgiche (Questo matrimonio si deve fare, 1938; Le trombe d'Eustachio, 1942; Raffaele, 1948; La governante, 1952, bloccata dalla censura per lo scabroso tema dell'omosessualità femminile) e saggistica.

I temi

La narrativa di Brancati, che ha ispirato anche opere cinematografiche, è dominata dalle manie e dalle distorsioni del maschio siciliano, passivo e preda di fantasie erotiche, vittima dell'ambiente sociale, la piccola e media borghesia. I giovani degli Anni perduti, o il protagonista del Don Giovanni in Sicilia, vivono inappagati rinviando continuamente la partenza dalla Sicilia e lasciando fallire tutti i progetti. Risvolti cupi e tragici connotano nel Bell'Antonio la vicenda del giovane siciliano bellissimo che vive il dramma dell'impotenza nell'epoca fascista che della virilità aveva fatto uno dei valori primari. In Paolo il caldo è delineato, con intenti autobiografici, il difficile impatto di un giovane intellettuale siciliano con il mondo della borghesia romana.

Piovene, Soldati, Flaiano

Guido Piovene (1907-1974), vicentino, giornalista, soprattuto scandagliò le inquietudini e le ipocrisie della vita provinciale. Diffidente nei confronti delle verità e delle certezze precostituite, fu attratto piuttosto dalle "zone pericolose dell'animo" che non sempre possono e debbono essere chiarite. Tale inquieta problematicità percorre tutta la sua narrativa: dai primi racconti, (La vedova allegra, 1931) alle Lettere di una novizia (1941), il romanzo di una monacazione forzata costellata di delitti e torbide passioni. Anche negli altri romanzi (Pietà contro pietà, 1946; Falsi redentori, 1949; Furie, 1963; Stelle fredde, 1970), domina il tema della menzogna come unica possibilità di salvezza in un mondo scomposto e dissennato. Nel volume di saggi Coda di paglia (1963), rivisitò la sua contraddittoria adesione al fascismo.

Il torinese Mario Soldati (1906-1999), giornalista e scrittore ricco e versatile, propone una narrativa leggera ma anche smagliante, capace di usare molteplici timbri narrativi. Dal periodo intenso e ricco di esperienze (1929-1931) passato alla Columbia University di New York, come insegnante, ha ricavato il romanzo America primo amore (1935), che rivela il temperamento di scrittore entusiasta della vita e di facile vena, oltre che la sua autentica passione per la cultura e la civiltà americana. Fra i volumi di racconti si ricordano: Sàlmace (1929); A cena col commendatore (1950); I racconti del maresciallo (1967). Fra i romanzi: La verità sul caso Motta (1943); Le due città (1964), in cui rivive il forte attaccamento alle sue due città, Torino e Roma; La sposa americana (1977). Di maggior rilievo a partire dagli anni '30 l'attività cinematografica come soggettista, sceneggiatore e regista, che lo ha reso uno degli esponenti più validi del cinema italiano.

Ennio Flaiano (1910-1972), nativo di Pescara, fu una delle figure culturali più vivaci del dopoguerra e narratore sarcastico e grottesco. La sua prima e più importante opera narrativa, Tempo d'uccidere (1947), allegorica rappresentazione della vita vista come stato d'angoscia, si caratterizza per una vena ironica, a metà tra l'assurdo e il paradosso, che è confermata anche dalle opere successive (Una e una notte, 1959; Le ombre bianche, 1972; La solitudine del satiro, 1973, postumo; Autobiografia del blu di Prussia, 1974, postumo). Per il teatro scrisse, sempre con intento polemico e satirico, La guerra spiegata ai poveri (1946), La donna nell'armadio (1958), Un marziano a Roma (1960). Fu inoltre sceneggiatore di alcuni film di Federico Fellini.

Giorgio Bassani

Giorgio Bassani (1916-2000) mette al centro della sua opera la storia di Ferrara e della sua numerosa comunità ebraica, vittima della persecuzione razziale fascista.

Bassani, nato a Bologna, fu antifascista e partecipò alla Resistenza, conoscendo il carcere e la persecuzione. Il nucleo essenziale della sua produzione, costituito da sei opere, è stato raccolto dallo scrittore nel 1974 sotto il titolo complessivo de Il romanzo di Ferrara e comprende: Cinque storie ferraresi (1956), ripubblicate con il titolo Dentro le mura (1973); Gli occhiali d'oro (1958); Il giardino dei Finzi Contini (1962); Dietro la porta (1964); L'airone (1968); L'odore del fieno (1972). Meno note sono la sua produzione poetica (In rima e senza, 1982) e le prose saggistiche e autobiografiche che si trovano in Le parole preparate e altri scritti di letteratura (1966) e in Di là dal cuore (1984).

Quella di Bassani è una scrittura della memoria che, rievocando vicende comuni sulle quali si scatena la violenza di una follia collettiva, riesce a ridare senso al passato. I suoi personaggi, per lo più ebrei, diventano l'emblema della tragedia esistenziale che travolge chi vive una lacerante diversità. Così la giovane enigmatica Micol del Giardino dei Finzi Contini, considerato il suo capolavoro, è protesa verso il presente perché presaga del destino di morte. Il medico ferrarese del romanzo breve Gli occhiali d'oro è costretto al suicidio per la solitudine e l'emarginazione vissute a causa della sua omosessualità, condannata dal fascismo. Al centro del romanzo Dietro la porta è una storia d'iniziazione alla vita di un giovane liceale che scopre traumaticamente la sessualità, vissuta come peccato.

Primo Levi

Primo Levi (1919-1987), torinese, è un altissimo esempio di testimonianza umana e poetica. Di origine ebraica, laureato in chimica, venne internato (1944-45) nel campo di sterminio di Auschwitz. Nel 1947 pubblicò Se questo è un uomo, che, in una prosa classica e misurata, descrive l'orrore dei lager, facendo del tormento della memoria un imperativo etico a testimoniare un evento che pone in discussione la natura dell'uomo e a mettere in guardia di fronte alla possibilità di un nuovo olocausto. Ideale continuazione del precedente romanzo è La tregua (1963), che narra la liberazione e il viaggio di ritorno in patria. I suoi racconti (Storie naturali, 1967, Vizio di forma, 1971) oscillano fra il ricordo della guerra e l'attenzione alla vita quotidiana, aprendosi anche all'elemento fantastico. Tornò al romanzo con Il sistema periodico (1975), rievocazione autobiografica degli anni di formazione di un intellettuale ebreo piemontese, e soprattutto con La chiave a stella (1978), uno dei libri più positivi del dopoguerra, animato dalla fiduciosa consapevolezza del proprio valore da parte di un operaio specializzato. Seguì Se non ora, quando? (1982), ricostruzione appassionata di alcuni episodi della guerra. Concludono la sua produzione la raccolta di poesie Ad ora incerta (1984), i saggi L'altrui mestiere (1985) e l'opera-testamento I sommersi e i salvati (1986), che ritorna sull'esperienza del lager e dell'olocausto con una riflessione laica sul male nella storia e sul comportamento dell'uomo di fronte a esso.

Tomasi di Lampedusa e Morselli

Il nobile palermitano Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), cultore di letteratura inglese e francese e di studi storici, fu protagonista negli anni '50 di un vero "caso" letterario: sconosciuto in vita, divenne molto noto e apprezzato dopo la morte, quando lo scrittore G. Bassani curò la pubblicazione del suo romanzo Il Gattopardo (1958). Si tratta di un romanzo storico ambientato in Sicilia tra la fine del regno borbonico e l'annessione dell'isola al Regno d'Italia che ha per protagonista il principe di Salina, l'ultimo dei "gattopardi", rappresentati sullo stemma della famiglia. Giunto al tramonto della vita, egli si compiace di osservare gli eventi ora privati, ora pubblici, che si svolgono quasi senza lasciare tracce profonde nel mondo e negli uomini perché "bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com'è". L'opera, che denuncia l'immobilismo della società siciliana e il trasformismo politico postrisorgimentale, è permeata da un profondo senso di morte e di disfacimento.

Il bolognese Guido Morselli (1912-1973) fu autore d'eccezione, capace di reinventare la storia del passato o di intuirla nel futuro, congiungendo a una lucida intelligenza un pessimismo sconsolato e ironico. Solo dopo il suicidio, a Varese, le sue opere furono pubblicate e apprezzate per la singolare costruzione degli intrecci, per l'acume con cui sono affrontati alcuni problemi centrali del sec. XX e per l'alta qualità stilistica della scrittura. Le sue opere, tutte postume (Roma senza papa, 1974; Contropassato prossimo, 1975; Divertimento 1889, 1975, forse il suo capolavoro; Il comunista, 1976; Dissipatio H. G., 1977), raccontano in modo scabro e sottile la corruzione e l'indifferenza della vita moderna.

Parise e Berto

Il vicentino Goffredo Parise (1929-1986) fu autore di sorprendente forza e intensità narrativa: il suo realismo mostra sempre una concentrazione totale sulle cose. Collaborò a diversi quotidiani, pubblicandovi resoconti di viaggio. Esordì come narratore con il romanzo Il ragazzo morto e le comete (1951), al quale seguirono La grande vacanza (1953), che fotografa la vita della provincia italiana con intenti satirici e dissacranti, e Il prete bello (1954), storia dell'amore impossibile fra un prete e una giovane donna. Nei seguenti Il fidanzamento (1956) e Atti impuri (1959), continuò a mettere a nudo i guasti della provincia bigotta e viziosa. Di forte attualità sociale fu il romanzo grottesco del 1965, Il padrone, in cui il rapporto che s'intaura fra il padrone di una grande azienda e un suo dipendente riflette la violenza e la non autenticità della vita nella società industriale. Raccolse quindi molti racconti nel volume Crematorio di Vienna (1969) e gli elzeviri di argomento introspettivo in Sillabario n. 1 (1972) e Sillabario n. 2 (1982): un piccolo dizionario affettivo-sentimentale dei più semplici ed essenziali sentimenti dell'uomo.

L'autobiografismo è il carattere della prosa del veneto Giuseppe Berto (1914-1978), che partecipò alla guerra e fu fatto prigioniero. Nel suo romanzo di maggior spicco, Il cielo è rosso (1947), domina il tema della guerra, come anche nei seguenti Le opere di Dio (1948), Il brigante (1951), e nel romanzo-diario Guerra in camicia nera (1955) rievocazione della guerra d'Africa. Con Il male oscuro (1964) inizia una nuova fase fortemente autobiografica, introspettiva e psicologica, una sorta di monologo interiore. La stessa tecnica venne utilizzata in La cosa buffa (1966), mentre un impianto più tradizionale caratterizza Anonimo veneziano (1971). Del 1973 è l'ironica Oh, Serafina, favola ecologica che critica aspramente la società industriale. Scrisse anche drammi di ispirazione religiosa (L'uomo e la sua morte, 1964; La passione secondo noi stessi, 1972).

L'Italia dello sviluppo socio-economico

Alcuni scrittori hanno saputo cogliere i molteplici aspetti dello sviluppo italiano degli anni '50 e '60.

Il vigevanese Lucio Mastronardi (1930-1979), maestro elementare che morì suicida, fu influenzato dal neorealismo. Con Il calzolaio di Vigevano (1959), scritto in un linguaggio italo-pavese, descrive la realtà di un piccolo centro lombardo alle prese con l'industrializzazione degli anni '60. Nel successivo Il maestro di Vigevano (1962) tematiche più esistenziali, quasi pirandelliane, si fondono con toni e situazioni grottesche della vita scolastica. Il meridionale di Vigevano (1964), mette a fuoco le problematiche dell'immigrazione e conclude il ciclo narrativo, poi raccolto in Gente di Vigevano (1977), che include anche i racconti: A casa tua ridono (1971) e L'assicuratore (1975).

Il romano Ottiero Ottieri (1924-2002) ha partecipato molto attivamente al dibattito su letteratura e industria, con alcuni romanzi, quali Tempi stretti (1957), sull'alienazione operaia in fabbrica e Donnarumma all'assalto (1959), lucido esame delle contraddizioni tra le illusioni di un intellettuale dirigente d'azienda e la realtà amara e ribollente del Mezzogiorno lambito dall'industrializzazione. Meno interessanti La linea gotica (1963) e L'impagliatore di sedie (1964), mentre alcune opere successive in prosa (L'irrealtà quotidiana, 1966; Il campo di concentrazione, 1972; Diario del seduttore passivo, 1995; Il poema osceno, 1996) e in poesia (Il pensiero perverso, 1971; e La corda corta, 1978) indagano il male di vivere e testimoniano di una profonda, dolente sensibilità.

Il grossetano Luciano Bianciardi (1922-1971) visse con inquietudine un'aspra polemica nei confronti della società. Iniziò l'esperienza letteraria come traduttore di scrittori stranieri a lui congeniali per il romantico anarchismo: (W. Falkner, H. Miller, Th. Berger, J. Barth). Il pamphlet Il lavoro culturale (1957) è un libro-denuncia sul crollo degli ideali nati dalla Resistenza. Del 1962 è La vita agra, il romanzo più riuscito: il protagonista, un intellettuale anarchico di provincia, si trasferisce a Milano con l'intenzione di abbattere "il torracchione di vetro e cemento", ma viene schiacciato dal mondo dell'industria culturale. La battaglia soda (1964) costituì il ritorno al racconto storico dei romanzi "risorgimentali" Da Quarto a Torino (1960) e Daghela avanti un passo (1969).

Il luinese Piero Chiara (1913-1986) è stato uno dei più prolifici scrittori degli anni '60 e '70. Dotato di un talento narrativo eccezionale, che dosa abilmente intreccio e ritratto psicologico, in una prosa limpida e precisa, ha quasi sempre narrato storie di provincia, in bilico tra grottesco e surreale. Tra le sue opere migliori: Il piatto piange (1962), L'uovo al cianuro (1969), Viva Migliavacca (1982).

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini (1922-1975) intese la letteratura come un modello per capire la realtà fuori da ogni astrazione intellettualistica. Fu così vicino alle tematiche del neorealismo, ma anche radicale sperimentatore. Fu uno dei pochi scrittori del secolo a interpretare con coraggio e dignità il dovere civile dell'indignazione, il diritto di una letteratura votata a comprendere come a rifiutare corruzione e disumanità.

La vita

Nato a Bologna, dopo la laurea ritornò nel materno Friuli, e nel 1945 fondò con alcuni amici l'"Academiuta di lenga furlana", a sostegno della poesia in dialetto friulano. Nel 1947 si iscrisse al Partito comunista e iniziò a insegnare, ma nel 1949 fu espulso dal partito e sospeso dall'insegnamento per corruzione di minorenni. Si trasferì a Roma e nel 1955 fondò la rivista "Officina". Negli anni '60, ormai noto al grande pubblico, intraprese anche l'attività di regista cinematografico (fra i suoi film: Accattone, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini). Negli anni '70 collaborò a periodici e quotidiani, intervenendo con spregiudicata incisività sulle principali questioni politiche e culturali, rimpiangendo l'Italia povera e contadina distrutta dai mass-media e dal consumismo di massa. Morì a Roma, assassinato in circostanze oscure.

L'opera letteraria

I primi due romanzi Atti impuri e Amado mio, pubblicati postumi nel 1982, e l'idillio in prosa Il sogno di una cosa (1949) sono opere tra il diaristico e il documentario in cui il giovane Pasolini descrive i primi amori omosessual. Iil romanzo Ragazzi di vita (1955) gli procurò un grande successo anche di critica. La scoperta della gioventù emarginata delle borgate romane, violenta e scomposta ma vitale, spinge Pasolini verso un populismo in parte venato di marxismo, in parte sentimentale, in cui affiora un latente moralismo cattolico. La scrittura ferma e precisa, il calco dialettale lo avvicinano al neorealismo, ma orientato verso una dimensione mitizzante. Con Una vita violenta (1959), che traccia la storia di un ragazzo "predestinato" alla violenza, incapace di una visione matura della realtà o di qualsiasi coscienza politica e sociale, il mito si arrende alla realtà. Analogamente, tragedie in versi come Calderón (1973), Affabulazione e Pilade (postume, 1977) perseguono faticosi progetti di trasposizione mistica di conflitti psichici e tensioni sociopolitiche. Invece la vocazione "pubblica" di Pasolini trovò sfogo nell'ampia produzione saggistica e negli interventi giornalistici controcorrente (Passione e ideologia, 1960; Empirismo eretico, 1972; Scritti corsari, 1975; Le belle bandiere, 1977).

La raccolta La meglio gioventù (1954, rifatta nel 1975) con le prime poesie in dialetto friulano è la splendida e mai più raggiunta vetta della lirica pasoliniana: il recupero filologico del dialetto è al servizio della nostalgia per la terra e la lingua materne, momento ideale del suo destino di uomo. Nelle poesie in lingua L'usignolo della chiesa cattolica (1958), Pasolini esprime un sentimento cattolico luttuoso e barocco, misto a tardi rifacimenti decadenti. Le Ceneri di Gramsci (1957) rispecchiano l'impatto con Roma, la riflessione sul degrado della società e, insieme, l'anelito a un mutamento radicale. La religione del mio tempo (1961), adotta la satira e l'epigramma; Poesia in forma di rosa (1964) argomenta e monologa in una prospettiva di rifiuto e contestazione ormai troppo declamata. In Trasumanar e organizzar (1971), da una parte Pasolini riscrive le poesie giovanili in dialetto, dall'altra assume toni da poeta civile e sdegnato, preludendo all'ultima, tragica stagione.

Il realismo critico in sintesi

Realismo critico

Categoria narrativa in cui si tende, oltre che a rappresentare, soprattutto a indagare le forme della realtà.

Moravia Alberto Moravia (1907-1990), osservatore instancabile della realtà contemporanea, ha fatto propri molti temi della modernità (sesso, alienazione, significato dei rapporti economici). La sua scrittura è un esempio di lucidità e rigore espressivo. Da ricordare: Gli indifferenti (1929) e La noia (1960).
Sciascia Leonardo Sciascia (1921-1989), scrittore di grande impegno civile e politico, propone una narrativa limpida e distaccata, in un sorta di pessimistico, lucido razionalismo, attraverso i metodi classici dell'indagine, dell'inchiesta poliziesca, della ricostruzione storica o della denuncia. Da ricordare: Il giorno della civetta (1961); A ciascuno il suo (1966); Il contesto (1971); Todo modo (1974).
Brancati Vitaliano Brancati (1907-1954), erede della grande tradizione siciliana di Verga e De Roberto, analizza la vita della borghesia siciliana durante il fascismo, avvalendosi di una comicità e di un'ironia dissacrante, rivelatrice del disagio sociale dell'epoca. Da ricordare: Don Giovanni in Sicilia (1941); Il bell'Antonio (1949).
Piovene Guido Piovene (1907-1974) scandaglia soprattuttto le inquietudini e le ipocrisie della vita provinciale. Da ricordare: Lettere di una novizia (1941).
Soldati Mario Soldati (1906-1999), scrittore ricco e versatile, è capace di usare molteplici timbri narrativi. Da ricordare: Sàlmace (1929); America primo amore (1935).
Flaiano Ennio Flaiano (1910-1972), è narratore sarcastico e grottesco. Da ricordare: Tempo d'uccidere (1947).
Bassani Giorgio Bassani (1916-2000) rievoca vicende della comunità ebraica di Ferrara, i cui personaggi diventano emblema della tragedia esistenziale di chi vive una lacerante diversità. Da ricordare: Il giardino dei Finzi Contini (1962).
Levi Primo Levi racconta con scrittura piana e distaccata l'orrore del lager nazista dando un'altissima testimonianza morale e poetica dell'olocausto. Da ricordare: Se questo è un uomo (1947), La tregua, La chiave a stella (1978), I sommersi e i salvati (1986).
Tomasi di Lampedusa Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), ha scritto il romanzo storico Il Gattopardo (1958), che attraverso le vicende siciliane indaga il "carattere" degli italiani.

La poesia dialettale del Novecento

Finito il realismo popolare della letteratura dialettale ottocentesca, nel Novecento la ricca produzione poetica in dialetto si mostra aperta ai valori più intimi, capace di ritrovare nella scelta del vernacolo una più profonda autenticità umana, una lingua quasi incorrotta rispetto alla tragica consunzione della lingua poetica tradizionale.

Delio Tessa

Delio Tessa (1886-1939), erede della grande tradizione della lirica in dialetto milanese, risulta un esempio altissimo di espressionismo novecentesco. Condusse vita isolata, esercitando la professione di giudice. Pubblicò un solo libro di poesie, L'è il dì di mort, alegher! (1932): protagonista della sua poesia è il popolino di Milano, in particolare la gente di malaffare. La scelta del dialetto utilizza i dati linguistici per deformarli con invenzioni vicine allo sperimentalismo futurista, non lontano da certe dissonanze di origine pascoliana. Lo strano componimento Caporetto 1917, sulla tragicità della guerra, vista attraverso gli occhi della povera gente che impreca per la disfatta, crea una vera e propria parodia che fa da contraltare alla propaganda ufficiale, con risultato finale tragicomico. Uscirono postumi: Poesie nuove e ultime (1979) e Alalà al pellerossa (1979).

Biagio Marin

Biagio Marin (1891-1985), nativo di Grado, studiò filosofia a Vienna e poi a Roma con il filosofo G. Gentile. A Firenze entrò in contatto con l'ambiente de "La Voce". Alle prime raccolte, Fiuri de tapo (1912); La girlanda de gno suore (1922); Cansone picole (1926), dopo un lungo intervallo, seguirono le raccolte che lo resero noto, fra le quali: I canti de l'isola (1951); Il non tempo del mare (1965); La vita xe fiama (1970); Ultime refolae (1975); La vose de la sera (1985). L'adozione del dialetto gradese, una lingua arcaica e povera, rappresenta la scelta di purezza ed essenzialità delle origini, che Marin contrappone alle trasformazioni del mondo contemporaneo. Semplici anche i suoi temi: il mare, il sole, i profumi, l'umanità.

Giacomo Noventa

Giacomo Noventa è lo pseudonimo di Giacomo Ca' Zorzi, (1898-1960), originario di Noventa di Piave. La sua ideologia, un misto di cattolicesimo e di marxismo, fu animata da un profondo spirito antiborghese e dal desiderio di partecipare all'edificazione di una società dominata dalla giustizia. Nel 1936 fondò la rivista "La Riforma letteraria". Nel 1956 uscì il volume Versi e poesie, che raccoglie i versi in dialetto veneto destinati all'ascolto degli amici, quindi in forma di conversazione più che di scrittura. Il volume Versi e prose di Emilio Sarpi uscì postumo (1963). La sua poesia è il segno di un'antica civiltà, lontana da ogni eroismo e da ogni intellettualismo; la poesia recupera valori e sentimenti considerati morti, sa cogliere il senso ultimo delle cose; la poesia è preghiera che non guarda tanto alle parole, quanto a ciò a cui le parole rimandano.

Trilussa

Trilussa è lo pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (1871-1950), autore di una copiosa produzione di facili versi in romanesco che gli valse immediato e vasto consenso. Attento osservatore della vita borghese, la sua vena si caratterizza per la descrizione di usi, costumi e atteggiamenti in chiave bozzettistica, a cui il dialetto aggiunge immediatezza e ironia (Er mago de Bborgo, 1890-91), oppure per l'argomento favolistico e moraleggiante (Ommini e bestie, 1914; Lupi e agnelli, 1919).

Pierro, Guerra, Baldini, Loi

Il dialetto resta per alcuni autori un modo per "toccare" letteralmente il senso delle cose, la deformazione e il paradosso della vita: il pessimismo si equilibra dunque con un fortissimo gusto della dizione e del paesaggio naturale.

Il lucano Albino Pierro (1916 -1995) testimonia un misto di dolore e di segreta disperazione. La sua poesia (scritta nell'antichissimo dialetto materno di Tursi, presso Matera) può essere realistica, sentimentale, tragica, persino grottesca: ma insiste sul puro terrore che si nasconde dentro le cose. Tra le numerose raccolte vanno ricordate: Metaponto (1966), Nd'u piccicarelle de Turse (Nel precipizio di Tursi, 1967); Eccò a morte? (Perché la morte?, 1969); Famme dorme (1971); Si po' nu iurne (Se poi un giorno, 1983); Un pianto nascosto (1986).

Il romagnolo di Santarcangelo Tonino Guerra (1920 - 2012), autore anche di romanzi in italiano (L'uomo parallelo, 1969; I guardatori della luna, 1981) e sceneggiatore di numerosi registi cinematografici italiani e stranieri, popola i suoi versi di figure dolorose, spesso emarginate, ma cariche di intensa sensibilità e vitalità (I bu. Poesie romagnole, 1972).

Anch'egli di Santarcangelo di Romagna, Raffaello Baldini (1924 -2005) nelle sue poesie di La nàiva (1982) e Furistìr (1988) ha identificato e riprodotto lucidamente la grammatica della nevrosi quotidiana.

Il genovese Franco Loi (1930 - 2021), è vissuto fin da ragazzo a Milano. I suoi libri (Stròlegh, 1975; Teater, 1978; Liber, 1988; Umber, 1992, L'Angel, 1981-94) sono tenerissimi racconti reali di dolore e speranza, scritti in un milanese molto lontano dal dialetto parlato, capace di momenti di grande espressività.

La poesia dialettale del Novecento in sintesi

Poesia dialettale Si abbandona il vernacolo come scelta di realismo popolare: e la poesia in dialetto diventa soprattutto occasione di autenticità e sincerità umana.
Tessa Il milanese Delio Tessa (1886-1939) scegliendo il dialetto utilizza i dati linguistici per deformarli con invenzioni vicine allo sperimentalismo futurista (L' è il dì di mort, alegher!, 1932).
Marin Biagio Marin (1891-1985) con l'adozione dell'arcaico dialetto materno di Grado fa una scelta di purezza ed essenzialità delle origini, da contrapporre alle trasformazioni del mondo contemporaneo (Cansone picole, 1926; I canti de l'isola, 1951; La vose de la sera, 1985).
Noventa La poesia del veneto Giacomo Noventa (1898-1960), che assunse lo pseudonimo del paese d'origine, recupera valori e sentimenti considerati morti, sa cogliere il senso ultimo delle cose (Versi e poesie, 1956).
Trilussa Pseudonimo del romano Carlo Alberto Salustri (1871-1950). Osserva la cronaca e la vita borghese con immediatezza e ironia (Ommini e bestie, 1914; Lupi e agnelli, 1919).
Pierro La poesia del lucano Albino Pierro (1916-1995) può essere realistica, sentimentale, tragica o grottesca (Metaponto, 1966).
Guerra Il romagnolo Tonino Guerra (1920), anche sceneggiatore cinematografico, popola i suoi versi di figure dolorose ma vitali (I bu. Poesie romagnole, 1972).
Baldini Il romagnolo Raffaello Baldini (1924-2005) descrive lucidamente la nevrosi quotidiana (La nàiva, 1982; Furistìr, 1988).
Loi Franco Loi (1930), genovese ma milanese d'adozione, ha scritto tantissimi racconti reali di dolore e speranza in milanese (Stròlegh, 1975; L'Angel, 1981-94).

La poesia del dopoguerra

La poesia del dopoguerra è testimoniata da personalità di assoluto rilievo. Betocchi e Penna, in modo diverso, stabiliscono la ricerca di un realismo assoluto. Luzi, Bertolucci e Sereni propendono per una ricerca appassionata, che avrà esiti diversi (il senso storico di Sereni aprirà a Linea Lombarda); Caproni approda a una nitidezza espressiva amara e straziante.

Carlo Betocchi

Il torinese Carlo Betocchi (1899-1985) è il rappresentante di un realismo in cui la poesia è fatta di cose eppure è una continua tensione all'assoluto. Soprattutto nelle prime raccolte (Realtà vince il sogno, 1932; Altre poesie, 1939; Notizie di prosa e poesia, 1947) i temi prediletti sono la realtà rurale della Toscana e i suoi valori semplici e autentici. L'estate di San Martino (1961) fu l'inizio di una nuova fase poetica, legata al tema della vecchiaia, della morte vicina ma accettata cristianamente: nacque così una lirica più intima, di andamento diaristico. Nella ricerca della verità ultima, Betocchi è convinto che unico valore per l'uomo sia quello dell'appartenere a un ordine universale, sola salvezza contro la violenza e la mercificazione della società industriale.

Sandro Penna

La poesia del perugino Sandro Penna (1906-1977) si richiama soprattutto alla lezione di Saba e, in parte, all'ermetismo. Temi dominanti sono l'omosessualità e i paesaggi dell'esistenza. Nel suo verso, concreto e sempre espresso con misura classica, colpa e innocenza si alternano in un precario equilibrio. Esordì con le Poesie (1939), cui seguirono molte altre raccolte, fra le quali Appunti (1950), Una strana gioia di vivere (1956), L'ombra e la luce (1975), Stranezze (1976). Predilesse il componimento breve (l'epigramma o minuscoli abbozzi narrativi), in cui la concisa descrizione di un particolare (il mare, una piazza, lo scompartimento di un treno), di un gesto, di un'impressione, diventa spunto della "rivelazione" esistenziale. Nel suo linguaggio l'aulico si fonde naturalmente con il quotidiano, in un andamento molto musicale.

Attilio Bertolucci

Attilio Bertolucci (1911-2000), originario di San Lazzaro Parmense, è il maestro di un realismo pastoso e tenero, aperto a un paesaggio quotidiano familiare, in cui riverbera un senso classico della vita. Le sue raccolte (Sirio, 1929; Fuochi di novembre, 1934; La capanna indiana, 1951; Viaggio d'inverno, 1971; La lucertola di Casarola, 1997 e il poema La camera da letto, iniziato nel 1984) ruotano attorno ai motivi ricorrenti della famiglia, della campagna emiliana, della città. Domina il mondo agreste, salvaguardia della continuità dell'esistenza nel ripetersi degli eventi naturali. Costante è la ricerca di un rifugio, "la capanna", che difende e protegge. Il trasferimento a Roma e l'impatto con la vita cittadina hanno introdotto nella sua poesia la convinzione che il mondo idillico della campagna è destinato a essere distrutto dalla storia e dalla civiltà; unica salvezza è allora la memoria, che fa riaffiorare il passato felice.

Mario Luzi

Mario Luzi (1914-2005), originario di Sesto Fiorentino, parte da una forte esperienza cattolica nutrita dalla lezione spirituale della migliore poesia simbolista francese. Primaria in lui è la vocazione all'assoluto, non quello consolatorio delle certezze, ma quello bruciante della ricerca. Negli anni '30-'40 fu uno dei protagonisti della stagione ermetica fiorentina, (La barca, 1935); seguirono poi le raccolte Avvento notturno (1940), Un brindisi (1946) e Quaderno gotico (1946). Il momento centrale della sua produzione coincide con Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957) e Dal fondo delle campagne (1965), che risentono di una maturazione esistenziale a confronto con la storia, in un gioco severo in cui l'essere e l'esistere si fronteggiano duramente. Una svolta avviene con Nel magma (1963), Su fondamenti invisibili (1971); Al fuoco della controversia (1978); Per il battesimo dei nostri frammenti (1985); Frammenti e incisi di un canto salutare (1990), opere nelle quali il "magma" della realtà sembra tradursi in forme meno alte, tese a registrare, anche mediante l'uso frequente del dialogo, la dispersione e il disorientamento dell'io, la sua fragilità conoscitiva. Luzi ha scritto inoltre numerosi saggi critici, pagine autobiografiche e testi teatrali in versi (Il libro di Ipazia, 1978; Rosales, 1984; Spazio stelle voce, 1992, Naturalezza del poeta, 1995).

Vittorio Sereni

Vittorio Sereni (1913-1983), di Luino, rappresenta lo sfaldamento dei presupposti ermetici in favore di una più radicale presa di coscienza della storia e dei suoi orrori: la poesia diviene allora l'esperienza nitida e straziante di una crisi che non è solo individuale ma storica. Nel volume d'esordio Frontiera (1941) risentì dell'influenza ermetica, condividendone la fiducia nella funzione rivelatrice della parola poetica, anche se si accostò a temi semplici e dimessi che richiamano la lezione dei crepuscolari: campeggia nella raccolta l'immagine del "lago" che evoca calma e serenità, anche se il "vento" presto investirà quell'idillico paesaggio lacustre. In Diario d'Algeria (1947) dominano i temi della guerra e della prigionia (Sereni fu internato nei campi di prigionia in Algeria e in Marocco). Nella terza raccolta, Gli strumenti umani (1965), la società del dopoguerra, capitalista e consumistica, segno del male di vivere, lo vede ora estraneo, ora in preda a un disperato furore. In questa degradazione solo l'amore e l'amicizia possono rappresentare un approdo momentaneo, mentre anche la parola si fa più dura e il ritmo diseguale, come soprattutto nella raccolta Un posto di vacanza (1965) poi inclusa, con altri versi, in Stella variabile (1981): qui il poeta mette in discussione persino il ruolo della poesia, in uno stile che coerentemente con la sua meditazione si fa sempre più prosastico.

Giorgio Caproni

Il livornese Giorgio Caproni (1912-1991) mette in musica uno scetticismo senza soluzione: la sua poesia è capace di una nitidezza espressiva amara e straziante, nella tradizione di Leopardi. Esordì con le raccolte Come un'allegoria (1936), Ballo a Fontanigorda (1938) e Finzioni (1941), che ricordano soprattutto Saba sia per la tematica della "fresca vita", sia per la lontananza dalle soluzioni stilistiche dell'ermetismo. Con Le stanze della funicolare (1952) e Il passaggio di Enea (1956), matura un canto d'amore per un'Italia distrutta dalla guerra, ma attiva e laboriosa. Nella raccolta Il seme del piangere (1959) campeggiano l'ombra della madre e la reinvenzione, non solo il ricordo, del passato. La metafora del viaggio continua nell'accezione di "viaggio finale" nel Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965), in cui il poeta si accomiata dalla vita sociale per volgersi a figure ai margini della vita, e nel Muro della terra (1975). Nelle ultime raccolte, Il franco cacciatore (1982), Il conte di Kevenhuller (1986), Res amissa (1991), il poeta-cacciatore è alla ricerca di Dio, dell'infanzia, del passato, una ricerca dove "l'inseguito diventa inseguitore", il cacciatore cacciato, senza speranza per niente e per nessuno.

La poesia del dopoguerra in sintesi

Betocchi Carlo Betocchi (1899-1985) è il rappresentante di un realismo in cui la poesia è fatta di cose eppure è una continua tensione all'assoluto. Raccolte principali: Realtà vince il sogno (1932), L'estate di san Martino (1961).
Penna La poesia di Sandro Penna (1906-1977) è semplice ma in questo assoluta; il suo verso è reale e concreto ma sempre straziante e perfetto: colpa e innocenza sembrano trovare un sorprendente e poetico equilibrio.
Bertolucci Attilio Bertolucci (1911-2000) è il maestro di un realismo pastoso e tenero, aperto a un paesaggio quotidiano quanto familiare, in cui riverbera un senso classico della vita. (Fuochi di novembre, 1934; La capanna indiana, 1951; La camera da letto, 1984).
Luzi Mario Luzi (1914-2005) parte da una forte esperienza cattolica, nutrita della migliore poesia simbolista francese. Resta primaria in lui la vocazione all'assoluto (Primizie del deserto, 1952; Nel magma, 1963; Al fuoco delle controversie, 1978).
Sereni Vittorio Sereni (1913-1983), di Luino, rappresenta lo sfaldamento dei presupposti ermetici in favore di una più radicale presa di coscienza della storia e dei suoi orrori (Diario d'Algeria, 1947; Gli strumenti umani, 1965; Stella variabile, 1981).
Caproni La poesia di Giorgio Caproni (1912-1991), espressione di uno scetticismo senza soluzione, è capace di una nitidezza amara e straziante (Il passaggio di Enea, 1956; Il seme del piangere, 1959; Il franco cacciatore, 1982).

Sperimentalismo e neoavanguardia

Intorno alla fine degli anni '50 il neorealismo andava esaurendosi: i valori e gli equilibri socio-politici usciti dalla Resistenza si erano trasformati; lo sviluppo industriale, la crisi della sinistra dopo la destalinizzazione richiedevano una cultura capace di sperimentare nuove forme sia di rappresentazione, sia di critica e di confronto con la realtà storica. Si apre la stagione dello "sperimentalismo" e con gli anni '60 si affermano le istanze culturali della "neoavanguardia".

Le riviste

"Officina" pubblicata a Bologna (1955-58) ebbe come redattori il calabrese Francesco Leonetti (1924), Pier Paolo Pasolini, il bolognese Roberto Roversi (1923) e, tra gli altri, Franco Fortini. Il programma era recuperare un concreto realismo che sperimentasse la molteplicità delle forme linguistiche, senza tuttavia rompere il rapporto con la tradizione.

La torinese "Il Menabò" (1959-67) fu una rivista meno programmatica, anche se capace di intensa aggregazione e riflessione letteraria. Ebbe come principali animatori Elio Vittorini e Italo Calvino. Promosse un famoso dibattito su "letteratura e industria" (1961); affrontò problemi di sociologia e di storia della cultura; progettò anche una rivista internazionale. Fu dunque un momento di grande ricerca e di profonda sprovincializzazione della cultura italiana.

"Il Verri" venne fondata a Milano (1956) e diretta dal critico milanese Luciano Anceschi (1911-1995). Accantonate le istanze realistiche o storicistiche, si distinse per l'impegno profuso nel sostegno alle proposte di rinnovamento letterario. Promosse la pubblicazione dell'antologia dei Novissimi (1961), che raccoglieva la poesia delle neoavanguardie, e contribuì alla fondazione del Gruppo '63 e alla realizzazione delle sue attività culturali.

La neoavanguardia e il Gruppo '63

La neoavanguardia affermava l'inadeguatezza e la crisi dell'ultimo neorealismo. Il suo punto di riferimento ideale fu l'operato delle avanguardie storiche, sia per lo stimolo da esse esercitato nel primo Novecento, sia per la nuova concezione di rapporto dinamico e coinvolgente con il pubblico, realizzata in particolare dal futurismo. Sul piano internazionale essa si ricollegava alle esperienze francesi del gruppo "Tel quel" e del "nouveau roman" e a quelle americane della poesia underground. L'antologia dei Novissimi (in due edizioni, 1961 e 1965) con testi di Nanni Balestrini (1935), Alfredo Giuliani (1924-2007), Elio Pagliarani (1927), Antonio Porta ed Edoardo Sanguineti, diede seguito alla fondazione (1963), a Palermo, del Gruppo '63, con cui la neoavanguardia allargò il suo campo d'interesse e di intervento, coinvolgendo numerosi giovani poeti, scrittori e critici, come A. Spatola, G. Niccolai, T. Kemeny, C. Ruffato, U. Eco, S. Vassalli, autore dei romanzi-saggio Narcisso (1968) e Tempo di màssacro (1970), forse le più significative prove della neoavanguardia nell'ambito della prosa. Obiettivo del gruppo fu il rifiuto della tradizione poetico-letteraria degli anni '50: identificando ideologia e linguaggio, esso attribuiva alla sperimentazione linguistica una funzione sovvertitrice della razionalità borghese.

Giovanni Testori

Giovanni Testori (1923-1993), milanese, frantumò l'eredità neorealista con il timbro di una violenza linguistica prossima all'urlo espressionistico. La sua modernità è paradossale e sembra, infatti, che voglia mimare la ricchezza e l'assurdità di una lingua barocca sconosciuta. Esordì con il racconto Il dio di Roserio (1954), confluito successivamente nella raccolta Il ponte della Ghisolfa (1958), con cui inaugurò una serie di opere, che costituiscono i "segreti di Milano", e di cui fanno parte i racconti La Gilda di Mac Mahon (1959), le commedie La Maria Brasca (1960) e L'Arialda (1960), il romanzo Il fabbricone (1961). L'amore per il teatro come forma di comunicazione diretta e più immediata della narrativa, lo indusse a un'interessante sperimentazione drammatica, culminata nella trilogia, Ambleto (1972), Macbetto (1974), Edipus (1977), in cui rivisitò i tre capolavori tragici del passato ambientandoli nel mondo contemporaneo. Negli anni '80 altri significativi risultati della sua sperimentazione teatrale furono il Post-amlet (1983) e "I promessi sposi alla prova". Azione teatrale in due giornate (1984). Nelle successive opere di narrativa, attraversate dal profondo senso della morte, dalla corruzione della modernità, dalla carnalità dirompente, domina la tensione religiosa, che culmina nella sua opera migliore, Passio Letitiae et Felicitatis (1975), la premessa all'adesione convinta al cattolicesimo e ai suoi valori, cui lo scrittore si convertì pubblicamente, per sottolineare il totale rifiuto del mondo contemporaneo.

Il romanzo sperimentale

Il siciliano Stefano D'Arrigo (1919-1992), ha svolto uno sperimentalismo espressivo quasi mitico, comunque fantastico. Dopo l'esordio poetico con Codice siciliano (1957), per quindici anni si è dedicato alla stesura del romanzo Horcynus Orca (1975), vero caso letterario nel panorama letterario del Novecento. La vicenda narra il ritorno in Sicilia di un marinaio italiano dopo l'8 settembre 1943, nei "mari dello scill'e cariddi", sui quali incombe la presenza dell'orca, l'animale marino omicida: si tratta di un viaggio fantastico e simbolico, che assume l'andamento di epopea moderna, in un linguaggio che mescola espressioni dialettali con altre di raffinata tradizione culturale. Fantastico e ironico anche l'altro romanzo, Cima delle nobildonne (1985).

Il palermitano Antonio Pizzuto (1893-1976) partì da posizioni teoriche, come addirittura la rigida "negazione del processo narrativo". L'opera che ne deriva è spesso intellettualistica, quasi appena epigrafica. Dopo le prime prove ancora legate a un certo neorealismo (Sul ponte di Avignone, 1938; Signorina Rosina, 1954; Si riparano bambole, 1960), il suo sperimentalismo esplose nel romanzo Ravenna (1962). Le sue idee sulla narrativa sono puntualizzate nel saggio Vedutine circa la narrativa (1972), in cui si distingue il "narrare" dal "raccontare" e si sostiene un andamento espressivo condotto utilizzando verbi all'infinito per sottolineare l'astoricità del fatto narrato. Fra le opere più recenti: Il triciclo (1962); La bicicletta (1966); Pagelle I (1973); Pagelle II (1975); Giunte e virgole (1975).

Il vicentino Luigi Meneghello (1922-2007), con un linguaggio ironico e leggero, in cui si fondono apporti della memoria individuale e collettiva sedimentata nel dialetto, e la lingua generica della società industriale, priva di radici, ha scritto romanzi di notevole acume psicologico e antropologico: Libera nos a malo (1963); I piccoli maestri (1964 e 1986); Pomo pero (1974); Fiori italiani (1976); Bau-sète (1988); Il dispatrio (1994).

L'avanguardia politica

Il genovese Edoardo Sanguineti (1930 - 2010), il più rappresentativo, ha testimoniato con la sua produzione poetica la dissoluzione del linguaggio quotidiano, come segno dell'incapacità di comunicare proprio della società dei consumi. Tale operazione nelle prime raccolte è realizzata prima attraverso un accumulo non razionale di parole e immagini (Laborintus, 1956; Erotopaegnia, 1960; Triperuno, 1964), e poi attraverso l'assunzione di un registro satirico e grottesco (Postkarten, 1978; Per musica, 1993). Notevole anche la sua attività di critico.

Il milanese Nanni Balestrini (1935 - 2019) si è fatto sostenitore di un avanguardismo estremo che si esprime in un linguaggio nuovo e rivoluzionario, fatto di collages linguistici, con l'utilizzo di tecniche elettroniche. La sua raccolta poetica più riuscita è Le ballate della signorina Richmond (1977).

Antonio Porta, pseudonimo del milanese Leo Paolazzi (1935-1989), è approdato a risultati di notevole intensità poetica nell'indagine condotta in termini spesso surreali del rapporto tra vita e morte. Le sue raccolte più significative sono: Cara (1969); Metropolis (1971); Passi passaggi (1980); Invasioni (1984); Il giardiniere contro il becchino (1988).

L'avanguardia narrativa

Di sperimentazioni stilistiche, analoghe a quelle dei poeti, si sono avvalsi anche scrittori dell'avanguardia.

Il milanese Giorgio Manganelli (1922-1990), tra i fondatori del Gruppo '63 e collaboratore di giornali e riviste, tentò una narrazione gustosa, monologante, sonora, la cui struttura sintattica e stilistica, volutamente elaborata e inusuale, ricrea una dimensione surreale. Tra le opere: Hilarotragoedia (1964); Nuovo commento (1969); Agli dei ulteriori (1972); Centuria (1979); Laboriose inezie (1986).

Alberto Arbasino (1930 - 2020), di Voghera, è esempio di notevole versatilità espressiva. L'attenzione a cinema, teatro e arti visive, ai modelli del costume nazionale e internazionale, vuole superare i limiti della comunicazione tradizionale. Nei romanzi e racconti predilige la combinazione di generi e stili diversi, per stravolgere e distorcere dall'interno le regole letterarie. Un forte plurilinguismo caratterizza sia i racconti di L'anonimo lombardo (1959), sia i suoi romanzi, fra i quali spiccano per arditezza: Fratelli d'Italia (1963); La bella di Lodi (1972); Il principe costante (1972); Specchio delle mie brame (1974). Il libro più bello è senza dubbio Fratelli d'Italia (riscritto nel 1995), che narra l'iniziazione alla realtà sociale di un gruppo di giovani alle prese con il caos e le contraddizioni dell'Italia del benessere. Tra le raccolte di saggi, si ricordano Parigi o cara (1960) e Fantasmi italiani (1977).

Fortini e Ceronetti

Franco Fortini è lo pseudonimo del fiorentino Franco Lattes (1917-1994). Partito da un'esigenza reale e moralista, cercò la perfezione formale quasi come un'autopunizione; nascose infine la sua vena lirica e dolente sotto il peso di un'esplicita ideologia marxista. La sua poesia si caratterizza per il forte impegno politico e morale e utilizza un linguaggio con andamento logico e realistico, ma non privo di forti immagini simboliche: dominano quelle del "gelo", della "neve", del "sasso", immagini che significano le costrizioni a cui è sottoposto l'uomo; la "rondine" e la "rosa" sono invece i simboli contraddittori e ricorrenti dell'anelito alla libertà. Foglio di via (1946); Poesia ed errore (1959); Una volta per sempre (1963); Paesaggio con serpente (1984); Composita solvantur (1994) sono le raccolte poetiche più significative. Ha lasciato una vasta produzione saggistica (Dieci inverni, 1957; Verifica dei poteri, 1965; Questioni di frontiera, 1977; Nuovi saggi italiani, 1987) indirizzata a un rinnovamento culturale profondo e rigoroso.

Guido Ceronetti (1927) si è fin dall'inizio distinto per la critica impietosa alla civiltà di massa. Sensibile traduttore di testi biblici (Il cantico dei cantici, 1975) e di autori classici (Marziale, Catullo), ha trovato nella forma del saggio e dell'aforisma la sua espressione migliore, facendo uso spesso di toni fintamente apocalittici: Un viaggio in Italia 1981-1983 (1983), Il silenzio del corpo (1979), Lo scrittore inesistente (1999), La carta è stanca. Una scelta (2000), Nuovi Ultimi Esasperati Deliri Disarmati (2001). Molto interessante anche la raccolta di poesie La distanza. Poesie '46-'96 (1996). Ha fondato un teatro di marionette per il quale scrive testi.

Sperimentalismo e neoavanguardia in sintesi

Neoavanguardia La neoavanguardia (antologia dei Novissimi: Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Nanni Balestrini e il Gruppo '63) affermava l'inadeguatezza e la crisi dell'ultimo neorealismo. Suo punto di riferimento ideale sono le avanguardie storiche, sia per lo stimolo da esse esercitato nel primo Novecento sia per la nuova concezione di rapporto dinamico e coinvolgente con il pubblico. Il Gruppo '63, fondato a Palermo nel 1963, affida alla sperimentazione linguistica una funzione sovvertitrice della razionalità borghese.
Testori Il milanese Giovanni Testori (1923-1993) frantuma l'eredità neorealista con il timbro di una violenza linguistica creatrice di una modernità paradossale. Da ricordare: Il ponte della Ghisolfa (1958) e le commedie La Maria Brasca (1960) e L'Arialda (1960).
D'Arrigo D'impronta mitica e fantastica è lo sperimentalismo espressivo del siciliano Stefano D'Arrigo (1919-1992). Da ricordare: Horcynus Orca (1975).
Pizzuto Antonio Pizzuto (1893-1976) parte da posizioni teoriche, come addirittura la "negazione del processo narrativo" (Signorina Rosina, 1954; Si riparano bambole, 1960).
Meneghello Luigi Meneghello (1922-2007) ha un linguaggio ironico e leggero, con apporti della memoria individuale e collettiva, sedimentata nel dialetto (Libera nos a malo, 1963; Il dispatrio, 1994).
Manganelli Giorgio Manganelli (1922-1990) tentò una narrazione gustosa, monologante, sonora e insieme complessa, con una forte predisposizione surreale (Hilarotragoedia, 1964; Laboriose inezie, 1986).
Arbasino Alberto Arbasino (1930), con la sua attenzione a cinema, teatro e arti visive, ai modelli del costume nazionale e internazionale, indica una ragione cosmopolita che vuole superare i limiti della comunicazione tradizionale. Da ricordare i romanzi Fratelli d'Italia, (1963); La bella di Lodi, (1972).
Fortini Franco Fortini (1917-1994) è una figura complessa ma ricca della nostra letteratura. Partito da un'esigenza reale e moralista, cercò la perfezione formale come un'autopunizione; nascose la sua vena lirica e dolente sotto il peso di un'inattaccabile ideologia marxista. (Foglio di via, 1946; Paesaggio con serpente, 1984; Composita solvantur, 1994).
Ceronetti Guido Ceronetti (1927), critico impietoso della civiltà di massa e sensibile traduttore di testi biblici e di autori classici, trova la sua cifra d'espressione nel saggio e nell'atmosfera.

Elsa Morante e le narratrici

Le scrittici italiane del secondo Novecento testimoniano una letteratura mai astratta e intellettualistica. La loro ricerca si nutre di realismo, anche se procede per prospettive fantastiche e autobiografiche. La preziosità della pagina, presente in tutte le narratrici, non ha niente di polveroso: risulta un ulteriore motivo di lenta e penetrante sonorità letteraria. Figura di grande rilievo, in questo quadro, è senza dubbio Elsa Morante.

Elsa Morante

Elsa Morante (1912-1985) è scrittrice di grande fascino, sempre attenta alle necessità dell'intreccio e alla caratterizzazione psicologica. La sua narrativa, di timbro realistico e pur immersa in un leggero e sfolgorante "bisogno di meraviglioso", in qualcosa di antico e di mitico, ne fa figura di assoluto spicco nella letteratura del Novecento.

La vita e le opere

Nata a Roma, non completò gli studi universitari. Pubblicò i primi racconti (1937-1938) sulla rivista "Il Meridiano di Roma". Nel 1941 si sposò con A. Moravia e pubblicò la prima raccolta di racconti, Il gioco segreto, seguito dal libro di fiabe Le bellissime avventure di Catarì dalla trecciolina (1942), scritte negli anni ginnasiali. Nel 1944 iniziò a scrivere il primo romanzo, Menzogna e sortilegio, storia drammatica di una famiglia del Sud e del complicato rapporto tra madre e figlia; pubblicato nel 1948, il libro vinse il premio Viareggio, consacrando la fama dell'autrice. Nel 1957 il secondo romanzo, L'isola di Arturo, che le valse il premio Strega, era incentrato sulla difficile esistenza di un ragazzo, orfano della madre e affascinato da un padre misterioso e inafferrabile. Pubblicò successivamente la raccolta di poesie Alibi (1958) e quella di racconti Lo scialle andaluso (1963). L'opera più significativa di questo periodo è la raccolta di poesie, con qualche prosa, Il mondo salvato dai ragazzini (1968), inno all'utopia di un mondo governato dalla bellezza e dalla vitalità della vita infantile. Questa ispirazione fa anche da sfondo al romanzo più noto e discusso, La storia (1974), dove si narra la storia miserevole di una maestra elementare calabrese che vive a Roma con il figlio Nino e un altro figlio, Useppe, avuto da un soldato tedesco. Le storie tragiche di questi piccoli personaggi costituiscono una specie di controcanto rispetto alla storia dei grandi fatti, dal 1941 al 1947, e ne denunciano la falsità sul piano umano. L'ultimo romanzo, Aracoeli (1982), mostra il segno dell'amarezza e dell'angoscia che la scrittrice sentì sempre più profondamente negli anni '70 specialmente dopo la morte dell'amico Pasolini. Il libro narra la vicenda di un omosessuale di mezza età alla spasmodica ricerca nel ricordo della figura della madre. Ma i frammenti di vita evocati sono sempre più impastati dal senso luttuoso della fine e della distruzione.

Autobiografia e preziosità narrativa

La cagliaritana Fausta Cialente (1898-1995) mostra una fortissima prospettiva autobiografica. La lunga permanenza ad Alessandria d'Egitto ha influenzato la sua scrittura; i primi romanzi Cortile a Cleopatra (1953), in cui descrive la folla arabo-ebraica di un sobborgo di Alessandria, e Ballata levantina (1961) hanno il carattere di cronache orientali. Nei romanzi successivi invece i temi si ispirano alla storia italiana (Un inverno freddissimo, 1966), e alle problematiche esistenziali, (Le quattro ragazze Wieselberger, 1976, Interno con figure, 1976).

Anna Banti è lo pseudonimo della fiorentina Lucia Lopresti Longhi (1895-1985). Sensibile alla questione femminile, scrisse una pagina coloristica e elegantemente lavorata. Predilesse il romanzo storico, ma diede anche una letteratura concreta e brillante. La vicenda storica diviene vicenda esistenziale, in cui la donna, segno di emarginazione e inferiorità in una società maschilista, è contemporaneamente segno di solitudine e disagio. Degno di rilievo per tematica e soluzioni narrative è il romanzo Artemisia (1947).

Natalia Ginzburg (1916-1991), nata a Palermo, privilegiò il tema dei rapporti familiari e della memoria dell'infanzia, offrendo una scrittura sicura e chiara. Fu autrice di alcune commedie (Ti ho sposato per allegria, 1966 e Paese di mare, 1972), ma si occupò prevalentemente di narrativa. Antifascista, nel primo romanzo La strada che va in città (1942), influenzato dal neorealismo, s'impegnò a testimoniare il senso della tradizione borghese e familiare, attraverso un linguaggio piano e pacato che rifiuta toni accesi e polemiche. Tra le altre opere: Le voci della sera (1961; Lessico famigliare (1963), che ebbe grande successo di critica e di pubblico; Caro Michele (1973).

La piemontese Lalla Romano (1906-2001) dopo l'esordio con le poesie Fiore (1941), si è a lungo dedicata alla narrativa autobiografica scandagliando con lucida serenità le pieghe della sua esistenza borghese, estranea alla società delle lettere. Le metamorfosi (1951) raccolgono una serie di sogni, letti come segni della sua esistenza. Con i romanzi Maria (1953) e Tetto murato (1957) ha affrontato una narrativa d'impianto neorealistico. Ha ottenuto la notorietà con i romanzi La penombra che abbiamo attraversato (1964) e Le parole tra noi leggere (1969), nei quali si passa dalla rievocazione dell'infanzia all'analisi del rapporto tra madre e figlio. Fra gli altri romanzi (L'ospite, 1973; La villeggiante, 1975; Lettura di immagini, 1975) spicca Una giovinezza inventata (1979), autobiografia che rivisita la giovinezza trascorsa fra studi, amori e difficoltà legate alla condizione femminile. Di impianto autobiografico sono anche le opere successive: Inseparabile (1981), che tratta del suo rapporto con il nipotino; Nei mari estremi (1987), in cui rievoca la malattia e la morte del marito.

La romana Anna Maria Ortese (1914-1998) è una scrittrice complessa, dichiaratamente portata a una narrativa densa e raccolta, contemporaneamente realistica e fantastica. Partita da un intenso realismo magico ( Angelici furori,1937), accettò nel dopoguerra una prosa neorealistica, fin quasi a sfiorare la dimensione del saggio, soprattutto nei racconti-inchiesta. I suoi libri migliori sono: L'infanta sepolta (1950);Il mare non bagna Napoli (1953); Silenzio a Milano (1958); L'iguana (1965); Poveri e semplici (1967); Il cardillo addolorato (1992); Alonso e i visionari (1996).

Elsa Morante e le narratrici in sintesi

Morante La narrativa di Elsa Morante (1912-1985), di timbro realistico, è immersa in un leggero e sfolgorante "bisogno di meraviglioso", in qualcosa di antico e di mitico. Da ricordare: Menzogna e sortilegio (1948); L'isola di Arturo (1957); La storia (1974).
Narratrici dal forte tono autobiografico Fausta Cialente, (1898-1995): Cortile a Cleopatra (1953). Anna Banti (1895-1985): Artemisia (1947. Natalia Ginzburg (1916-1991): Lessico famigliare (1963). Lalla Romano (1906): La penombra che abbiamo attraversato (1964), Le parole tra noi leggere (1969).
Ortese La narrativa di Anna Maria Ortese (1914-1998) è contemporaneamente realistica e fantastica (Il mare non bagna Napoli, 1953; L'iguana, 1965; Il cardillo innamorato, 1992).

Gli ultimi trent'anni

Gli anni '70 sono portatori di una ricerca sperimentale ormai astratta e sterile (influenzata dallo strutturalismo); gli anni '80 vedono l'inizio di quella dimensione edonistica che è il cosiddetto postmoderno, dimensione che poi in qualche misura sembra dominare anche il decennio degli anni '90, in cui la mancanza di legami fra letteratura e società favorisce una dispersione caotica, attenzione solo ai fatti minimi. Fondamentale per le sorti della letteratura è il nuovo peso assunto dai massmedia e dalle richieste del mercato editoriale.

Andrea Zanzotto

Andrea Zanzotto (1921), di Pieve di Soligo, è tra le figure poetiche più importanti della seconda parte del secolo.

La sua opera è un tentativo di mascheramento della nevrosi individuale e collettiva attraverso l'esercizio di una lingua magmatica e suggestiva che sa, comunque, custodire la presenza forte di un io poetico. Alla prima raccolta Dietro il paesaggio (1951), seguì una ricca produzione poetica: Elegia e altri versi (1954); Vocativo (1957); IX Ecloghe (1962); La Beltà (1968); il poemetto Gli sguardi i fatti e senhal (1969) e la trilogia costituita dalle raccolte Il Galateo in bosco (1978), Fosfeni (1983) e Idioma (1986). Il suo itinerario lirico tende a rinvenire nella parola poetica una possibilità di comunicazione da parte di chi, come il poeta, si sente "eccentrico" nel deserto dell'esistenza, attratto dalla vita e contemporaneamente respinto dall'ostilità del reale. Con le IX Ecloghe il poeta si avvicina al mondo pastorale alla ricerca di un mondo naturale perfetto, idillico, arricchendolo di segni e linguaggi della modernità e della cultura di massa. Nel magma linguistico, che esplora nelle raccolte successive, spicca l'adozione del dialetto (Filò, 1976; Mistieròi, 1979), segno di un rapporto autentico con la terra trevigiana d'origine. La ricerca sulla parola-linguaggio-comunicazione continua anche nella trilogia più matura, dove riappaiono forme metriche tradizionali, come il sonetto, che danno ordine e forma al caos dei segni indistinti. In Fosfeni continua la discesa nei meandri della psiche, dei linguaggi, nella ricerca di una parola assoluta, che è l'unico scampo all'annullamento della comunicazione attuata dalla società dei massmedia.

La poesia

Il ligure Giovanni Giudici (1924 - 2011) ha rivitalizzato un elemento tipicamente novecentesco, l'ironia e la teatralizzazione dell'io: l'effetto è quello di una leggerezza spietata e sagace. La rappresentazione di vicende personali sullo sfondo della società industriale, con i toni e le cadenze di un crepuscolarismo a tratti scanzonato sono il tema di La vita in versi (1965); Autobiologia (1969); O Beatrice (1972); Il male dei creditori (1977). Nelle successive Il ristorante dei morti (1981) e il Lume dei tuoi misteri (1984), lo stile si asciuga e il tono diventa più meditativo. Nelle sperimentazioni di Salutz (1986) il linguaggio s'impreziosisce e si fa ricercato. Seguono la raccolta Fortezza (1990) e le riflessioni in prosa Andare in Cina a piedi (1992).

La poesia di Amelia Rosselli (1930-1996) è corposa e al tempo stesso mentale, capace di coagulare in una esattezza espressiva un "formicolio di ritmi" e suoni. Tra le sue raccolte: Variazioni belliche (1964); Serie ospedaliera (1969); Documento (1976); Impromptu (1981); La libellula (1985).

Il milanese Giovanni Raboni (1932-2004) con le prime raccolte (Le case della Vetra, 1966; Cadenza d'inganno, 1975) si inserisce nel solco della Linea Lombarda per la costante tensione morale e civile, per la personalissima inquietudine religiosa, per l'ambientazione meneghina. Con le raccolte successive (Nel grave sogno, 1982; Ogni terzo pensiero, 1993; A tanto caro sangue), la sua poesia si è arricchita, e l'etichetta di poeta "lombardo" apparirebbe riduttiva.

Sul filone di Linea Lombarda è anche il milanese Tiziano Rossi (1935), che da La talpa imperfetta, (1968) a Miele e no (1988) e Il movimento dell'adagio (1993) mira a rivelare lo strenuo eroismo che si cela nelle pieghe del banale e del quotidiano e si interroga laicamente sulle nostre ragioni per restare al mondo.

Autrice di rara sensibilità, Alda Merini (1931-2009) ha sofferto a lungo di una malattia nervosa che l'ha costretta a lunghi periodi di ricovero in case di cura. Nelle sue poesie si fondono elementi autobiografici, momenti di ricerca religiosa, richiami spiccatamente amorosi. Tra le raccolte di liriche: La presenza di Orfeo (1953), Nozze romane (1955), La Terra Santa e altre poesie (1984), Vuoto d'amore (1991), Superba è la notte (2000). Tra le prose, assai significative sono L'altra verità. Diario di una diversa (1986), Il tormento delle figure (1990), Ballate non pagate (1995).

Vivian Lamarque (1946) ha dato vita a una poetica degli opposti, esprimendo una giocosità dolorosa, una crudeltà gentile, e un grande poeta come Sereni parlò a questo proposito di "rovesciamenti come coltellate". Ha pubblicato, tra gli altri: Teresino (1981); Poesie dando del lei (1989); Una quieta polvere (1996). Traduttrice (Prévert, La Fontaine, Boudelaire), ha scritto molti libri per bambini: Il libro delle ninne-nanne (1989); La bambina che mangiava i lupi (1998); Unik, storia di un figlio unico (1999).

La poesia di Patrizia Valduga (1953), rigidamente incanalata entro le maglie del linguaggio tradizionale, in particolare della quartina petrarchesca, attualizza i temi dell'eros, dello smarrimento interiore, del dolore e della prostrazione: Medicamenta (1982); Donna di dolori (1991); Requiem (1994); Cento quartine e altre storie d'amore (1997).

La narrativa

Paolo Volponi (1924 - 1994), di Urbino, è lo scrittore che meglio ha percepito il senso contraddittorio e impellente della società industriale. La sua opera è la sanzione di una nuda razionalità, capace però di vivere drammaticamente i presagi dell'utopia. Il confronto con il mondo industriale trova espressione nel romanzo Memoriale (1961), in cui attraverso la vicenda di un operaio nevrotico, Volponi scopre la carica eversiva che la "diversità" della follia racchiude nella massificazione tipica del neocapitalismo. Nel successivo La macchina mondiale (1965), attraverso la lucida utopia di un contadino che vagheggia un nuovo sistema tecnologico per riorganizzare il mondo, l'autore esprime la sua fiducia nella capacità di liberazione dell'uomo. Emarginati sono anche i protagonisti di Corporale (1974) e Il sipario ducale (1975). Del 1978 è un romanzo di fantascienza, Il pianeta irritabile, ambientato in un futuro post-tecnologico, mentre Il lanciatore di giavellotto (1981) torna a temi più intimistici. Le mosche del capitale (1989) sono un'allegoria fantastica e grottesca del fallimento dell'ideale democratico sul terreno industriale; del 1991 è La strada per Roma, sulla separazione dall'adolescenza e dalla cittadina natale.

In Luigi Malerba, pseudonimo dell'emiliano Luigi Bonardi (1927 - 2008), anche sceneggiatore e regista cinematografico, la letteratura, per quanto finta, diventa un modo per scardinare le ossessioni del mondo. Malerba ha iniziato la sua attività nell'ambito della linea sperimentalista del Gruppo '63 con La scoperta dell'alfabeto (1963), Il serpente (1966) e Salto mortale (1968). Le opere successive, in cui la struttura narrativa è più tradizionale, ribadiscono l'interesse per l'invenzione linguistica e il gusto per la satira (Le rose imperiali, 1975; Diario di un sognatore, 1981; Il pianeta azzurro, 1986; Le galline pensierose, 1994; Le maschere, 1994).

Giuseppe Pontiggia (1934 - 2003), di Como, è autore di romanzi di notevole fattura narrativa e caratterizzati da un'accorta ricerca linguistica, che suggestionano per il realismo molto ricco e fantasioso. Dopo il suo primo romanzo, La morte in banca (1959), i suoi titoli più noti sono: L'arte della fuga (1968), in cui è particolarmente forte la tendenza sperimentalista; Il giocatore invisibile (1978); Il raggio d'ombra (1983); La grande sera (1989); Vite di uomini non illustri (1993). In Nati due volte (2000) ha affrontato il delicato tema della disabilità.

Alberto Bevilacqua (1934 - 2013), di Parma, ha come qualità migliori il garbo e l'intelligenza dell'indagine psicologica. I suoi romanzi sono sempre la verifica di un sentimento o di un carattere umano. Il meglio della sua vasta produzione narrativa (La califfa, 1964; Questa specie d'amore, 1966; L'occhio del gatto, 1968; Una città in amore, 1970) ha al centro la città di Parma, popolare e sanguigna, che fa da sfondo alle lotte operaie, ai moti sindacali e all'azione antifascista. Fra le opere successive: Il curioso delle donne (1983); La donna delle meraviglie (1984); I sensi incantati (1991); Gli anni struggenti (2001).

Vincenzo Consolo (1933 - 2012), nativo di Sant'Agata di Militello, è un maestro degli elementi più tipici della letteratura siciliana: grottesco; lingua sovraccarica e densa; violenza eccessiva e folgorante dell'espressione, in una materia sempre sensuale e barocca. Esordì con il romanzo breve La ferita dell'aprile (1963), in una prosa di memoria e sperimentale. Richiamandosi a Sciascia per la lucida razionalità, e a C.E. Gadda, per la lezione del plurilinguismo, ha conseguito un risultato apprezzabile con il romanzo Il sorriso dell'ignoto marinaio (1976), che, in una lingua insieme colta e popolare, ricostruisce alcuni eventi della Sicilia del 1860, segni del fallimento risorgimentale e del perseverare nella storia della violenza e della sopraffazione. Il romanzo successivo, Retablo (1987), articola su più piani narrativi una vicenda ambientata nel Settecento in una Sicilia barocca, in cui si ritrovano i tratti della società contemporanea, disgregata e frantumata. Sugli stessi temi vertono i racconti Le pietre di Pantalica (1988) e gli ultimi romanzi Nottetempo, casa per casa (1992) e L'olivo e l'olivastra (1994), Di qua dal faro (1999).

Più contenuto e semplificato il lavoro di Gesualdo Bufalino (1920 - 1996), di Comiso. Solo in tarda età si è rivelato scrittore con il romanzo Diceria dell'untore (1981), che ha per tema un amore sbocciato in un sanatorio su uno scenario di morte, fra angosce, desideri e sensi di colpa, in una scomposizione dei tempi narrativi che richiama Proust. La letteratura e la memoria vi appaiono come l'unica salvezza nei confronti della realtà. Su questa stessa linea sono anche Museo d'ombre (1982); Argo il cieco ovvero i sogni della memoria (1984); L'uomo invaso (1986); Le menzogne della notte (premio Strega 1988).

Sebastiano Vassalli (1941 - 2015), genovese, mostra una robusta narrativa, con forte gusto polemico-satirico. Ha esordito nell'ambito del Gruppo '63 con alcuni testi sperimentali di taglio satirico nei confronti dei luoghi comuni del linguaggio ufficiale. Ha pubblicato poi i romanzi L'arrivo della lozione (1976); Abitare il vento (1980); Mareblu (1982); La notte della cometa (1984), romanzo-biografia di D. Campana; L'oro del mondo (1985), sul passato prossimo dell'Italia appena uscita dalla guerra e alla vigilia del boom economico; Sangue e suolo (1985) un'inchiesta sulla difficile convivenza di popolazioni italiane e tedesche in Alto Adige. Negli ultimi anni la sua ricerca si è volta al passato con romanzi "neostorici" tra cui La chimera (1990); Cuore di pietra (1996). Tra le ultime opere Archeologia del presente (2001).

Il pisano Antonio Tabucchi (1943 - 2012) ama atmosfere sfuggenti e dense di significati simbolici. Ha pubblicato, prediligendo il romanzo breve, numerosi testi narrativi, dal realismo semplice ma suggestivo (Piazza d'Italia, 1975; Il gioco del rovescio, 1981; Notturno indiano, 1984; Piccoli equivoci senza importanza, 1985; L'angelo nero, 1991; Requiem, 1991). Con Sostiene Pereira (1994) ha colto un buon successo anche internazionale. Nel 2001 ha pubblicato Si sta facendo sempre più tardi, singolare romanzo epistolare.

Pier Vittorio Tondelli (1955-1991), emiliano, soprattutto dopo la morte prematura è diventato il simbolo della generazione legata ai movimenti giovanili degli anni '70. Ai racconti Altri libertini (1980), sono seguiti Pao, pao (1982), sui comportamenti giovanili anarchici, disgregati, sostenuti da un materialismo ingenuo e privo di spessore; Rimini (1986), sull'ambiente cinico dei "rampanti" anni '80, attraverso un montaggio dei frammenti di vicende di personaggi diversi che ne sottolinea la solitudine all'interno della massa; Camere separate (1989), storia drammatica di un amore omosessuale.

Dacia Maraini (1936) si è affermata con il romanzo L'età del malessere (1963). Sono seguiti Memorie di una ladra (1972), Storia di Piera (1980), La lunga vita di Marianna Ucria (1990), Bagheria (1993), di taglio autobiografico, Buio (1999), opere spesso incentrate su difficili realtà di donne. Ha pubblicato anche raccolte di poesie (Dimenticato di dimenticare, 1982; Crudeltà all'aria aperta, 1996), testi teatrali (Camille, 1995) e saggi sul femminismo.

La sigla Fruttero & Lucentini ha contraddistinto le opere degli scrittori Carlo Fruttero (1926 - 2012) e Franco Lucentini (1920-2002). Traduttori, narratori, saggisti, consulenti editoriali, hanno diretto per lungo tempo la collana di fantascienza Urania. Insieme hanno firmato commedie (La cosa in sé, 1982), prose satiriche (La prevalenza del cretino, 1985). Scrittori colti e curiosi hanno conseguito il successo del grande pubblico proponendo un genere di romanzo giallo di ampio respiro: La donna della domenica (1972), A che punto è la notte (1979). Nel 1989 hanno pubblicato La verità sul caso D. completamento di un romanzo incompiuto di Dickens e nel 1995 un altro esempio di sperimentazione letteraria: La morte di Cicerone.

Susanna Tamaro (1957) dopo aver pubblicato le opere La testa tra le nuvole (1989), Per voce sola (1991), ha ottenuto un enorme successo con il romanzo Va' dove ti porta il cuore (1994), racconto familiare e sopratutto ritratto di una donna appassionata. Sono seguiti Anima Mundi (1997), Il respiro quieto (1996), libro intervista, Rispondimi (2001), raccolta di racconti incentrati sul senso di una ricerca interiore e spirituale. Ha scritto anche opere per bambini, tra cui Cuore di ciccia (1992), Papirofobia (1994), Il cerchio magico (1994).

Andre Camilleri (1927 - 2019), sceneggiatore e regista televisivo, ha raggiunto un tardo, ma solidissimo successo con i suoi romanzi e racconti di ambientazione siciliana (Un filo di fumo, 1980; La concessione del telefono, 1998; Il re di Girgenti, 2001) e sopratutto con i polizieschi incentrati sulla sanguigna figura del commissario Montalbano, costruiti facendo uso di una lingua fittizia, un impasto di lingua nazionale e dialetto siciliano: La forma dell'acqua (1994), Il cane di terracotta (1996), L'odore della notte (2001).

Gli ultimi trent'anni in sintesi

Zanzotto Andrea Zanzotto (1921) è forse una delle figure poetiche più importanti della seconda parte del secolo. La sua opera è un tentativo di mascheramento della nevrosi individuale e collettiva attraverso l'esercizio di una lingua magmatica e suggestiva (Dietro il paesaggio, 1951; IX Ecloghe, 1962; Fosfeni, 1983).
Giudici Giovanni Giudici (1924) è riuscito a rivitalizzare l'ironia e la teatralizzazione dell'io, con leggerezza spietata e sagace e un verso sempre lucido ed esatto (La vita in versi, 1965; Salutz, 1986; Fortezza, 1990).
Volponi Paolo Volponi (1924-1994) è lo scrittore che meglio ha percepito il senso contraddittorio e impellente della società industriale (Memoriale, 1961; La macchina mondiale, 1965; Il sipario ducale, 1975).
Malerba Luigi Malerba (1927-2008) gioca la carta comica e assurda dello smascheramento: la letteratura, per quanto finta, diventa un modo per scardinare le ossessioni del mondo (Il serpente, 1966; Il pianeta azzurro, 1986).
Pontiggia Giuseppe Pontiggia (1934-2003) sviluppa un'accorta ricerca linguistica: le sue storie suggestionano per il realismo molto ricco e fantasioso (La morte in banca, 1959; Il giocatore invisibile, 1978; La grande sera, 1989).