Il Quattrocento italiano

La riscoperta dei classici latini e greci viene interpretata come una spinta all'impegno nelle funzioni civili per la costruzione di una società nuova: l'umanesimo del Quattrocento si riflette nella letteratura italiana nella riscoperta del volgare: Savonarola, Boiardo, Lorenzo il Magnifico sono alcuni dei vanti che questo secolo ci ha lasciato.

Sul piano storico-politico il Quattrocento è segnato dalla fine della guerra dei Cent'anni tra Francia e Inghilterra e dalla discesa del re di Francia Carlo VIII (1494) in Italia, per cui l'Italia tutta diventa terra di conquista dei potentati europei. Nel 1492 la morte di Lorenzo il Magnifico e la scoperta delle Americhe annunciano una nuova era. Si afferma compiutamente l'umanesimo. Il centro della cultura umanistica è l'uomo nella sua vita attiva nel mondo, non più la contemplazione e l'indagine delle realtà ultraterrene proprie della visione della Scolastica medievale. La riscoperta dei classici latini e greci viene interpretata come una spinta all'impegno nelle funzioni civili per la costruzione di una società nuova, non più feudale. Al criterio di verità fondato sulla coerenza logico-formale proprio della Scolastica l'umanesimo contrappone la ricerca storico-filologica, la retorica, come uso persuasivo del discorso. Rispetto al commento gli umanisti preferiscono il lavoro di traduzione, inteso come opera di conservazione e di ripristino della civiltà antica.

L'umanesimo con Coluccio Salutati diventa il riferimento essenziale della nuova letteratura: si scrive in latino, si studia con accanimento il greco. La letteratura umanistica non è più solo fiorentina, cioè non è solo quella di Valla, Bruni, Bracciolini, diventa anche veneziana, estense, milanese e poi napoletana. A metà secolo si sviluppa la letteratura in volgare: la corte medicea di Lorenzo il Magnifico ospita Pulci, Poliziano; Boiardo scrive il suo Orlando innamorato e Sannazaro, a Napoli, il capolavoro di fine secolo, l'Arcadia.

L'Umanesimo

La cultura umanistica è caratterizzata innanzi tutto dalla riscoperta dei testi latini e greci e dalla conseguente riaffermazione dell'autonomia dei valori del mondo classico. Il concreto lavoro filologico risveglia un particolare spirito critico, che da una parte si esercita sulla tradizione della Scolastica medievale, dall'altra afferma i doveri politici della cultura. Viene rivalutata l'importanza dell'uomo nella sua vita attiva nel mondo in contrasto con una visione principalmente contemplativa del divino e del sovranaturale.

Il preumanesimo

Il termine umanesimo deriva dall'espressione studia humanitatis (studi relativi all'umanità), che nell'antichità classica designava un'educazione mirante alla formazione complessiva dell'individuo attraverso studi letterari e filosofici. Durante i secoli del Medioevo la cultura degli antichi romani, sempre molto ammirati, era stata di fatto omologata e resa subalterna a quella cristiana. Già all'inizio del Trecento tra uomini di cultura appartenenti per lo più all'ambiente dell'università di Padova era sorto un interesse differente e più specifico per l'età classica. A dare un impulso decisivo agli studi umanistici fu tuttavia Petrarca sia con la sua opera latina (in maniera particolare il De viris illustribus e l'Africa), sia con l'attività di scopritore di opere classiche perdute (tra le altre, trovò l'orazione Pro Archia e le lettere di Cicerone) e di filologo. Il suo prestigio culturale contribuì notevolmente all'affermazione della nuova cultura, a cui diede un importante contributo anche G. Boccaccio, che introdusse a Firenze lo studio del greco e contribuì a formare una generazione di giovani intellettuali toscani.

L'umanesimo civile di Salutati

La prima figura di rilievo in senso umanistico è quella di Coluccio Salutati (1331-1406), cancelliere di Firenze per più di trent'anni, tenace sostenitore dell'alto valore civile della cultura classica. Compose vari trattati: il De saeculo et religione (Il mondo e la religione, 1381); il De fato, fortuna et casu (Il fato, la fortuna e il caso, 1396-99); il De nobilitate legum et medicinae (La nobiltà delle leggi e della medicina, 1399); il De tyranno (Il tiranno, 1400), dove esalta l'impegno civile contro l'ascetismo. Notevole il suo epistolario, in cui si intravede la grande rete di interessi e di rapporti fra Salutati e i suoi contemporanei.

L'umanesimo filologico e filosofico

L'interesse per i classici favorì una ricerca, svolta con intensità crescente e coronata da grandi successi, dei testi di opere antiche, andate smarrite o del tutto dimenticate durante il Medioevo. Tali ritrovamenti permisero una maggiore conoscenza della lingua latina, che tornò a essere ­ almeno nella prima metà del Quattrocento ­ praticamente l'unica lingua di uso letterario, ma soprattutto fecero comprendere la grande distanza tra il latino classico e il latino medievale e constatare lo stato di degrado in cui molte volte erano stati ridotti i testi del passato. Si impose così la necessità di definire e mettere in atto strumenti e strategie per restituire correttezza e completezza ai testi ritrovati. Da questa esigenza nacque la filologia umanistica, che operava basandosi soprattutto sugli aspetti storici e letterari e sulla sensibilità del filologo, conoscitore competente di un'infinità di testi. Le figure più rappresentative della prima generazione furono certamente Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini.

Leonardo Bruni (1370-1444) studiò a Firenze con Coluccio Salutati; si formò in un ambiente dominato dalla cultura neoplatonica ed entrò in contatto con N. Niccoli, P. Bracciolini e Cosimo de' Medici. Il suo impegno di traduttore dal greco durò per larga parte della sua vita. Platone (Fedone, Gorgia, Apologia, Critone, Simposio), Aristotele (Etica Nicomachea ecc.), Plutarco, Senofonte, san Basilio, Omero e Demostene furono tra gli autori di cui si occupò. Nel 1405, grazie ai buoni uffici di Salutati, divenne funzionario presso la corte papale di Innocenzo VII. Tornato a Firenze nel 1427, chiuse la sua carriera come cancelliere della Repubblica Fiorentina. L'opera più nota è costituita dalle Historiae Florentini populi, iniziate nel 1414 e concluse con il Rerum suo tempore in Italia gestarum commentarius (Commentari sugli avvenimenti del suo tempo in Italia, 1440). Nelle Vite di Dante e Petrarca (1436) riconobbe l'importanza del volgare e la validità del suo uso letterario e per primo attribuì a Petrarca il merito di aver aperto la stagione umanistica.

Interessante, anche per la ricchezza quantitativa della sua produzione, il lavoro di Francesco Filelfo (1398-1481) che nel 1427 ebbe dal Comune di Firenze l'incarico di commentare pubblicamente la Commedia di Dante; giunto al canto VII dell'Inferno fu costretto a lasciare la città per il suo atteggiamento antimediceo. Rientrò a Firenze nel 1469 e ottenne nel 1481 la cattedra di greco; quindici giorni dopo la nomina morì. Scrisse diverse opere di poesia latina, tra cui le Satyrae (1448); le Odae (1498, postumo); i Convivia mediolanensia (1449).

Notevole è anche il lavoro di Flavio Biondo (1392-1463). Visse tra la città natale, Forlì, e Bergamo; dal 1434 lavorò alla Curia romana. Il suo capolavoro sono le Historiarum ab inclinatione Romanorum decades (1439), in cui si evidenzia la necessità di studiare la storia come un fenomeno complesso, linguistico, civile e culturale.

Chi più sentì la relazione fra lo studio dei classici e l'educazione fu Vittorino da Feltre (1373-1446), il fondatore della "Ca' zoiosa" a Mantova. Non lasciò opere; fu l'insegnante per eccellenza, un vero e proprio mito della pedagogia umanistica; di lui esistono innumerevoli ritratti scritti da vari umanisti del tempo.

Poggio Bracciolini

Anche Poggio Bracciolini (1380-1459) studiò con Coluccio Salutati a Firenze. Nel 1403 si recò a Roma, dove divenne segretario apostolico. In questa veste partecipò al concilio di Costanza (1414-18) con l'antipapa Giovanni XXIII. Frequenti viaggi in Francia, Svizzera e Germania gli permisero di visitare importanti biblioteche monastiche alla ricerca di codici antichi. Scoprì così, tra gli altri, i manoscritti di molte orazioni di Cicerone, le Institutiones oratoriae di Quintiliano, il De rerum natura di Lucrezio. Dal 1418 al 1422 visse in Inghilterra e poi fino al 1453 a Roma. Scrisse numerosi trattati in forma di dialogo: fra essi si segnala per il suo tono pessimistico il De infelicitate principum (L'infelicità dei principi, 1440). Compose poi una Historia Florentina (1454-59), opera di grande erudizione in cui vengono narrati gli eventi di Firenze dalla prima guerra con Giovanni Visconti (1350) sino alla pace di Lodi (1455). Avverso all'uso letterario del volgare, Bracciolini utilizzò nelle sue opere sempre il latino, anche per le Facezie (il Liber facetiarum, Libro delle facezie), che raccoglie una nutrita serie di aneddoti e brevi novelle composte tra il 1438 e il 1452. Le Facezie, che prendono generalmente a pretesto un motto arguto, esaltano la nuova civiltà umanistica, ponendo al centro "morale" delle loro narrazioni l'abilità, la cultura e l'impegno dell'uomo civile, consapevole dei propri diritti.

Leon Battista Alberti

Leon Battista Alberti (1404-1472), che fu sommo architetto (suoi sono la facciata di Santa Maria Novella a Firenze e il Tempio Malatestiano di Rimini), letterato, matematico e teorico delle arti visive, è forse, assieme a Leonardo da Vinci, la figura più versatile e rappresentativa dell'umanesimo italiano. Il suo capolavoro letterario rimane il trattato in quattro libri Della famiglia (1433-41). Scritto in forma dialogica e ambientato a Padova al capezzale del padre morente, il testo svolge i temi della felicità, dell'educazione, del matrimonio e delle proprietà domestiche. Basi per il raggiungimento della vita perfetta sono il tempo (da sfruttarsi anche in senso economico al meglio) e la famiglia, cellula prima di ogni armonia sociale. Nel proemio al terzo libro Alberti sostiene che il volgare è giunto a un tale grado di eccellenza da poter ormai competere con il latino. Il modello di educazione teorizzato nel trattato rimanda al concetto umanistico di "rinascita": l'uomo, al centro dell'universo, è chiamato a costruire se stesso con l'aiuto dell'esperienza diretta, con l'ingegno e con la rielaborazione culturale del sapere. Raccolti intorno al 1440, gli Intercoenales sono brevi dialoghi satirici in latino scritti sul modello di Luciano e aventi come oggetto i più svariati temi morali. I cento Apologhi in latino scritti nel 1437 sono brevi aforismi o apologhi di carattere filosofico. Il satirico Momus, un'opera latina scritta prima del 1450, è incentrato sull'analisi del potere politico e condanna le ingiustizie del mondo. La Grammatichetta vaticana è una delle prime grammatiche volgari e dimostra l'intento di Alberti di promuovere e valorizzare il volgare anche come lingua letteraria. I sonetti in corrispondenza con Burchiello, le Rime (frottole, egloghe, elegie ecc.) e i dialoghi Deifna e Ecatonfilea appartengono all'importante produzione poetica in volgare. Con ogni probabilità, scrivendo Tirsis, fu anche l'iniziatore dell'egloga volgare quattrocentesca.

Rilievo fondamentale hanno i suoi trattati sull'arte: Sulla pittura (1436) e De re aedificatoria (Dell'architettura, 1443-45). Essi sono incentrati sul concetto di "misura", attraverso cui l'uomo è capace sia di definire con semplicità la simmetria e le proporzioni tra sé e la natura, sia di progettare una nuova convivenza civile basata sull'equilibrio, interiore ed esterno, e sull'imitazione dell'armonia della creazione divina.

La lezione umanistica di Lorenzo Valla e di Enea Silvio Piccolomini

Lorenzo Valla ed Enea Silvio Piccolomini sono figure esemplari del nostro umanesimo: Valla con il suo rigore filologico smascherò i fondamenti documentari del potere temporale dei papi; Piccolomini fu letterato di vastissima erudizione e grande papa mecenate (con il nome di Pio II).

Lorenzo Valla

Appartenente a una famiglia romana di funzionari curiali, Lorenzo Valla (1407-1457) fu avviato agli studi umanistici da G. Aurispa e Rinuccio di Castiglion fiorentino. Ottenne la cattedra di retorica all'università di Pavia (1430), dove perseguì con rigore la ricerca filologica. Nel 1433 si oppose alla scuola dei glossatori dell'ateneo con un libello in nome di una moderna scienza giuridica; la polemica lo obbligò ad abbandonare Pavia per riparare a Milano e a Firenze. Nel 1435 entrò alla corte del re d'Aragona e di Sicilia Alfonso V. Nel 1448 tornò a Roma come segretario apostolico di papa Niccolò V. I caratteri distintivi dell'ampia produzione di Valla sono l'uso della filologia come strumento di conoscenza e l'opposizione a ogni principio di autorità acriticamente accettato in favore della libertà di ricerca.

I dialoghi De vero falsoque bono (Il vero e il falso bene, ed. definitiva 1431), De libero arbitrio (1439), De professione religiosorum (I voti dei religiosi, 1439), cercano di ristabilire il senso del vero bene, della reale libertà e della sincera perfezione evangelica oscurati dai filosofi. Un tentativo di semplificare il linguaggio filosofico improntato alla logica di Aristotele, allora imperante, fu condotto nelle Dialecticae disputationes (1439). Per sostenere Alfonso d'Aragona in lotta con Roma per l'investitura del regno di Napoli scrisse il celebre De falso credita et ementita Constantini donatione (Della falsamente creduta e inventata donazione di Costantino, 1440), che dimostra su basi filologiche la falsità del documento della donazione di Costantino a papa Silvestro, che stava alla base del potere temporale della Chiesa.

Su diretta commissione di Alfonso V scrisse gli Historiarum Ferdinandi regis Aragoniae libri tres (1445-47), ricchi di informazioni e vivaci nella narrazione. Convinto che il benessere dell'uomo e della civiltà dipendessero dalla trasparenza e dalla univocità della comunicazione, si batté per il ripristino della lingua latina nel suo capolavoro, gli Elegantiae latinae linguae (Le eleganze della lingua latina, 1444), iniziato sin dal 1435: attraverso un esemplare studio filologico, viene condotta un'organica trattazione degli aspetti linguistici del latino, ricondotto al modello di Cicerone contro le deformazioni introdotte dai grammatici medievali. Nel 1449 applicò gli agguerriti strumenti della nuova filologia al testo evangelico nelle Adnotationes in Novum Testamentum, aprendo la strada agli studi sul Vangelo di Erasmo da Rotterdam.

Piccolomini, il papa umanista

Enea Silvio Piccolomini (1405-1464) fu papa con il nome di Pio II. Fine umanista, si mise in luce come segretario del cardinale Capranica al concilio di Basilea, sostenendo le tesi conciliaristiche (superiorità del concilio sul papa) nel De gestis Basileensis concilii (I fatti del concilio di Basilea, 1440). Si dedicò a lavori eruditi e alla letteratura, ottenendo nel 1444 la corona poetica. Intrapresa la carriera ecclesiastica, divenne vescovo di Trieste nel 1447 e nel 1450 di Siena. In questo periodo ritrattò le posizioni conciliariste, facendosi sostenitore del primato dell'autorità assoluta del papa nel De rebus Basileae gestis stante vel dissoluto concilio (Gli avvenimenti di Basilea durante e dopo il concilio, 1450). Fu eletto pontefice nel 1458. Fu un grande mecenate e cercò di realizzare il sogno umanistico della città ideale, a misura d'uomo, promuovendo la riqualificazione urbanistica del suo borgo natio, Corsignano, oggi Pienza. I lavori furono affidati dal 1460 all'architetto Bernardo Rossellino. Morì durante i preparativi per una crociata contro i turchi che egli stesso aveva bandito e si apprestava a condurre dopo aver inviato senza frutto una lettera al sultano Maometto II per indurlo alla conversione (Epistola ad Mahometem, 1460).

La sua produzione letteraria è composita e in gran parte precedente la sua carriera ecclesiastica. Affrontò tematiche galanti nella raccolta di liriche d'amore in latino Cinthia e nella commedia Chrysis (1444), ispirata ai modi di Plauto. Grande fama ebbe il romanzo De duobus amantibus (I due amanti, 1444) per la fine resa psicologica dei personaggi, per la freschezza della narrazione e la limpidezza del linguaggio. Oltre agli scritti riguardanti il concilio di Basilea, compose anche un trattato geografico noto come Cosmographia (1461), rimasto incompiuto, e un'opera di grande erudizione, articolata in tre parti: sui Germani, sull'Europa e sull'Asia. Durante gli anni di pontificato attese anche alla stesura dei 12 libri dell'autobiografia (Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt, Commentari agli avvenimenti notevoli accaduti ai suoi tempi), che arriva fino al 1563; scritta in uno stile elegante e raffinato, offre uno spaccato di grande interesse delle vicende politiche ed ecclesiastiche del tempo.

Umanesimo neoplatonico: Ficino e Pico della Mirandola

Intorno alla metà del secolo la diffusione del platonismo trova un'altissima sintesi culturale con l'opera di Marsilio Ficino (1433-1499), che fondò l'Accademia fiorentina (1462) e tradusse tutto Platone (1484). Nelle opere De voluptate (Il piacere, 1457), De religione christiana (1474), Theologia platonica (1482), De vita (1489) elaborò una filosofia al centro della quale mise l'anima, principio generatore dell'universo. Il suo umanesimo imperniato su una ripresa del platonismo e del neoplatonismo influenzò grandemente la cultura rinascimentale, contribuendo alla definizione di una moderna idea di persona e di amore.

Altra figura importante è Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), alla costante ricerca della concordia di tutte le filosofie e di tutte le religioni, in special modo della cabbalà (la corrente mistica dell'ebraismo), con la rivelazione cristiana, e autore della celebre orazione De dignitate hominis (La dignità dell'uomo, 1486), sintesi di grande pregio del pensiero umanistico ed espressione mirabile della fiducia del valore e della grandezza dell'uomo, a cui Dio ha dato la facoltà di essere artefice del proprio destino, facendolo superiore agli stessi angeli.

L'Umanesimo in sintesi

Umanesimo Attraverso la valorizzazione della civiltà greco-latina, viene rivalutata l'importanza dell'uomo nel suo agire nel mondo per la costruzione di nuovi modelli di società, in contrasto con una visione del mondo rinviante soltanto all'ultraterreno.
Salutati La prima figura di rilievo è quella di Coluccio Salutati, cancelliere di Firenze per più di trent'anni, tenace sostenitore dell'alto valore civile della cultura classica.
Umanisti: Leonardo Bruni Nelle Vite di Dante e Petrarca (1436) riconosce l'importanza del volgare e la validità del suo uso letterario.
Umanisti: Poggio Bracciolini Le Facezie esaltano la nuova civiltà umanistica ponendo al centro "morale" delle loro narrazioni l'abilità, la cultura e l'impegno dell'uomo civile.
Umanisti: Vittorino da Feltre È il modello dell'insegnante umanista.
Umanisti: Leon Battista Alberti L'uomo, al centro dell'universo, è chiamato a costruire se stesso con l'esperienza diretta, con l'ingegno e con la rielaborazione del sapere.
Umanisti: Valla e Piccolomini Lorenzo Valla (che dimostra la falsità della donazione di Costantino) ed Enea Silvio Piccolomini (grande papa mecenate con il nome di Pio II) risultano personalità emblematiche del nostro umanesimo sia per gusto letterario sia per ricerca filologica.
Neoplatonismo fiorentino: Marsilio Ficino Ficino reinserisce nella tradizione cristiana il grande filone del pensiero platonico e neoplatonico.
Neoplatonismo fiorentino: Pico della Mirandola Rivendica la dignità dell'uomo, fatto da Dio artefice del proprio destino e superiore agli stessi angeli.

La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo Il Magnifico, Poliziano, Pulci

Grazie allo straordinario prestigio culturale acquisito nei secc. XIII e XIV, Firenze è stata fin dall'inizio della civiltà umanistica il centro supremo degli studi, la patria o il luogo di riferimento dei maggiori esponenti di tutte le arti. Il signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico, fu il simbolo di questa corrente umanistica, caratterizzata dal mecenatismo signorile , da una grande libertà intellettuale, da un gusto aristocratico per la bellezza, da un vivo interesse a raccordare gli ideali classici con la tradizione comunale fiorentina, tanto che proprio in ambito mediceo si ebbe una decisiva rinascita della lirica in volgare a opera dello stesso Lorenzo, di Luigi Pulci e di Agnolo Poliziano.

La letteratura umanistica in volgare

La letteratura umanistica in volgare nasce da una lingua attenta al modello toscano stilnovistico e petrarchesco, ma soprattutto attratta da una forma che vuole essere concreta e reale, aperta a sperimentazioni espressive.

Domenico di Giovanni detto Burchiello (1404-1449) è forse il primo esempio di questa nuova vivacità poetica. Nato poverissimo, condusse una vita sregolata e nella più profonda indigenza. La "burchia" era un piccolo battello da carico in cui le merci venivano disposte alla rinfusa. Burchiello si guadagnò il suo pseudonimo per l'accumulazione caotica e bizzarra di immagini, presenti nella sua poesia satirica e antiletteraria. I sonetti caudati che compongono le sue Rime (1757, postumo) sono infatti caratterizzati da uno sperimentalismo comico-giocoso in cui parole e immagini vengono giustapposte senza nesso logico, seguendo un criterio parodistico. Queste rime diedero origine a una caratteristica maniera poetica detta "burchiellesca".

Dal 1469, quando sale al potere Lorenzo de' Medici, fino alla sua morte (1492) si sviluppa attorno alla corte medicea la più alta forma di umanesimo italiano. Lorenzo, Poliziano, Ficino, Pico della Mirandola e, in tono popolaresco, Pulci sono i grandi protagonisti di questa epoca aurea.

Lorenzo il Magnifico

Lorenzo de' Medici (1449-1492), detto il Magnifico, governò Firenze dal 1469, garantendo il rispetto formale delle istituzioni comunali democratiche, anche se di fatto le esautorò, accentrando in sé tutto il potere. In politica estera, praticò una strategia di alleanze, che lo portò a essere il perno dell'equilibrio venutosi a costituire fra gli stati d'Italia. Per quanto riguarda la sua produzione letteraria, al periodo giovanile risalgono la Nencia da Barberino (1473), gustoso idillio rusticano in cui il poeta si finge pastore e loda con la fresca immediatezza di un popolano le bellezze della sua donna, e i poemetti L'uccellagione di Starne (anche Caccia col falcone) e Il simposio, caricatura dei più noti bevitori fiorentini, di tono comico-realistico sul modello di Pulci. In seguito si fece più viva l'adesione alle teorie neoplatoniche sostenute da Marsilio Ficino: l'Altercazione (1473-74) è un dialogo filosofico con lo stesso Ficino circa il sommo bene. Del 1483-84 è un Comento in prosa e in poesia (41 sonetti) che narra con freschezza di notazioni psicologiche una storia d'amore sul modello della Vita nuova di Dante. Posteriori al 1486 sono i due poemi idillici Ambra e Corinto e i due libri di strambotti delle Selve d'amore, che rileggono lo stesso tema in toni più intimi e sofferti, venati di malinconia. La stessa atmosfera di malinconia si ritrova nelle opere della maturità, come le Canzoni a ballo e i Canti carnascialeschi, fra i quali è il notissimo Trionfo di Bacco e Arianna che esprime la fugacità della vita. Scrisse anche opere di argomento religioso, quali la Rappresentazione di san Giovanni e di san Paolo (1491) e nove Laudi.

Agnolo Poliziano

Nel circolo mediceo fu Agnolo Ambrogini (1454-1494), detto il Poliziano, a realizzare una fondamentale sintesi tra la cultura classica e la tradizione volgare fiorentina di Dante, Petrarca e Boccaccio.

La vita e le opere

Da Montepulciano si trasferì nel 1469 a Firenze, ove ebbe come maestri alcuni tra i più bei nomi della cultura umanistica: C. Landino, G. Argiropulo e M. Ficino. Entrò nella cancelleria privata dei Medici, ottenendo a ventun anni l'incarico di precettore dei figli di Lorenzo, Piero e Giovanni, il futuro papa Leone X. In questi stessi anni intraprese la carriera ecclesiastica e nel 1477 divenne priore della Collegiata di San Paolo. Frattanto iniziò a comporre Le stanze per la giostra per la vittoria di Giuliano de' Medici alla grande giostra cavalleresca tenutasi a Firenze nel 1475, e interrotte probabilmente attorno al 1478, quando Giuliano fu ucciso sotto i suoi occhi, vittima della congiura dei Pazzi. A essa, e alla dura repressione esercitata da Lorenzo per rafforzare il proprio potere, Poliziano dedicò una breve opera in latino, Commentario della congiura dei Pazzi (1478), esplicita apologia del potere mediceo. A questo periodo appartiene probabilmente anche la raccolta dei Detti piacevoli. Verso la fine del 1479, forse per contrasti con la moglie di Lorenzo, Clarice Orsini, Poliziano si allontanò da Firenze e dimorò a Venezia, Padova e Mantova. In quei mesi scrisse e fece rappresentare la Fabula di Orfeo, uno dei primi testi teatrali di argomento classico in volgare. Nel 1480, ritrovato il pieno accordo con i suoi protettori, tornò a Firenze e si dedicò completamente agli studi classici, trascurando la produzione poetica in volgare a favore della poesia latina, soprattutto epigrammi ed elegie (celebri quelle In violas, e In Albieram Albitiam, per la morte di una quindicenne), e dell'impegno filologico. Sono testimonianza della sua attività di questi anni i poemetti in esametri latini inclusi nelle prolusioni accademiche: Manto (1482); Rusticus (1483); Ambra (1485) e Nutricia (1486), di contenuto teorico e metodologico. La sua ricerca filologica (raccolta nei Miscellanea, 1489) dette frutti di importanza decisiva; notevoli anche i suoi apporti all'interpretazione di Aristotele e i giudizi letterari di cui sono piene le Epistole (1494). Celebri sono rimaste le sue canzoni a ballo in volgare (fra tutte, I'mi trovai, fanciulle e Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio), che traducono in un linguaggio di grande misura una gioiosa cantabilità popolaresca.

Le "Stanze per la giostra" e la "Fabula d'Orfeo"

Scritte in ottave e interrotte poco dopo l'inizio del secondo libro, le Stanze per la giostra furono pubblicate solo nel 1494. Le prime strofe sono dedicate alla glorificazione di Firenze e di Lorenzo (Lauro), nuovo protettore delle arti e della poesia; segue la comparsa della figura di Iulo (Giuliano), la cui giovinezza rude e selvatica è trascorsa nei piaceri della caccia e nel disprezzo per l'amore. Ma un giorno, durante una caccia, egli diviene preda di Cupido, s'innamora e inizia così la sua formazione di uomo sensibile ai valori di amore e della gloria. Il secondo libro si apre con la celebrazione di Lorenzo, poeta e innamorato; a Iulo viene ordinato in sogno di conquistare la donna amata, dimostrando il proprio valore nelle armi. Qui si interrompe il poema, la cui importanza, al di là della trama, abbastanza fragile, consiste nella creazione di una dimensione in cui si rapportano in perfetto equilibrio la potenza illuminata dalla cultura e la bellezza che suscita l'amore. Questo mondo ideale ha come contesto una natura splendente, ancora incontaminata: una rappresentazione tutta terrena, ma non per questo meno affascinante, del mito del paradiso terrestre, in cui l'essere umano può sentirsi perfettamente appagato. L'ottava di origine popolare viene nobilitata attraverso una raffinata eleganza di intarsi letterari, derivati sia dalla tradizione della poesia lirica volgare, sia dall'attenzione filologica alla produzione classica, trattata e tradotta con grande maestria, mentre la lingua è costituita da una preziosa rielaborazione e fusione della tradizione fiorentina degli ultimi due secoli, senza cedimenti alla tentazione di passive imitazioni.

Elaborata sullo schema delle sacre rappresentazioni, la Fabula d'Orfeo ha come contenuto il mito del poeta e musico Orfeo, che grazie alla sua arte divina riesce a commuovere e vincere la morte, ottenendo dal re degli Inferi Plutone la restituzione della sposa Euridice. Non sapendo però resistere all'umanissimo desiderio di rivolgere lo sguardo all'amata lungo il cammino che li riporta sulla terra, la perde per sempre. Poliziano come pochi altri credette nel valore assoluto della poesia portatrice di valori eterni di bellezza e di armonia; ma allo stesso tempo sentì, specialmente dopo il 1480, il senso della fugacità della vita, del rapido tramonto della giovinezza, la fine inevitabile di un sogno. Dal punto di vista teatrale la Fabula riveste una notevole importanza perché segna la nascita del dramma pastorale, che avrà un grande sviluppo nel corso del Cinquecento.

Luigi Pulci

Luigi Pulci (1432-1484), erede della tradizione burlesca e popolana della cultura fiorentina, fu figura dissonante nel clima raffinato e neoplatonico della corte medicea. Nel 1461, grazie alla protezione di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, riuscì a entrare nella cerchia medicea con l'incarico di scrivere il suo capolavoro, il Morgante, la cui composizione lo occupò fino alla morte. Iniziò un periodo di grande amicizia tra il poeta e il signore di Firenze, che lo soccorse più volte quando si trovò in difficoltà economiche. Dal 1466 iniziò un periodo molto positivo della sua vita: scrisse la favola villereccia Beca da Dicomano (in parodia della Nencia di Barberino di Lorenzo); ebbe l'incarico di celebrare la giostra vinta da Lorenzo nel 1469; lo accompagnò nel 1471 in un'importante missione diplomatica a Napoli presso la corte aragonese; prese in moglie nel 1473 Lucrezia degli Albrizi. In questi anni ebbe inizio anche un aspro contrasto con Matteo Franco, un sacerdote amico di Marsilio Ficino e molto influente nella corte medicea, che si concretizzò in una serie di sonetti pungenti, in cui Pulci ironizzò in maniera aperta anche su argomenti teologici di grande rilevanza come l'immortalità dell'anima. Per questi motivi l'amicizia di Lorenzo si andò raffreddando e Pulci preferì allontanarsi sempre più spesso da Firenze. Nel 1478 apparve probabilmente la prima edizione, ancora ampiamente incompleta, del Morgante; la seconda edizione, in 23 cantari (canti) costituiti da ottave, uscì a Firenze nel 1481, mentre l'edizione definitiva in 28 cantari fu pubblicata con il titolo di Morgante maggiore nel 1483. Nella parte finale è contenuto un duro attacco contro un frate, probabilmente Savonarola, che aveva condannato pubblicamente Pulci per i suoi scritti sacrileghi. Nel 1484, convinto dall'agostiniano Mariano da Gennazano, Pulci fece pubblica ammenda in un'opera in terzine dal titolo Confessione, che valse a calmare le polemiche e rese realizzabile il progetto di un ritorno a Firenze. Ma Pulci morì improvvisamente a Padova e fu sepolto come eretico in terra sconsacrata.

Il "Morgante"

Se già nelle opere minori (in particolare nei Sonetti e nella Beca da Dicomano) Pulci dà prova di una fantasia sbrigliata e di un gusto per la bizzarria e per la parodia di tutto ciò che è ritenuto intangibile, il culmine di tale atteggiamento culturale è raggiunto nel poema Morgante, che capovolge tutti i valori propri della materia epica cavalleresca. Già la trama, versione grottesca delle narrazioni tipiche delle canzoni di gesta, ha uno sviluppo inconsueto: si narra infatti che Orlando, colpito dalle calunnie di Gano e seccato per il comportamento credulone di Carlo Magno, vecchio e quasi rimbambito, parte per l'Oriente in cerca di avventure. Ma la trama rivela poco delle caratteristiche del poema perché l'interesse dell'autore è rivolto alla rappresentazione imprevedibile, volutamente eccessiva, di fatti inverosimili. Le figure in cui si manifesta meglio l'estro del poeta sono quelle del gigante Morgante e del mezzo-gigante Margutte. Morgante, armato del battaglio di una campana, è l'immagine stessa di ciò che è eccessivo per la sproporzione tra l'immensa forza fisica e la scarsa lucidità mentale. Margutte, invece, che finirà per morire soffocato dalle proprie risate, è la rappresentazione del capriccio della volontà e della natura: è la parodia dell'ideale umanistico di uomo artefice del proprio destino in un quadro di armonica perfezione, conseguita attraverso un percorso razionale. Ma Margutte è dotato di un'astuzia invincibile, di un eccezionale gusto per il male, che si realizza in una contromorale fondata sul furto, l'imbroglio, i piaceri della gola e si manifesta in avventure caratterizzate da una prodigiosa voracità e da sadica perfidia nei confronti delle vittime. Lo stile di Pulci non si richiama all'uso colto del volgare toscano, ma nemmeno si appiattisce sull'uso parlato e popolareggiante; si rivolge al patrimonio di espressioni gergali proprie di settori marginali della società (Pulci compose persino un Vocabolarietto di lingua furbesca, che raccoglieva termini ed espressioni degli ambienti della malavita). Nei suoi versi la parola tende sempre all'ambiguità e il gioco generato dall'accostamento delle parole, dal loro richiamarsi attraverso assonanze fonetiche, talvolta prende il sopravvento sullo sviluppo della narrazione e impone svolte imprevedibili.

Gerolamo Savonarola

Alla fine del secolo campeggia drammaticamente la figura del predicatore domenicano Gerolamo Savonarola (1452-1498). Dopo la calata del re di Francia Carlo VIII e la cacciata di Piero de' Medici (1494), Savonarola si fece ispiratore di una repubblica popolare. Savonarola riuscì a contenere il radicalismo puritano dei "piagnoni" suoi seguaci, ma non evitò, specie dopo le sue gravi accuse al papa Alessandro VI e le denunce sull'immoralità della Chiesa, l'attacco dei partigiani dell'oligarchia ("arrabbiati") e dei Medici ("palleschi"). Scomunicato e processato per eresia, Savonarola fu impiccato e le sue ceneri furono disperse in Arno.

Ci restano molti scritti dottrinari (Compendium logicum, 1491; Compendio delle rivelazioni, 1495; Epistola della sana e spirituale lezione, 1497; Trattato circa il reggimento del governo della città di Firenze, 1498).

Ma il suo capolavoro sono le Prediche (raccolte postume), in cui con un linguaggio drammaticamente intessuto di riferimenti biblici denuncia le compromissioni mondane della Chiesa ed esprime la sua speranza per il ritorno del cristianesimo all'originario spirito evangelico. La sua figura affascinò una lunga schiera di uomini di cultura (Pico della Mirandola, Guicciardini, Michelangelo e molti umanisti).  

La letteratura umanistica alla corte dei Medici in sintesi

Burchiello I sonetti caudati delle sue Rime sono caratterizzati da uno sperimentalismo comico-giocoso che giustappone parole e immagini senza alcun nesso logico.
Lorenzo de' Medici Grande mecenate e uomo di cultura, fece di Firenze il centro della vita culturale, artistica e politica italiana; la sua produzione si divide fra gli atteggiamenti concreti popolari-burchielleschi e l'adesione al pensiero neoplatonico dell'Accademia fiorentina. Nelle Selve d'amore e nei Canti carnascialeschi la sua poesia è di vena malinconica.
Poliziano I suoi capolavori sono la Fabula d'Orfeo e le Stanze per la giostra. Poliziano come pochi altri credette nel valore assoluto della poesia portatrice di valori eterni di bellezza e di armonia; ma allo stesso tempo sentì il senso della fugacità della vita, del rapido tramonto della giovinezza, la fine inevitabile di un sogno.
Pulci Il suo capolavoro, il poema eroicomico Morgante, è la parodia dell'ideale umanistico di uomo artefice del proprio destino in un quadro di armonica perfezione.
Savonarola Nella sua azione politica e nelle sue Prediche denuncia la corruzione della Chiesa e auspica il ritorno del cristianesimo alla semplicità evangelica delle origini.

La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

Fuori dalla corte medicea l'umanesimo italiano si diffonde soprattutto a Venezia, Ferrara e Napoli. Offre altri due esempi altissimi: il poema cavalleresco di Boiardo, che opera presso la corte ferrarese degli Este, e la letteratura pastorale di Sannazaro, vero maestro della corte aragonese a Napoli.

La diffusione dell'umanesimo in Italia

Nell'Italia settentrionale ebbero importanza la corte di Milano, ove operarono i grandi artisti fiorentini Bramante e Leonardo da Vinci e vissero gli scrittori Antonio Loschi (1368-1440) e Francesco Filelfo, e quella degli Estensi a Ferrara, resa illustre dalla presenza di poeti come Tito Vespasiano Strozzi (1424-1505), Pasquale Collenuccio (1447-1492), autore di belle Rime petrarchesche, Nicolò da Correggio (1450-1508), che scrisse il dramma la Fabula di Cefalo (1487) e soprattutto M.M. Boiardo. Particolare importanza, soprattutto nelle arti, ebbe il contributo di Venezia: in campo letterario non vanno dimenticati Francesco Barbaro (1390-1454), autore di un interessante trattato De re uxoria (Sul matrimonio, 1416) sul matrimonio e l'educazione dei figli; Leonardo Giustinian (1388-1446), dottissimo patrizio autore di orazioni in latino e di poesia lirica in volgare (gli Strambotti, diffusi dal 1474). Venezia, inoltre, fu il ponte naturale tra cultura greca e civiltà latina e il primo centro editoriale italiano, grazie a uno sviluppo rapido e di grande qualità del nuovo strumento della stampa: il più prestigioso editore dell'epoca fu l'umanista veneziano Aldo Manuzio (1450-1515). Un rilievo particolare nel centro Italia ebbe la corte di Urbino, soprattutto sotto il duca Federico di Montefeltro e naturalmente Roma, dove operarono tra gli altri Giulio Pomponio Leto (1428-1497), fondatore dell'Accademia pomponiana, e Bartolomeo Sacchi detto il Platina (1421-1481), primo prefetto della Biblioteca Vaticana. Figure di grande rilievo illustrarono l'umanesimo napoletano, sviluppatosi sotto la protezione della dinastia aragonese; il centro organizzativo fu l'Accademia fondata dal Panormita (Antonio Beccadelli, 1394-1471) e diretta successivamente da Pontano (1429-1503), ma la figura di maggiore spicco è Sannazaro. Importante la produzione novellistica di Masuccio Salernitano.

Giovanni Pontano

La produzione letteraria di Giovanni Pontano (1429-1503) tocca quasi tutti i generi ed è scritta prevalentemente in latino. Scrisse una serie di Dialoghi, politici e astrologici, nei quali appaiono i tratti caratteristici del suo umanesimo: una concezione attiva della vita, che Pontano attuò polemizzando contro l'ignoranza, la superstizione, i pedanti, i politici. Pontano amò sopra ogni cosa la poesia e in essa lasciò il segno di una cultura e di una sensibilità raffinata, educata sui classici e insieme attenta a tutti gli aspetti della vita del suo tempo. Scrisse egloghe e raccolte di poesie (Amores, 1455-58; Hendecasyllabi sive Baiae, 1490-1500, che cantano l'atmosfera festosa dei bagni di Baia; Iambici, per la morte del figlio Lucio; Tumuli, che raccoglie epitaffi per la moglie morta Adriana e per il figlio Lucio), poemi di carattere astrologico Urania (1476) e Meteororum liber (Libro delle meteore), l'opera didascalica De hortis Hesperidum (L'orto delle Esperidi). Il suo capolavoro è probabilmente il poema De amore coniugali, in cui Pontano canta le gioie della vita familiare. Famose le dodici Neniae, scritte per il figlio Lucio, opere che lo pongono con Poliziano e il Boiardo del Canzoniere ai vertici della produzione lirica dell'umanesimo.

Il "Novellino" di Masuccio Salernitano

Masuccio Salernitano è il soprannome del sorrentino Tommaso Guardati (circa 1415-1475). Segretario di Roberto di Sanseverino, principe di Salerno, frequentò la corte di Napoli, a contatto con il Panormita, G. Pontano e Z. Barbaro. È noto per il Novellino (postumo, 1476), raccolta di 50 novelle divise per temi in cinque decadi. Tra le fonti, accanto a quella imprescindibile di Boccaccio, vi sono i trattati degli umanisti e in particolare le opere di G. Pontano. La raccolta si caratterizza per la presenza di trame drammatiche, dai toni cupi e crudeli, che rivelano un gusto compiaciuto per le situazioni estreme e l'orrido. La vena narrativa ha la meglio sui toni edificanti, lo stile rinuncia all'imitazione delle costruzioni solenni, di stampo latino, tipiche di Boccaccio, e diviene più libero ed espressivo grazie anche all'uso del dialetto nelle scene più ricche di comicità popolaresca.

Boiardo e il poema cavalleresco

Matteo Maria Boiardo (1440 o 1441-1494), di Scandiano, presso Reggio Emilia, è l'autore del grande poema Orlando innamorato. Fu determinante nella sua formazione umanistica l'ambiente culturale ferrarese e la partecipazione alla vita mondana presso la corte estense. Nel 1463-64 compose i 15 Carmina de laudibus Estensis (Carmi in lode degli Este), che riprende motivi mitologici virgiliani, e le 10 egloghe dei Pastoralia. Nel 1476 iniziò il suo capolavoro, l'Orlando innamorato, e compose in latino gli Epigrammata, in cui sul modello di Marziale celebra la vittoria di Ercole I contro il cugino Niccolò che aveva ordito una congiura ai suoi danni. Nel 1480 divenne governatore di Modena e nel 1487 capitano di Reggio Emilia, carica che tenne sino alla morte. In quegli anni compose le Egloghe volgari e la commedia in 5 atti Timone. Tra le opere volgari figurano anche gli Amorum libri tres (o Canzoniere), incentrati sulla storia d'amore con Antonia Caprara e composti tra il 1469 e il 1476. Se Petrarca è il maestro a cui si rifà Boiardo, è stato osservato che la convergenza di più modelli (Virgilio, Tibullo, Ovidio, Properzio, Lucrezio, Claudiano, ma anche Dante e gli stilnovisti) e una nuova sensibilità umanistica rompono in queste poesie l'equilibrio petrarchesco, inserendovi elementi poetici eterogenei e originali. Tra questi, la visione stilizzata della natura, il gusto dei diminutivi e delle personificazioni e infine le figurazioni animalesche di marca cortese e siciliana. Oggi il Canzoniere di Boiardo viene unanimemente considerato il più bel canzoniere d'amore del Quattrocento italiano.

L'"Orlando innamorato"

Poema epico-cavalleresco in ottave, l'Orlando innamorato fonde i materiali del ciclo carolingio (sulle gesta di Carlo Magno e i suoi paladini) con quelli del ciclo bretone (sulle gesta e gli amori alla corte del re Artù) della letteratura francese ed è legato alla tradizione dei "cantari" di piazza. L'edizione completa del testo (che comunque rimase incompiuto) uscì nel 1495, un anno dopo la morte di Boiardo. Scritto in volgare ferrarese (ma si tratta di un ferrarese illustre con elementi desunti dal toscano letterario e arricchito da vari latinismi), il poema narra le vicende di Angelica, contesa e inseguita dai paladini cristiani Orlando e Ranaldo, entrambi innamorati di lei. Le vicende dell'inseguimento sono condizionate dai cambiamenti di sentimento di Angelica e Ranaldo che, per effetto magico della fonte dell'amore e del disamore a cui bevono, s'invaghiscono o si disamorano vicendevolmente. Ciò dà luogo a una vertiginosa serie di inseguimenti e di fughe incrociate. Dopo aver ucciso il re tartaro Agricane, Orlando rincontra Ranaldo, sfuggito all'incantesimo della fonte. Tra i due scoppia una furibonda lite. L'assedio di Parigi, posto dal re dei mori Agramante, convince però i due cugini rivali a ritornare in Francia per difendere i cristiani. Dopo un nuovo duello tra i due, Carlo Magno decide di consegnare Angelica al paladino che meglio avrà combattuto i saraceni. Nel frattempo nasce l'amore tra Ruggiero, uno dei cavalieri mori, e la guerriera cristiana Bradamante. Qui l'opera s'interrompe (stanza 26 del canto IX) e da qui riprenderà la narrazione Ariosto.

La novità di Boiardo consiste nella fusione del ciclo carolingio e di quello bretone in unica linea narrativa in cui domina l'ideale umanistico dell'energia amorosa, capace di nobilitare (ma anche di spaventare) l'uomo; nella creazione di tipi psicologici assai vari, anche se in parte stilizzati. Attraverso la sovrapposizione dell'esperienza epica a quella lirica, Boiardo ha saputo interpretare la necessità del superamento dell'ideale astratto della letteratura amorosa in favore del mondo polifonico del poema moderno. Contrappunto dialettico dell'elemento umano sono gli elementi magici e "meravigliosi" inseriti nel poema e caratterizzati da un linguaggio ricco di immagini e di aggettivazioni iperboliche. Giardini incantati, fonti miracolose, esseri mostruosi e apparizioni sono solo alcuni degli elementi soprannaturali che popolano il testo.

Iacopo Sannazaro e la letteratura pastorale

Iacopo Sannazaro (1455/56-1530) è la figura più rappresentativa dell'umanesimo a Napoli. Il suo lavoro fu rilevante non solo per quanto riguarda la letteratura in volgare, ma anche la letteratura in latino. Entrato nell'Accademia Pontaniana, fu nominato (1481) gentiluomo della corte aragonese. Seguì Federico III d'Aragona nell'esilio francese (1501). Morto il re, tornò a Napoli. Prima del suo ritorno a Napoli, l'attività di Sannazaro fu prevalentemente in volgare: i giochi scenici, Farse, e le Rime (postume, 1530) sono momenti di alta espressività. Dal suo ritorno a Napoli, la sua produzione si esprime in maggior misura in latino. Il suo latino è comunque vibrante e poco accademico: le Elegiae, spesso improntate ad alta malinconia; gli Epigrammata; le Eclogae piscatoriae, che trasferiscono l'ambiente bucolico tra i pescatori della costa napoletana; il De partu Virginis (Il parto della Vergine), che racconta la natività secondo le modalità espressive della mitologia classica.

Il capolavoro di Sannazaro è comunque l'Arcadia (1501), libro misto di prose e versi e vero e proprio capostipite del "romanzo pastorale". La trama del romanzo prende spunto da una vicenda autobiografica: mascherato sotto i panni di Sincero, l'autore immagina un viaggio nel mondo di Arcadia per sfuggire alle pene di una triste vicenda amorosa e gustare le gioie della vita semplice e schietta dei pastori; il cammino si conclude con la scoperta della morte dell'amata. La nostalgia per un'impossibile età dell'oro è il tema dominante, tradotto in un'inedita prosa lirica, dalla trama delicatissima e quasi evanescente, con ritmo musicale, ricca di riferimenti colti e aulici. Enorme fu la fortuna del romanzo. In Italia ebbe numerosissime edizioni, molti commenti eruditi; in Spagna, Portogallo, Francia e persino in Inghilterra esercitò un influsso ampio e profondo.

La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli in sintesi

I centri di diffusione dell'umanesimo Milano (Bramante, Leonardo da Vinci), Venezia (Barbaro; stampa: Aldo Manuzio), Ferrara (Boiardo), Roma, Napoli (Pontano, ai vertici della poesia lirica del Quattrocento; Masuccio Salernitano, scrive il Novellino, la più importante raccolta di racconti quattrocentesca; Sannazaro).
Boiardo Nel poema cavalleresco Orlando innamorato Boiardo dichiara l'ideale umanistico dell'energia amorosa, che è capace di nobilitare l'uomo. Attraverso la sovrapposizione dell'esperienza epica a quella lirica, Boiardo ha saputo interpretare la necessità del superamento dell'ideale astratto della letteratura amorosa in favore del mondo moderno e polifonico del poema. Il Canzoniere ha Petrarca come modello, ma la convergenza di più modelli rompe l'equilibrio petrarchesco, inserendovi elementi poetici eterogenei e originali.
Sannazaro Il capolavoro, l'Arcadia, misto di prose e di versi, è il capostipite del "romanzo pastorale" che ebbe duraturo successo in tutta Europa. Tema dominante la nostalgia per un'impossibile età dell'oro, esposto con una prosa lirica e musicale, ricca di riferimenti colti. Importante anche la produzione in lingua latina (Elegiae, di impronta malinconica; Eclogae piscatoriae, temi pastorali trasferiti tra i pescatori napoletani; De partu Virginis, la natività di Gesù secondo moduli narrativi della mitologia classica).