Illuministi, neoclassici e preromantici

Un nuovo orizzonte storico

La storia del Settecento è sostanzialmente una lenta crisi dell'Antico regime nobiliare. La monarchia spagnola è in pieno declino; la monarchia francese dalla Reggenza a Luigi XVI vive in una contraddizione senza via d'uscita. Solo la monarchia costituzionale inglese rafforza il suo potere e la sua forza economica. L'impero asburgico estende l'egemonia sull'Italia e diventa la maggiore potenza europea. La laicizzazione, la necessità di espansione economico-culturale sono elementi che spiegano la volontà di comunicazione tipica di questi anni. L'Italia, priva di autonomia politica e largamente dipendente dall'Austria, sente maggior disagio rispetto ad altre nazioni che si vanno sviluppando. Il problema vero dei nostri intellettuali è come mantenere la cultura italiana al passo di quella europea cercando una mediazione che non ci separi dall'antica tradizione umanista e sappia confrontarsi con il razionalismo europeo ampiamente diffuso. La riforma del linguaggio poetico operata dall'Arcadia appare come una reazione al barocco.

L'Arcadia

L'Accademia dell'Arcadia sintetizzò la reazione di fine Seicento al marinismo e al barocco. Venne fondata a Roma nel 1690, fra gli altri da G. M. Crescimbeni, G. V. Gravina e G. F. Zappi. Il programma letterario prevedeva un vero e proprio culto della vita pastorale: ogni letterato assumeva un nome pastorale greco (ricreando il mito dell'Arcadia, regione greca sede del monte Parnaso sacro alle Muse); aveva un simbolo distintivo (la siringa di Pan circondata da lauro), e il luogo delle riunioni veniva chiamato Bosco Parrasio, in onore del monte Parnaso.

Il razionalismo arcadico rilanciò il genere della lirica; ma alla poesia barocca della meraviglia e della metafora ardita contrappose un linguaggio poetico chiaro e lineare. Era il classicismo (specie umanistico) la chiave per ritrovare qualcosa che, secondo l'Arcadia, il barocco aveva dissipato. Il progetto tuttavia rimase un mutamento di superficie: l'idea di una nuova società si riduceva all'evasione in una società astratta, salottiera, sostanzialmente artificiale. L'"antica favola", che per Gravina doveva tentare una riforma civile, e il rilancio della tradizione italiana, diventava il rito di una piccola società aristocratica, in una sterminata produzione di "pastori" e "pastorelle" immersi in poesie d'occasione (soprattutto "canzonette") di facile maniera. Crescimbeni ("custode generale" dell'Arcadia fino alla sua morte, nel 1728) parlava di classicismo "rifatto in piccolo", rispettoso della prudente politica culturale della Curia romana. Anche se fu Gravina a stendere (1696) le leggi accademiche dell'Arcadia, fu certo l'indirizzo di Crescimbeni a segnare l'artificiosità dei volumi collettivi Rime degli Arcadi e Vite degli Arcadi, pubblicate dal 1708. La cosiddetta scissione del 1711 (rottura del sodalizio Gravina-Crescimbeni; nascita dell'Accademia dei Quirini, a cui aderirono, insieme al Gravina, Rolli e Metastasio) non segnò in effetti alcun vero cambiamento. Al contrario, il programma di reazione al barocco ebbe grande successo; l'Accademia si diffuse dappertutto così che l'Arcadia divenne il più importante fenomeno del mondo letterario italiano.

La riflessione razionalistica più interessante è quella del calabrese Gian Vincenzo Gravina (1664-1718). Nel trattato Della ragion poetica (1708; la parte essenziale, intitolata Delle antiche favole, è del 1696) Gravina riconosce alla poesia il carattere della "finzione" fantastica e il potere di comunicare a tutti (persino alle "menti volgari") le verità più nascoste. La poesia diventa una "maga, ma salutare, e un delirio che sgombra le pazzìe". La sapienza è occulta; le favole sono le maschere storiche attraverso le quali la verità assoluta si manifesta nella comunicazione sociale: la poesia assume un forte ideale di funzione civile. Le idee di Gravina non furono mai accettate dall'Arcadia ed egli, deluso, si chiuse in un rigido classicismo.

Il teatro

Gli esempi migliori della letteratura italiana si scorgono soprattutto nella produzione teatrale. Certamente il peso della commedia dell'arte e del melodramma non consente ancora la rinascita (che sarà operata da Goldoni) di un "teatro della parola".

Il milanese Carlo Maria Maggi (1630-1699) con le sue quattro commedie (pubblicate postume nel 1701: Il Mancomale, 1695; Il barone di Birbanza, 1696; I consigli di Meneghino, 1697; Il falso filosofo, 1698) propone un'invenzione realistica, una comicità concreta, corroborata da un vero e proprio sperimentalismo dialettale.

Il bolognese Pier Jacopo Martello (1665-1727), invece, compie una specie di radicalizzazione del gusto barocco, ottenendo un effetto tanto paradossale quanto espressivo, non solo nel suo teatro (per il quale conia un nuovo metro di dodici sillabe, detto appunto "martelliano", sul modello dell'alessandrino francese), ma soprattutto nelle sue prose satiriche (L'impostore o Della tragedia antica e moderna, 1714; Il segretario di Cliternate, 1717) e nella favola teatrale Il Femia sentenziato (1724, contro Scipione Maffei).

Interessante la figura del senese Girolamo Gigli (1660-1722): scrisse con spregiuticatezza, aggredendo amaramente la figura dell'ipocrita (Don Pilone, 1707) o del falso untuoso (La sorellina di Don Pilone, 1712). Satira disperata e cruda sono le scritture del Gazzettino, testi proposti da Gigli come finti notiziari, avvertimenti inventati o ideali, diffusi poi manoscritti tra il 1712 e il 1713.

La storiografia e il pensiero critico

La grande novità del pensiero critico settecentesco italiano sono l'erudizione, le ricerche di archivio e di repertori. In effetti, proprio questo esercizio di ricerca produce un dinamismo e una presa di coscienza culturale di enorme importanza. Studiosi come Muratori, Maffei o Giannone non sono irrigiditi in un'erudizione inutile e polverosa: le loro ricerche segnano la nascita di un modello culturale a cui non solo l'illuminismo italiano, ma anche il pensiero risorgimentale deve moltissimo.

 

Lodovico Antonio Muratori

Lodovico Antonio Muratori (1672-1750), nato a Vignola, studiò a Modena, trasferendosi poi a Milano come prefetto della Biblioteca Ambrosiana. Qui conobbe la famiglia Borromeo e divenne amico dello scrittore C. M. Maggi, di cui scrisse anche la Vita (1700). Nel 1700, a Modena, iniziò la sua attività di archivista e bibliotecario di corte, dedicandosi a un'intensa attività di studio. S'impegnò nell'affermazione di una cultura improntata ai più autentici valori cattolici, combattendo ogni forma di superstizione e di dogmatismo. Di rilievo fu la battaglia condotta per il rinnovamento del sapere, in sintonia con il razionalismo illuministico del tempo. Dopo aver fatto parte dell'Arcadia con il nome di Lamindo Pritanio, elaborò un progetto di rinnovamento letterario che espose nel trattato Primi disegni della repubblica letteraria d'Italia (1703): alla letteratura di evasione contrappose una letteratura che si avvaleva della "ragione" e del giudizio critico e che, come affermò nel trattato successivo Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti (1708), si fondava sul "buon gusto" (definito come "il conoscere ed il poter giudicare ciò che sia difettoso o imperfetto o mediocre nelle scienze e nelle arti, per guardarsene, e ciò che sia il meglio e il perfetto per seguirlo a tutto potere"). Fu un grande storiografo, studiò in particolare il Medioevo, che rivalutò, dando inizio alla storiografia moderna su basi scientifiche. Frutti di questi studi sono le fondamentali raccolte di fonti cronachistiche Rerum Italicarum scriptores (1723-38), Antiquitates Italicae Medii Aevi (1738-42) e gli Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1749 (1744-49).

 

Pensatori laici: Maffei e Conti

Dalla nobiltà veneta vengono due pensatori originali, testimoni di un forte laicismo.
Scipione Maffei (1675-1755) nel saggio Della scienza cavalleresca (1710) accusa la nobiltà contemporanea, incapace di assumersi una razionale e concreta responsabilità di potere. Il "Giornale de' letterati d'Italia" (1710-40; ma solo fino al 1718 è diretto da Maffei e da Antonio Vallisnieri) è un ulteriore tentativo di proporre una "universalità di cognizione" per formare il nuovo uomo politico. Notevole il suo tentativo di rinnovamento teatrale: la sua Merope (1713) è una grande prova di tragedia colta ed erudita, certo raffinata e provvista di buona disposizione scenica.

Antonio Conti (1677-1749) visse a Padova, dove studiò matematica e fisica, a Venezia e poi a Parigi e a Londra. Ebbe molteplici interessi e si cimentò in traduzioni (Il riccio rapito dell'inglese Pope), in testi teatrali (le tragedie Cesare, Giunio Bruto, Marco Bruto, Druso) e in scritti filosofici spregiudicati (Prose e poesie, 1739-56), in cui tentò di conciliare la scienza contemporanea e il platonismo.

 

Pietro Giannone

La cultura napoletana mostra una certa vivacità sia per il lavoro dell'Accademia degli Investiganti (operante soprattutto fra il 1663 e il 1670), sia per la diffusione del grande dibattito sul giusnaturalismo, la dottrina che riconosce l'esistenza di un diritto naturale preesistente alla formazione dello Stato. Pietro Giannone (1676-1748) è una grandissima figura della cultura napoletana. Legato alla migliore cultura giusnaturalistica, scrisse la Istoria civile del Regno di Napoli (1723), in cui indaga l'origine del potere civile ed ecclesiastico nel Meridione a partire dal Medioevo. Ne deriva una storia laica delle istituzioni, attraverso l'analisi della formazione degli istituti civili e la conseguente denuncia degli abusi del potere temporale della Chiesa. Scomunicato per il suo anticlericalismo, fu arrestato (1736) e morì in prigione. Nei manoscritti del carcere (stampati solo nel 1755) troviamo il Triregno (stampata integralmente solo nel 1895), in cui Giannone vagheggia un cristianesimo "corporeo", radicato e vissuto nelle condizioni reali dell'esistenza. Il suo pensiero ebbe grande influenza sull'illuminismo italiano. Il capolavoro resta comunque l'autobiografia Vita di Pietro Giannone (scritta in carcere dal 1736 al 1737, ma pubblicata solo nel 1905), che racconta la storia tragica di un intellettuale e, in filigrana, il naufragio della cultura laica italiana, che non sa reagire alla sordità del potere. Il racconto è travolgente, con pagine tenerissime e commoventi: sorprendente la lucidità e la consapevolezza con cui Giannone descrive la propria tragedia esistenziale.

Giambattista Vico

Il suo capolavoro esce in prima edizione nel 1725 con il titolo Principi di una scienza nuova d'intorno alla natura delle nazioni (1725); la seconda, ampiamente rielaborata e arricchita, è intitolata Cinque libri dei principi di una scienza nuova (1730); la terza e definitiva edizione, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte, comparve con il nome di Principi di scienza nuova (1744). Notevole l'orazione In morte di donn'Angela Cimmino marchesa della Petrella (1727), in cui lo scrittore delinea un modello altissimo di "virtù privata". Il filosofo visse sempre fra molti disagi economici.

 

Il pensiero vichiano

Al centro della Scienza nuova vi è l'affermazione che solo la storia (e non la natura) può essere indagata e conosciuta adeguatamente dall'uomo, poiché solo ciò che si fa si può davvero conoscere. Il sapere storico deve tener conto degli inganni umani: anche i miti, più che semplici "imposture", devono essere considerati gli unici modi possibili di conoscenza e di organizzazione civile. La "critica" deve saper comprendere questa complessità e fondarsi sulla "filosofia" (il "vero") e sulla "filologia" (il "certo"); e deve dimostrare il lento progresso della civiltà umana attraverso l'analisi delle forme di "dominio" sulla debolezza. La celebre "discoverta del vero Omero" (l'antico poeta greco non è mai esistito come figura storica e i poemi che a lui vengono attribuiti sono in realtà la produzione collettiva del popolo greco) non è una generica esaltazione sacrale della poesia, bensì la concreta definizione di un modello storico. Del resto, per Vico la vita dei popoli si svolge in tre fasi dominate rispettivamente dal senso (infanzia, ovvero età degli dei), dalla fantasia (fanciullezza, ovvero età degli eroi) e dalla ragione (maturità, ovvero età degli uomini). Il passaggio da una fase all'altra della storia non è lineare e soprattutto né razionale né cosciente, ma può conoscere dei ritorni, delle ripetizioni (i "ricorsi" storici). L'irrazionalità, l'istinto, il mito, la fantasia, gli elementi che stanno all'origine della storia (contro una tesi di sapienza perduta) sono dati che ricorrono e di cui lo storico deve tener conto quali modelli culturali.

Il melodramma e Metastasio

La lingua italiana era ancora molto diffusa in Europa grazie soprattutto al melodramma e ai libretti, che ne costituivano l'elemento narrativo. La scrittura, distinta in recitativi (l'azione e il dialogo vero e proprio) e arie (situazioni più liriche e musicali), esaltava il valore spettacolare e fantasioso del testo scenico. La reazione razionalistica, interessata ai valori morali e comunicativi della parola, criticava il melodramma tacciandolo di artificio e di grossolanità espressiva rispetto alle esigenze dello spettacolo e della musica. Ne chiedeva dunque una riforma, per quanto il melodramma continuasse a riscuotere un enorme successo. D'altra parte, né le varie condanne (fra le migliori, quelle del Gravina e del Muratori), né la satira del mondo della musica e dello spettacolo (per esempio, Il teatro alla moda, 1720, di Benedetto Marcello, 1686-1739), avrebbero potuto scalfire una delle forme espressive di maggiore respiro internazionale. Una riforma fu tentata da Apostolo Zeno (1669-1750), poeta ufficiale della corte imperiale di Vienna, e dal librettista Pietro Pariati (1665-1733). Ma solo Metastasio riuscì a esprimere una mediazione per cui la preminenza del libretto sulla musica non riduceva ma forse esaltava il fascino della musica e dello spettacolo. La limpidissima facilità dei suoi testi, la levigatezza di un'analisi psicologica che include sornionamente l'idea di vita come "inganno e finzione", sono prospettive liriche in cui la fragrante chiarezza dello spettacolo musicale settecentesco trova il suo migliore equilibrio.

 

Pietro Metastasio

Il romano Pietro Metastasio (1698-1782), pseudonimo grecizzante di Pietro Trapassi, è il massimo esponente della tradizione italiana arcade e classicheggiante. La sua prima raccolta di Poesie è del 1717 e comprende la tragedia Giustino, scritta a quattordici anni. Scrive poi alcuni testi teatrali destinati alla musica come l'Endimione (1720) e Gli Orti Esperidi (1721). Del 1724 è il suo primo melodramma, Didone abbandonata (1724), che ebbe un successo eccezionale. A Roma, mise in scena diversi melodrammi, tra cui Catone in Utica (1728), Semiramide riconosciuta (1729), Alessandro nell'Indie (1729), Artaserse (1730).

Nel 1730 venne chiamato a Vienna con il titolo di "poeta cesareo" e presso la corte asburgica rimase tutta la vita. Tra il 1730 e il 1740 scrisse le sue opere migliori: i melodrammi Demetrio (1731); Adriano in Siria (1732); Olimpiade e Demofoonte (1733); La clemenza di Tito (1734), musicata da Mozart; Achille in Sciro (1736); Ciro riconosciuto (1736); Attilio Regolo (1740); inoltre le feste teatrali L'asilo d'amore (1732) e Le cinesi (1735), l'azione sacra Betulia liberata (1734) e la canzonetta (musicata dallo stesso poeta) La libertà (1733). Dopo questo decennio d'intensa attività, la produzione andò rallentando, sia per la crisi attraversata dalla corte viennese dopo la guerra di successione austriaca, sia per un progressivo inaridirsi della sua vena poetica, testimoniato anche da una certa ripetitività che caratterizza i lavori successivi, come i melodrammi Antigone (1743), Ipermestra (1744), Il re pastore (1751), L'eroe cinese (1752), Nitteti (1756), Romolo e Ersilia (1765) e Ruggiero (1771) e la festa teatrale L'isola disabitata (1752), oltre alla famosa canzonetta La partenza (1746). Tutte le opere di Metastasio suscitarono l'interesse di numerosi compositori europei (si pensi che l'Artaserse ebbe più di cento versioni musicali). Dopo la metà del secolo il poeta, ormai vecchio, si chiuse progressivamente in se stesso, dedicandosi ai doveri della vita di corte e alla riflessione sulle ragioni del proprio lavoro, che si concretizzarono in due opere di notevole lucidità: La Poetica di Orazio tradotta e commentata (1745) e l'Estratto dell'Arte poetica di Aristotele e considerazioni sulla medesima (1773). L'edizione completa dei suoi drammi fu stampata nel 1780-82.

 

Le caratteristiche del melodramma di Metastasio

Metastasio rinnovò il melodramma, trasformandolo in una dimensione di pura fantasia, dove parole e musica vengono fusi armonicamente. Il tradizionale bagaglio mitologico (si pensi anche agli ottimi risultati di Metastasio nel genere delle "feste teatrali" e delle "azioni sacre") fu vivificato dalla sensibilità settecentesca, fatta di una continua oscillazione tra lucidità razionale e sollecitazioni del sentimento. Metastasio utilizza tutte le risorse della tradizione teatrale per dare valore a quelle motivazioni psicologiche che spesso prendono il posto dell'azione, talvolta macchinosa e artificiale. I suoi eroi si muovono in una dimensione volutamente irreale e trovano la loro massima espressione nelle "ariette" conclusive delle scene, in cui vengono tirate le fila dell'azione, mentre la sfera dei sentimenti viene esplorata in maniera da metterne in risalto le contraddizioni, senza tuttavia trasmettere allo spettatore la drammaticità del conflitto.

 

La librettistica del Settecento

Il melodramma resta vitale per tutto il secolo. Intorno agli anni '30, l'opera buffa napoletana apre a una comicità vivace, nutrita di una spensierata sperimentazione linguistica: l'intermezzo de La serva padrona (1733) di Giovan Battista Pergolesi (1710-1735), con libretto di Gennaro Antonio Federico, diviene a Parigi addirittura il motivo di una complicata discussione, la cosiddetta querelle des bouffons, 1752, in cui gli illuministi si schierano a favore dei "buffoni", ovvero del teatro musicale italiano. Una vera riforma avverrà solo a metà secolo. Metastasio, infatti, esaltando il librettista dava totale libertà al compositore. Occorreva un'integrazione più netta. Quando il musicista tedesco Christoph W. Gluck (1714-1787) e il librettista italiano Ranieri de' Calzabigi si mettono a lavorare in stretto accordo (così che la scrittura del libretto è direttamente legata alla composizione musicale, favorendo uno schema drammatico più ordinato e classico), la riforma è finalmente ottenuta: Orfeo ed Euridice (1762) e Alceste (1767) ne sono le grandi riprove. La maturazione avverrà però più tardi con il lavoro di Mozart e di Lorenzo Da Ponte.

Lorenzo da Ponte (1749-1838) ebbe una vita travagliata, morì a New York in fuga dai suoi creditori. Scrisse per Mozart i libretti di tre opere decisive nella storia della musica, Le nozze di Figaro (1786), Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni (1787) e Così fan tutte ossia la scuola degli amanti (1790). Questi libretti sono meccanismi perfetti di vitalità creatrice, capace però di distruggere spavaldamente tutti i valori culturali (e politici) che il melodramma aveva per decenni custoditi. Dappertutto si sente il brivido della catastrofe imminente: ma anche la bellezza di un vuoto nuovo, di un'armonia fra testo e musica mai sentiti, modernissimi, e ancora sorprendenti per noi, per un pubblico di due secoli dopo.

Un nuovo orizzonte storico in sintesi

L'arcadia La reazione al barocco è rappresentata sul piano poetico dall'Arcadia (1690), che propugna una nuova semplicità razionalistica con un linguaggio chiaro e lineare. Per Gravina la poesia assume una forte comunicatività sociale.
Storiografia Sono l'erudizione, le ricerche di archivio e di repertori la grande novità del pensiero critico settecentesco italiano. Muratori lotta per un rinnovamento del sapere, in una prospettiva già illuministica; Giannone propone una storia laica delle istituzioni; per Vico solo la storia (e non la natura) può essere indagata e conosciuta adeguatamente dall'uomo.
Il melodramma di Metastasio La preminenza assoluta del librettista sulla musica, l'ordine lirico e strutturale della parola scritta non riducono ma esaltano il fascino della musica e dello spettacolo. Il melodramma di Metastasio è pura fantasia, armonia perfetta di parole semplici e limpide e musica.
La librettistica e Da Ponte I libretti di Da Ponte (Le nozze di Figaro, Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, Così fan tutte ossia la scuola degli amanti) sono meccanismi perfetti di vitalità creatrice, capace però di distruggere spavaldamente, quasi per troppa luce, tutti i valori culturali (e politici) che il melodramma aveva per decenni custoditi.

L'illuminismo italiano

L'illuminismo italiano ha come riferimento principale il pensiero illuministico francese di Montesquieu, Voltaire, Rousseau e Diderot, mentre l'illuminismo inglese, in gran parte riconducibile alla filosofia empirista, è conosciuto solo parzialmente e soprattutto attraverso la produzione romanzesca. Non fu mai un fenomeno radicale, né da un punto di vista politico né sotto il profilo filosofico.

Caratteri generali

L'illuminismo italiano fu sempre prudente e mirò principalmente a uno svecchiamento della cultura. Del resto, anche fenomeni culturali non illuministici (la tradizione del riformismo moderato di Muratori; il rigorismo religioso giansenista; persino il gesuitismo, che ambiguamente si fece carico della nuova cultura riformista) sono mossi da intenti riformistici, escludendo qualsiasi atteggiamento eversivo e radicale. I nostri illuministi, nonostante indubbie esitazioni, diedero comunque un contributo interessante al dibattito europeo, arricchendo e giustificando il pensiero laico italiano.

Gli illuministi

Il veneziano Francesco Algarotti (1712-1764) è un esempio notevole di cosmopolitismo illuministico. Grande successo internazionale ebbe il suo Newtonianismo per le dame (1737), un'esposizione salottiera della scienza newtoniana in forma dialogica, dove una marchesa "si converte" dalla fisica di Cartesio a quella di Newton. Le sue Opere varie (1757) trattano diversi argomenti: dal Saggio sopra la pittura o dal Saggio sopra l'opera in musica si passa al Saggio sopra la lingua francese o al Saggio sopra la necessità di scrivere nella propria lingua. Nel Saggio sopra il commercio (1763) Algarotti affronta il problema se le qualità dei popoli dipendano dal clima o dalle legislazioni. Il suo libro più bello restano tuttavia i Viaggi di Russia, composti da otto lettere del 1739 e da altre del 1750-51: vero reportage giornalistico, curioso e intelligente, è scritto in una lingua facile e ordinata. Compose anche il romanzo Congresso di Citera (1745), pervaso da un galante erotismo.

Saverio Bettinelli (1718-1808), mantovano, gesuita, propose una polemica feroce e aggressiva. Le Lettere virgiliane (1757) sono un attacco, nel nome di un classicismo razionale, a quasi tutta la cultura italiana (persino Dante è considerato bizzarro). Anche le altre opere (Lettere inglesi, 1766; Dell'entusiasmo delle belle arti, 1769; Discorso sopra la poesia italiana, 1781; Il Risorgimento d'Italia negli studi, nelle arti e ne' costumi dopo il mille, 1773) presentano una critica aspra, ma spesso capziosa e confusa, non esente da una certa genericità.

Girolamo Tiraboschi (1731-1794), bergamasco, gesuita, è l'autore di un'interessante Storia della letteratura italiana, che segue e in qualche modo sintetizza altre storie letterarie precedenti.

 

Giuseppe Baretti

Giuseppe Baretti (1719-1789), torinese, è invece un esempio più concreto di lavoro intellettuale interessato davvero alla formazione di una cultura comune. Raccolse in Piacevoli poesie (1750) i versi ispirati a F. Berni e al suo spirito comico-polemico. Fra il 1751 e il 1760 trascorse un primo periodo in Inghilterra. Risale a questa fase l'amicizia con lo scrittore inglese Samuel Johnson, che lo spinse ad approfondire lo studio della lingua e della letteratura inglese (pubblicò persino un Dizionario italiano-inglese, 1760). Tornato in Italia attraverso il Portogallo, la Spagna e la Francia, lasciò una vivace testimonianza di quei paesi nelle Lettere familiari a' suoi tre fratelli, pubblicate nel 1770 e tradotte anche in inglese. Fra il 1762 e il 1765 fu ancora a Venezia, e lì pubblicò la rivista "Frusta letteraria" (1763-65), sulle cui pagine ­ sotto le spoglie di un personaggio fittizio, Aristarco Scannabue, militare in pensione ­ prese di mira con una violenta polemica il "flagello dei cattivi libri", che venivano pubblicati in Italia. Aristarco, che usa un linguaggio forte e corposo ricorrendo al ridicolo e all'assurdo, esprime così il suo drastico giudizio su molta letteratura contemporanea. Umorale e aggressivo (rifiutò persino Goldoni), incarna la figura del "critico militante", per lui la letteratura non è un'operazione salottiera e distaccata dalla concretezza della vita, bensì una comunicazione forte, votata a negare la pedanteria e le convenzioni (convenzionale gli sembrò addirittura l'intento programmatico dell'illuminismo). Dal 1766 fu ancora in Inghilterra, che non abbandonò più, se si escludono due brevi soggiorni in Spagna e in Italia. Risale a questo periodo il Discours sur Shakespeare et Monsieur de Voltaire (Discorso su Shakespeare e Voltaire, 1776), con il quale difende lo scrittore inglese dalle critiche di Voltaire (che pure lo aveva introdotto in Francia), agevolando la diffusione europea di Shakespeare nel XVIII secolo.

 

Genovesi, Galiani e l'illuminismo meridionale

Il sacerdote Antonio Genovesi (1713-1769) è, insieme a Galiani, la grande figura dell'illuminismo meridionale. Frequentò Vico; dal 1641 ebbe la cattedra di metafisica all'università di Napoli, e dal 1754 la cattedra di "meccanica e commercio". Propose un liberismo moderato, che criticava i privilegi feudali e il protezionismo (celebri le Lezioni di commercio, tenute nel 1757-58 e pubblicate fra il 1765 e il 1767). Per difendersi dalle critiche ecclesiastiche, compose le Lettere ad un amico provinciale (1759). Pubblicò saggi filosofici (Diossina, o filosofia dell'onesto e del giusto, 1766-77) e testi di pedagogia. Sostenne l'utilità sociale delle lettere (Vero fine delle lettere e delle scienze, 1753). Lasciò anche un'interessante autobiografia Vita di Antonio Genovesi (scritta prima del 1760, ma pubblicata postuma nel 1924).

L'abate abruzzese Ferdinando Galiani (1728-1787) ebbe un notevole successo con il trattato Della moneta (1751), in cui sottolineò la moderna concezione del valore simbolico del danaro. Entrato nell'amministrazione borbonica, fu inviato a Parigi in qualità di segretario dell'ambasciata napoletana. Pubblicò in francese Dialoghi sul commercio dei grani (1770), in cui contrasta le teorie economiche fisiocratiche, che sostenevano la centralità dell'agricoltura e del libero commercio dei prodotti agricoli. Rientrato a Napoli, rivestì importanti cariche pubbliche. Mostrò molteplici interessi. Scrisse il Trattato in difesa del dialetto napoletano (1779), il Vocabolario delle parole del dialetto napoletano (1789, postumo), il trattato politico De' doveri dei principi neutrali verso i principi belligeranti e di questi verso i neutrali (1782, postumo). Il suo conservatorismo amaro e sprezzante, la prosa sempre nervosa e chiara conferiscono alla sua opera una notevole lucidità realistica.

Gaetano Filangieri (1753-1788) scrisse La scienza della legislazione (a partire dal 1780), opera di grandissimo impegno e intelligenza sul carattere razionale della legislazione.

Francesco Mario Pagano (1748-1799) coi suoi Saggi politici (pubblicati dal 1783 al 1785) analizzò con passione e intelligenza, rifacendosi a Vico, le origini storiche dell'oppressione.

L'illuminismo italiano in sintesi

Caratteri generali L'illuminismo italiano ha come riferimento principale il pensiero francese, anche se rimane un fenomeno prudente e mai radicale.
Gli illuministi Algarotti fu un buon divulgatore delle scienze (Newtonianismo per le dame). Baretti propugnò con notevole vis polemica (la "Frusta letteraria") la letteratura come comunicazione forte, votata a negare la pedanteria e le convenzioni. Genovesi e Galiani propugnarono un liberismo concreto e furono importanti esponenti del pensiero economico settecentesco.

Neoclassici e preromantici

L'illuminismo è di per sé una reazione radicale alla cultura ridondante del barocco. Come tale può accettare la "classicità" solo in quanto esempio di ordine e di armonia: cioè quale incontro di natura e ragione. Da questo punto di vista, l'illuminismo tende a reagire persino all'Arcadia, troppo spesso retorica e superficiale nei contenuti. La classicità, insomma, è accettabile nel momento in cui si offre come una testimonianza eroica e concreta di vita civile.

Il neoclassicismo

Un'immagine essenziale di grecità e romanità viene cercata nell'ambito delle arti visive: gli scavi di Ercolano (1738) e di Pompei (1748), la stessa nascita dell'archeologia diventano le occasioni per un forte ritorno del gusto classico. Un'opera di sintesi è quella del tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717-1768): i suoi Pensieri sull'imitazione dell'arte greca nella pittura e nella scultura (1755) e soprattutto la Storia dell'arte antica (1764) formulano i concetti cardine del neoclassicismo: una bellezza pura, armonica, razionale quanto nostalgica, in cui la "nobile semplicità e quieta grandezza" diventa il senso di passioni che non vengono mai espresse direttamente, ma sono lasciate intendere attraverso la compostezza e la luminosità della forma. L'arrivo di Winckelmann a Roma (1755) è un momento essenziale per il classicismo italiano. Altri autori hanno determinato il neoclassicismo: tra questi, il tedesco Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), con il saggio Laocoonte o dei confini tra pittura e poesia (1766). I pittori Anton Raphael Mengs (1728-1779) e Giambattista Piranesi (1720-1778) sono i promotori di un nuovo ideale di bellezza, definitivamente moderno (cioè razionale, oggettivo e civile), ma sensibile alle imitazioni dell'antichità, come se solo nella purezza della natura, testimoniata dagli antichi, si ritrovasse la fonte del bello e del razionale. Il neoclassicismo europeo produsse grandi risultati in ambito architettonico e urbanistico ­ nella scultura, specialmente con Antonio Canova, nella pittura con Jacques Louis David ­diventando l'arte ufficiale della rivoluzione francese e soprattutto dell'impero napoleonico.

 

Il neoclassicismo letterario

La diffusione del neoclassicismo letterario fu vasta e articolata, spesso alimentando condizioni culturali complesse e apparentemente opposte (come il preromanticismo). È il caso tedesco e inglese: Hölderlin, Schiller, per molti aspetti Goethe, o gli inglesi Shelley e Keats sono i grandi protagonisti di un neoclassicismo europeo, sebbene siano al tempo stesso i promotori di una nuova cultura che si radica nel cuore della cultura romantica.

Anche in Italia il neoclassicismo significa tante cose. Innanzi tutto un modello di "stile ufficiale": Parini (quello delle odi Il pericolo, 1787; Il dono, 1790; Il messaggio, 1793) propone una nitidezza formale struggente e nostalgica. C'è poi una fase più dichiaratamente di scuola, che viene condizionata dal dinamismo sorprendente delle vicende politiche di quegli anni; il conservatorismo del papato, le repubbliche napoleoniche, la stagione dell'impero francese e il ritorno austriaco sono vicende di segni opposti che pure chiedono al neoclassicismo un esemplare "grande stile", la possibilità di una rappresentazione artistica. Questo secondo tempo è ben rappresentato, tra fine Settecento e inizio Ottocento, dalla complessità di Monti e di Foscolo. Il neoclassicismo fu per gli italiani anche uno strano campo di prova. In effetti poteva significare sia un avvicinamento all'Europa, sia un modo per "sperimentare" il modello poetico senza dover uscire da un campo di elezione tutto italiano, come appunto la classicità. Anche per questo motivo il neoclassicismo significa per l'Italia "mediazione" culturale, combinazione e ingresso di elementi culturali diversi.

Il preromanticismo

Un fenomeno apparentemente opposto al gusto neoclassico è il cosiddetto preromanticismo. I suoi caratteri principali sono: la moda delle "visioni" dell'aldilà (Friedrich Gottlieb Klopstock, 1724-1803, soprattutto con Il Messia, 1748); la diffusione della poesia "notturna" e sepolcrale (con un forte gusto macabro: Pensieri notturni, 1742-45 di Edward Young, 1683-1765; l'Elegia scritta in un cimitero campestre, 1750, di Thomas Gray, 1716-1771); l'esplosione dei romanzi "gotici", ambientati tra fantasmi e leggende antiche (Il castello di Otranto, 1764, di Horace Walpole, 1717-1797); la nascita di un gusto "primitivo", alla ricerca delle leggende segrete dei celti e dei germani, come nel caso fortunatissimo dei Canti di Ossian (1760), scritti da James Macpherson, il quale finse di aver trovato e poi tradotto frammenti di antichi canti epici celtici, opera del bardo Ossian. Il gusto preromantico è portatore anche di un nuovo sentimento della natura: i contenuti fantastici preromantici finiscono per trovare punti in comune anche con un maestro illuministico dell'"individualità" e del "sentimentale", Jean-Jacques Rousseau (1712-1778). Il preromanticismo ha la sua più forte espressione nel movimento tedesco dello Sturm und Drang (tempesta e assalto), che rivendica lo spirito come la forza naturale del "popolo", e che ha avuto in Johann Gottfried Herder (1744-1803) il suo maggiore esponente. In questo clima Wolfgang Goethe (1749-1832) scrive il suo capolavoro di sintesi sentimentale e preromantica I dolori del giovane Werther (1774), base poi di altre opere su cui Goethe fonderà una nuova visione classica e insieme romantica della letteratura.

 

Il preromanticismo italiano

In Italia l'esempio più alto di "mediazione" culturale è offerto dal lavoro di Melchiorre Cesarotti (1730-1808). Notevole la sua traduzione delle Poesie di Ossian figlio di Fingal, antico poeta celtico (1763, 1772). Nella traduzione, Cesarotti si avvale d'un linguaggio poetico che recupera modelli della poesia latina insieme a cadenze della poesia popolare, creando una versificazione mossa e vibrante, al di là degli schemi dell'ancora dominante petrarchismo e delle soluzioni linguistiche puriste. Nel 1772 tradusse l'Elegia del cimitero campestre di Thomas Gray e l'Iliade, di cui fece una versione in prosa. Entrato nel 1785 nell'Accademia dell'Arcadia, pubblicò due opere sull'estetica e sul problema della lingua, che rappresentano il risultato più significativo dell'illuminismo italiano d'ispirazione sensistica: il Saggio sulla filosofia del gusto (1785) e il Saggio sopra la lingua italiana (1785).

Anche Alessandro Verri, dopo la prima stagione illuministica, offrì un esempio di mediazione. Trasferitosi a Roma (1767), comincia a scrivere romanzi neoclassici, pur con un forte gusto delle "rovine" e del mistero (Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene, 1782; Notti romane al sepolcro degli Scipioni, 1792 e 1804; La vita di Erostrato, 1815). Un altro scrittore come Aurelio Bertola De' Giorgi (1753-1798) scrive "notturni", pur se in un luminoso gusto neoclassico (Viaggio nel Reno e ne' suoi contorni, 1795; le Notti Clementine, 1775). Anche Alfonso Varano (1705-1788) riprende i toni biblici e danteschi delle "visioni" (soprattutto con le Visioni morali e sacre, 1749-66), offrendo in tono minore l'idea di piccolo laboratorio delle forme tipico della poesia italiana di fine Settecento.

Neoclassici e preromantici in sintesi

Neoclassicismo Il teorico è J.J. Winckelmann; i cardini neoclassici sono una bellezza pura, armonica, razionale quanto nostalgica, in cui riemerga la "nobile semplicità e quieta grandezza". Il neoclassicismo italiano è soprattutto un modello di "stile ufficiale". Il rappresentante maggiore è Monti.
Preromanticismo europeo I suoi caratteri principali: la moda delle "visioni" dell'aldilà (F.G. Klopstock); la diffusione della poesia "notturna" e sepolcrale (E. Young e T. Gray); l'esplosione dei romanzi "gotici", ambientati tra fantasmi e leggende antiche (H. Walpole); la nascita di un gusto "primitivo", alla ricerca delle leggende segrete dei celti e dei germani (i Canti di Ossian, scritti da James Macpherson).
Preromanticismo italiano Un gusto per il "notturno" e le "visioni" è presente anche in composizioni di misura neoclassica. Notevoli le traduzioni da Ossian di Melchiorre Cesarotti; il gusto delle "rovine" e del mistero di Alessandro Verri, Aurelio Bertola De' Giorgi e Alfonso Varano.