Cesare

Cesare scrittore

Delle opere di Cesare sono giunti completi i Commentarii de bello gallico (La guerra gallica), i Commentarii de bello civili (La guerra civile), un acuto epigramma in 6 versi sul commediografo Terenzio: una parte, dunque, della vasta attività di scrittore.

Delle numerose Epistulae di Cesare, riunite e pubblicate dopo la sua morte, rimangono solo sette lettere contenute nell'epistolario di Cicerone; sono giunti i titoli di alcune raccolte: Al senato, A Cicerone, Ai familiari, A G. Oppio, a C. Balbo.

Restano scarsissimi frammenti e alcuni titoli delle sue orazioni, ammiratissime dai contemporanei, come Cicerone, e dai posteri, come Quintiliano e Tacito; probabilmente fu un atticista, ma da ciò che è rimasto è difficile poterlo dire con sicurezza.

Rari sono anche i frammenti del trattato grammaticale sui problemi di lingua e di stile il De analogia (Sulla analogia), in due libri scritti durante la campagna di Gallia (54) e dedicato a Cicerone. Nel dibattito sulla lingua latina tra i sostenitori dell'analogia, cioè del purismo con la regolarità degli schemi grammaticali, e quelli dell'anomalia, cioè della libertà di espressione, si schierò dalla parte dei primi. Sono perdute tutte le altre sue opere letterarie: l'Anticato (Anticatone) del 45, in due libri, era una critica alla figura di quel Catone l'Uticense che Cicerone aveva celebrato come ultimo "eroe della libertà" e di cui Cesare invece contestò gli atteggiamenti e persino la scelta etica del suicidio. In versi erano il poemetto Iter (Il viaggio, del 46), che aveva per tema il viaggio di Cesare da Roma alla Spagna contro i pompeiani; le giovanili Laudes Herculis (Lodi di Ercole) e la tragedia Oedipus (Edipo); il De Astris (Le stelle) doveva essere un trattato di astronomia, forse legato alla riforma del calendario.

I commentarii come genere storiografico

Il termine commentarii significava propriamente "appunti, promemoria" e indicava un genere minore di narrazione, intesa come nuda registrazione di notizie personali, di dati destinati a essere rielaborati da altri nella forma più completa e artistica, propria del genere storiografico. Cicerone, Silla e tanti altri personaggi avevano redatto dei commentarii sul loro consolato.

Cesare era ben consapevole del grande valore artistico delle sue due opere di storia e forse le aveva così chiamate per falsa modestia. D'altra parte con il titolo di commentarii voleva sottolineare il suo atteggiamento di storico che raccontava e interpretava cioè solo le vicende a cui aveva partecipato, senza sovrabbondanze ed espedienti retorici per renderle più attraenti. Cicerone stesso, che pur non aveva simpatia per Cesare, escluse che qualsiasi altro potesse mai intervenire su un'opera di ineguagliabile semplicità.

Commentarii de bello gallico

La guerra gallica è formata da 7 libri, ciascuno dei quali tratta le vicende di un anno di guerra che portò sotto il dominio di Roma un'altra importante provincia (58-52). Il titolo originale dell'opera era probabilmente G. Iulii Caesaris commentarii rerum gestarum, completato dal sottotitolo "belli gallici". Secondo la testimonianza del luogotenente Aulo Irzio, sono stati composti da Cesare nell'inverno del 52-51, e il 51 è anche l'anno di pubblicazione.

Commentarii de bello civili

La guerra civile è formata da 3 libri che trattano gli avvenimenti degli anni 49 e 48 a.C., dal passaggio del Rubicone all'inizio della guerra alessandrina e alla morte di Pompeo. Il titolo dell'opera era probabilmente G. Iulii Caesaris commentarii rerum gestarum, completato dal sottotitolo belli civilis. Incerti sono sia il periodo di composizione sia quello di pubblicazione.