Altre vie musicali tra formalismo ed eclettismo

Sia la robusta ricerca formale di matrice dodecafonica, sia l'invenzione più aperta e l'applicazione più innovativa trovano espressione nel Novecento, e talora convivono con esiti di felice sovrapposizione fra gli stili e le tecniche, anche presso autori dei quali si riconosce indubbiamente la notevole statura artistico-musicale, ma che in un qualche modo non vengono sempre affiancati ai grandi capiscuola. Vediamone qualche esempio.

La caratterizzazione dell'oggetto musicale:
Elliott Carter

In gran parte autodidatta, lo statunitense Elliott Carter (New York 1908) fu introdotto alla musica da C. Ives. Dopo le lauree in letteratura inglese e in musica all'università di Harvard, dal 1932 al 1935 studiò a Parigi con N. Boulanger. Rientrato negli Stati Uniti, dal 1940 insegnò greco e matematica e poi musica nelle più importanti scuole e università americane.

Dopo aver subito l'influenza di I. Stravinskij (musica per i balletti Pocahontas, 1939, e The Minotaur, 1947), Carter trovò il "suo" linguaggio, caratterizzato da una densità di scrittura ottenuta con la "sovrapposizione di caratteri contrastanti". Tra i primi lavori in questa direzione troviamo la Sonata per pianoforte (1946, revisione 1982), la Sonata per violoncello e pianoforte (1948), 8 Studi e una Fantasia per quartetto di fiati (1949, revisione 1966), il Quartetto n. 1 per archi (1951) e le Variazioni per orchestra (1955).

Nella produzione successiva Carter ha affinato questa matrice compositiva, raggiungendo esiti di notevole vigore linguistico e solidità formale: sono da ricordare almeno i Quartetti nn. 2-4 (1959-86), i Concerti per uno o due strumenti soli e orchestra (1961-90), la Sinfonia per 3 orchestre (1976), le Night Fantasies per pianoforte (1980) e la Partita per pianoforte, arpa e archi (1993). Da segnalare un omaggio a G. Petrassi per l'80° compleanno, Riconoscenza per violino solo (1984), e a I. Calvino, Con leggerezza per clarinetto, violino e violoncello (1990). In ambito vocale Carter musicò, fra gli altri, versi di W. Whitman (1943) e di poeti greci (Syringa, 1978); inoltre, ha scritto molti saggi sulla musica e su musicisti contemporanei.

Nino Rota: scrivere per il cinema e il teatro

Allievo di I. Pizzetti, Nino Rota (Milano 1911 - Roma 1979) dal 1950 diresse il conservatorio di Bari. La sua facilità di vena, inserita in prospettive tradizionali, era sorretta da un sicuro mestiere. Col dopoguerra diventò uno dei più prolifici e richiesti compositori di cinema, fornendo partiture a registi italiani (M. Soldati, A. Lattuada, R. Castellani, M. Monicelli, L. Visconti, F. Zeffirelli, L. Wertmüller) e stranieri (K. Vidor, R. Clément, S. Bondaruk, F.F. Coppola). Ma soprattutto con F. Fellini stabilì una collaborazione congeniale e ininterrotta (dallo Sceicco bianco, 1952, a Prova d'orchestra, 1978), culminata in Otto e mezzo, per cui vinse un Nastro d'argento della critica italiana (altri ne ottenne per Guerra e pace, 1957, Le notti bianche, 1958, Romeo e Giulietta, 1969). Con la musica del Padrino, ricalcata su una sua precedente (Fortunella, 1958), conquistò nel 1973 anche un premio Oscar.

Vasta fu anche la sua produzione teatrale (Ariodante, 1942; Il cappello di paglia di Firenze, 1955; La notte di un nevrastenico, 1959; Aladino e la lampada magica, 1968; La visita meravigliosa, 1970) e strumentale (Concerto per arpa e orchestra, 1948; Variazioni sopra un tema gioviale, 1953; Concerto per orchestra, 1958; Napoli milionaria, 1977, dal testo di E. De Filippo).

Benjamin Britten: ecletticità e duttilità

Allievo di J.N. Ireland, Benjamin Britten (Lowestoft, Suffolk 1913 - Aldeburgh 1976) fu negli Stati Uniti dal 1939 al 1942; quindi si stabilì ad Aldeburgh e si dedicò intensamente alla composizione, affermandosi con l'opera Peter Grimes (Londra, 1945) come il maggior musicista inglese del XX secolo. Diresse la Glyndebourne Opera Company, trasformata dal 1947 nell'English Opera Group; come pianista compì diverse tournée con il tenore P. Pears.

Saldamente ancorato alla tradizione tonale, Britten aveva già scritto deliziose pagine di musica quando contava neppure vent'anni: e già allora si era rivelata la chiara e nitida articolazione del suono che sarà poi una delle caratteristiche più specifiche del compositore britannico e che dimostra un'estrema facilità inventiva e costruttiva, naturalezza e spontaneità invidiabili, un gusto ingenuo e malizioso insieme, il carattere ancora borghese e salottiero della sua concezione. Ecletticamente disponibile alle influenze stilistiche più diverse, da G. Verdi a G. Puccini, alla tradizione inglese, dal sinfonismo tedesco tardo-ottocentesco ad A. Berg e I. Stravinskij, nelle opere maggiori tali influenze si fondono in un linguaggio suggestivo e originale, sempre elegante.

I lavori più riusciti sono quelli teatrali, soprattutto Billy Budd (1951), Il giro di vite (1954), forse il suo capolavoro, e Morte a Venezia (1973); mentre una menzione particolare merita l'oratorio War Requiem (1962).

Compose molta musica sinfonica, corale e da camera, dal tono prevalentemente elegiaco e dimesso e dominata da intimismo e da raffinatezza nella scelta dei materiali timbrici. Si ricordano: le brillanti Variazioni su un tema di F. Bridge (1937), Les illuminations (1939, da A. Rimbaud), la Missa brevis (1959), i 3 quartetti per archi e le 3 suite per violoncello solo.

L'"aleatorietà controllata" di Witold Lutoslawski

Il polacco Witold Lutoslawski (Varsavia 1913-1994) studiò violino, pianoforte e composizione al conservatorio di Varsavia e si affermò poi insieme con K. Penderecki come il più importante compositore polacco dopo l'era di K. Szymanowski.

Nelle sue composizioni ripensò l'esperienza stilistica di B. Bartók e il suo rapporto con la musica popolare alla luce delle più avanzate acquisizioni dell'avanguardia, subendo, fra l'altro, l'influenza della concezione aleatoria della musica elaborata da Cage (v. a p. 290-291). Fra le opere più note si ricordano il Concerto per orchestra (1954), la Musica funebre per archi alla memoria di B. Bartók (1958), i Trois poèmes d'Henry Michaux per coro e orchestra (1963), il Livre pour orchestre (1967), Les espaces du sommeil per baritono e orchestra (1975), il Doppio concerto per oboe e arpa (1980), le 4 sinfonie (1947, 1967, 1983 e 1992), il Quinto concerto per pianoforte (1988), Chantefleurs et Chantefables per soprano e orchestra (1991).