dinastìa

sf. [sec. XVI; dal greco dynastéia, potere, signoria]. Successione continua di sovrani di una stessa famiglia (anche di ramo collaterale) nel governo di uno stesso Paese (ma anche di Paesi diversi). Per estensione, successione di persone della stessa famiglia che hanno avuto una posizione preminente in un dato campo, specialmente economico: la dinastia dei Krupp. § Nel Medioevo il termine “dinasta” indicò i nobili la cui famiglia esercitava ininterrottamente da generazioni l'autorità comitale, per cui la carica poteva considerarsi ereditaria. Sulla dinastia si costruì nel tempo una dottrina del diritto dinastico, prevalente sulla fine del sec. XVIII e agli inizi del XIX. In base a essa si pretendeva che la norma oggettiva, da cui il singolo sovrano traeva il diritto soggettivo al trono, riposasse interamente sul diritto dinastico (della famiglia a cui il principe apparteneva). La dottrina trovò ferventi sostenitori fra i giuristi tedeschi, i quali affermarono che essa valeva anche nel caso in cui il sovrano avesse accettato una nuova costituzione, in quanto i limiti imposti alla sua azione figuravano come liberamente accettati e si riferivano soltanto ad alcuni settori della sua attività, senza peraltro toccare la sostanza del suo potere. In Italia la successione al trono della famiglia sabauda era considerata trasmissibile come qualsiasi altro patrimonio familiare e come tale entrò anche nello Statuto Albertino (1848).

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