I popoli incontattati e il loro diritto a restare invisibili

Sopravvivono ai margini delle mappe, nelle pieghe della foresta o tra le cime più impervie. Ma sono vulnerabili, fragili di fronte a un mondo che li osserva da satellite e li minaccia con ruspe, virus e interessi economici. A loro, oggi, serve solo una cosa: che li si lascino in pace
Vivono in terre remote rifiutando ogni contatto, e custodiscono segreti millenari: sono i popoli incontattati, testimoni di un’altra possibilità di vita, di un’esistenza che non chiede aiuto o integrazione, ma solo rispetto per la propria scelta, per il proprio diritto all’invisibilità. Soprattutto hanno bisogno che nessuno li cerchi.
Si stima che oggi esistano più di 100 diversi popoli incontattati sparsi dall'Amazzonia all'Indonesia, dall'Oceano Indiano alla foresta del Chaco. Questi gruppi non sono arretrati o bloccati nel passato: sono società contemporanee, che vivono secondo modelli propri, autosufficienti e sostenibili, e che scelgono consapevolmente l’isolamento per sopravvivere.
In molti casi, quando percepiscono intrusioni esterne, reagiscono erigendo barriere simboliche, lanciando frecce o segnali acustici per avvertire di non entrare. Altri si spostano più in profondità nella foresta, o costruiscono trappole per difendere il proprio territorio. La loro invisibilità è frutto di precise decisioni culturali, è autodeterminazione nonché una precisa strategia di autodifesa: contattarli significa violare un equilibrio millenario, mentre, al contrario, difendere il loro diritto all’isolamento significa difendere la diversità culturale, la biodiversità, la giustizia. Lasciarli in pace non vuol dire abbandonarli, ma è l’unico modo per salvarli.
Popoli incontattati: l'incontro che uccide
Per la maggior parte delle persone, un’influenza o un raffreddore è solo un fastidio passeggero, ma per un popolo incontattato può essere una condanna a morte collettiva. I sistemi immunitari di queste popolazioni non sono mai stati esposti a virus e batteri comuni nel mondo esterno: non hanno sviluppato difese contro le infezioni più banali. Quando un esterno entra nella loro foresta, porta con sé non solo tecnologia o linguaggio, ma anche microbi invisibili che agiscono con violenza silenziosa.
Le testimonianze raccolte da Survival International – movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni e tribali - raccontano una realtà scioccante: I Murunahua del Perù, contattati negli anni ‘90 da taglialegna illegali di mogano, persero oltre la metà della popolazione in poche settimane. I superstiti raccontano di febbri altissime, piaghe, e della totale assenza di rimedi efficaci.
I Nahua, sempre in Perù, furono sterminati negli anni ’80 quando iniziò l’esplorazione pertrolifera della loro terra. In breve tempo, il gruppo fu decimato da infezioni respiratorie e intestinali mai viste prima.
Gli Akuntsu, colpiti da attacchi armati e contatti forzati, da parte di allevatori che avevano occupato la loro terra, massacrando tutti i membri della tribù e raso al suolo le loro case con i bulldozer. Gli Akuntsu sopravvissuti sono solo in cinque: uno di loro porta ancora un proiettile nella schiena. Oltre alla violenza fisica, ciò che li ha distrutti è stata l’ondata di malattie per cui non avevano alcuna resistenza.
Gli Awá del Maranhão (Brasile) – definiti “la tribù più minacciata del pianeta” – hanno subito un assedio spietato. Negli anni ‘80, il tentativo del governo brasiliano di stabilire un contatto, sebbene motivato da intenti protettivi, si trasformò in tragedia: malattie comuni come influenza e malaria, trasmesse dagli esterni, sterminarono intere famiglie. In una sola comunità, da 91 individui ne sopravvissero appena 25 in quattro anni. Oggi, ne restano meno di 100 in totale isolamento, sopravvissuti a una lunga storia di traumi.
Ogni storia ha lo stesso schema tragico: un primo contatto non richiesto, un’esplosione di sintomi mai sperimentati, e una morte che arriva rapidamente, senza cure e senza spiegazioni. Un trauma simile, per una comunità già numericamente fragile, significa anche la perdita irreversibile della lingua, delle storie, dei canti e delle tecniche di sopravvivenza tramandate per generazioni. In questo senso, il contatto non è mai neutro: è sempre un’invasione, anche se animata da buone intenzioni. E spesso è il primo passo verso la fine.
Foreste invase, territori assediati
Le foreste non sono semplicemente il luogo fisico in cui i popoli incontattati vivono e si muovono: sono il loro unico universo. Un mondo complesso fatto di relazioni tra piante, animali e stagioni, di conoscenze ancestrali di piante medicinali, traiettorie degli animali, bilanci tra caccia e raccolta.
Questa rete di legami definisce i loro ritmi di vita, le loro abitudini millenarie, la loro cultura.
In quest’ottica è facile capire come ogni azione umana che modifica le loro foreste – dal taglio di un singolo albero alla creazione di grandi strade – rappresenta una frattura tra questi popoli ed il loro universo. I territori incontattati purtroppo sono oggi sotto assedio:
- In Brasile, i già citati Awá si ritrovano circondati da coltivazioni intensive, allevamenti bovini e taglialegna illegali che avanzano freneticamente nel loro mondo vitale. La terra ancestrale della tribù si sta restringendo sotto i colpi di un’avanzata distruttiva e sistematica: nel 2009, il territorio Awá ha registrato il più alto tasso di deforestazione tra tutte le aree indigene dell’Amazzonia. Nonostante una campagna durata vent’anni, culminata nel 2003 con la demarcazione ufficiale del loro territorio da parte del governo brasiliano, gli Awá continuano a vivere in un contesto di costante minaccia.
- In Perù, i Mashco-Piro - il popolo incontattato più numeroso al mondo composto da oltre 750 persone - vengono spinti verso le rive dei fiumi da strade realizzate da concessionarie del legno: negli ultimi anni hanno iniziato ad arrivare di fronte alle comunità stanziali degli Yine, un popolo contattato con cui sono imparentati ma il cui contatto rimane comunque pericoloso per via delle epidemie. Sono alla ricerca di cibo e provviste: a volte prendono banane e yucca negli orti degli Yine, o chiedono loro machete e pentole. Molti Yine piantano un orto in più – un "chacra" – ai margini del loro villaggio dove i Mashco-Piro possono servirsi del cibo, per poi scomparire di nuovo nella foresta.
- In Indonesia, a Halmahera, gli Hongana Manyawa vivono assediati a causa dello sfruttamento del nichel, destinato ai mercati globali delle batterie per auto elettriche. Questi progetti industriali stanno distruggendo il tessuto del loro universo, stanno devastando la loro foresta ancestrale, mettendo a rischio la loro sopravvivenza e ignorando completamente che là vivono esseri umani autosufficienti.
- I Piripkura del Mato Grosso (Brasile) hanno visto i loro ultimi due membri sopravvivere grazie alla fuga continua da deforestazione e allevamenti bovini. La deforestazione ha raggiunto il loro territorio, dove sono state costruite strade, recinzioni e persino una pista di atterraggio, per importare centinaia di capi di bestiame. Qui il tasso di deforestazione nel territorio è “esploso” superando il 27.000% in due anni.
Queste invasioni non sono incidenti: sono azioni organizzate, consapevoli e violente. L’accaparramento di terre, la costruzione di strade, gli incendi dolosi, la creazione di pascoli — tutte queste dinamiche non solo distruggono l’ambiente, ma cancellano il senso stesso dell’esistenza di questi popoli. Quando la foresta muore, muore con lei ogni possibilità che questi universi continuino a esistere.
Il contatto forzato non è una soluzione
Nel 2015, uno studio ha proposto un “contatto controllato” come forma di protezione per questi gruppi: ma nella realtà nessun contatto può essere sicuro, perché le conseguenze sanitarie, psicologiche e ambientali sono sempre gravi, come hanno dimostrato in passato, i contatti “volontari” che si sono spesso rivelati traumatici, fatali o manipolati.
Dal 1987, la politica del FUNAI (ente brasiliano per gli affari indigeni) si basa sul non contatto e sulla protezione del territorio. È un cambio di paradigma fondamentale, riconosciuto a livello internazionale, come unica via per la sopravvivenza.
Il diritto all’invisibilità dei popoli incontattati deve essere rispettato, come unica strada da percorrere per la loro sopravvivenza: l’isolamento per loro non è mancanza di civiltà, ma una scelta di vita. Non sono “popoli da salvare”, ma comunità da proteggere nell’unico modo possibile: lasciandoli in pace. Infine è necessario riconoscere il loro diritto alla terra che è ciò che garantisce la sopravvivenza: dove questo diritto è riconosciuto, le comunità incontattate prosperano. Dove è negato, si estinguono.
Paola Greco
Foto di apertura: Foto Gleilson Miranda / Governo do Acre, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons