Storia della pizza: genesi del piatto più amato del mondo

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Questa parola divenuta ormai universale e intraducibile porta con sé una lunga storia. Ma quella che mangiamo oggi è molto diversa dalla pizza nata a Napoli quasi due secoli fa

La storia della pizza è uno degli argomenti più dibattuti del ricettario delle tipicità italiane. Simbolo dell’Italia in tutto il mondo, questa parola è diventata universale, tanto da non richiedere alcuna traduzione. Tuttavia, sull'origine di questa ricetta gli studiosi dibattono ancora benché ci siano alcuni capisaldi sulla sua nascita. Sappiamo, infatti, che la preparazione è nata a Napoli e ha dato vita a un mestiere, quello del pizzaiolo, ai tempi non troppo prestigioso. 

Ma come spiega Luca Cesari, storico della gastronomia e autore del libro Storia della pizza (Il Saggiatore), la pizza che mangiamo oggi non è quella nata a Napoli. Nonostante i maestri partenopei si ostinino a decantarne le autentiche radici nazionale, la ricetta attuale è fiorita in America grazie agli immigrati napoletani che hanno portato il piatto oltreoceano. Lì hanno usato gli ingredienti disponibili, che hanno forgiato l'aspetto e il sapore del piatto oggi amato in tutto il mondo. Quando alcuni migranti hanno deciso di tornare indietro, hanno portato con loro la “nuova” pizza, cambiandone per sempre il destino.

Quindi dove nasce la pizza? Un po' di storia

Uno dei punti centrali è capire dove nasce la pizza. Le sue origini geografiche e storiche ci portano nel Vicino Oriente, ai tempi in cui gli uomini del Neolitico avevano iniziato a cuocere sulla pietra ardente polente di cereali o pane azzimo. Nell'antica Roma si iniziò a mescolare farina di chicchi di frumento con acqua, erbe aromatiche e sale, producendo una focaccia rotonda. Questi dischi di pane erano usati come contenitore di piatti ricchi di sugo.  

Attraverso i secoli quella che i Longobardi chiamavano "bizzo" e la Curia Romana etichettava nel 1300 come "pizis", si arriva all’epoca della pizza “moderna”. Si tratta di pasta per pane cotta in forni a legna, condita con aglio, strutto, sale grosso oppure formaggio oppure pesciolini di piccola taglia. Se c'era del pomodoro, questo era messo a pezzettini, conferendo un aspetto molto diverso dall’attuale “base rossa”. La pizza appariva poco lievitata, alta e bruciacchiata.

Se si dovesse andare a caccia del nome di chi ha inventato la pizza, si farebbe una fatica vana. Ciò che invece, per logica sembra evidente, è che il piatto veniva originariamente preparato da chi aveva accesso all'impasto del pane. Ma nel giro di pochi anni diventa “un'arte” di dominio pubblico.

Chi la mangiava

La pizza era il cibo del popolino, di quelli che potevano mangiare spendendo pochissimo, solo quando riuscivano a lavorare. Cesari, nel suo libro, individua una figura etichettata dai racconti del tempo come "lazzarone", persona sottoimpiegata che viveva a Napoli nel suo momento di massima espansione demografica, cioè fino ai primi del Novecento. Queste persone poverissime mangiavano per strada e non è detto che avessero un tetto sopra la testa. Per questo potevano permettersi solo cibo pronto, venduto per strada, come i maccheroni o la pizza.

La ricetta

Non ci sono fonti scritte che riportino la ricetta originaria della pizza napoletana. I cuochi dell'epoca non erano interessati a codificarla nei propri quaderni e quindi non ne trascrissero la preparazione.

Bisognerà aspettare Amedeo Pettini, cuoco di Carlo Savoia, per avere qualche informazione specifica sulla pizza dell’epoca. Nel 1858 Francesco De Bourcard in Usi e costumi di Napoli e dintorni descritti e dipinti cita una sorta di pizza Margherita ante litteram, con mozzarella e basilico. Il pomodoro è ancora facoltativo. I condimenti? Affidati alla fantasia di chi prepara il piatto. 

La vera storia della pizza margherita

L'invenzione della pizza Margherita rappresenta un altro terreno di acceso dibattito. Infatti, Cesari riporta che nemmeno sulla vera storia della pizza Margherita ci sono fonti che possano dire con certezza chi l'ha inventata.

Documenti dell'epoca (che alcuni ritengono falsi) sono custoditi ed esposti nella Pizzeria Brandi, a Napoli. Sarebbe questa la famiglia chiamata alla corte dei Savoia per realizzare per la prima volta la pizza in onore della regina Margherita. Ma lo studioso sottolinea che ciò non significa che siano stati loro a inventare la famosa ricetta, come questi sostengono, nel 1880.

Del resto, la prima nominazione scritta della pizza Margherita risale al 1930. C’è mezzo secolo di vuoto e alcuni racconti dell'epoca, che riferiscono della volontà della regina di assaggiare la pizza con la neonata, ovvero i piccoli pesciolini raccolti dalle reti, che all'epoca era la ricetta più famosa. Quindi – sembrerebbe – niente pomodoro né mozzarella per la sovrana.

La metamorfosi americana della pizza

Tra Ottocento e Novecento la pizza diventa un cibo comune, capace di valicare i confini nazionali con i migranti napoletani che scelgono di fare fortuna in America.

Quella che mangiamo oggi è infatti una ricetta affinata dai primi immigrati napoletani, che iniziano cucinando le pizze della tradizione partenopea. Mancando il formaggio campano, i pesciolini e il pomodoro fresco, i pizzaioli trapiantati in America fanno quello che possono. Iniziano a condire con ciò che si riusciva a importare. Dall'olio al formaggio filante, passando per il pomodoro in barattolo. Accade che la conserva di pomodoro combinata con questa specie di mozzarella crea la base dell’attuale Margherita, almeno come la si intende oggi.

L'enorme superficie geografica del Paese ospite segna il successo del piatto. Tornati in Italia, i migranti più fortunati presentano la "nuova" pizza, che viene subito fatta propria dai maestri partenopei e consegnata alla storia. Inoltre, dopo la Seconda guerra mondiale la pizza sbarca al nord e, col boom industriale si diffonde tra Milano, Torino e Genova, dove vivono tante famiglie meridionali.

La storia della pizza è ancora oggi oggetto di studio e di dibattito, terra di conquista per appassionati di gastronazionalismo e innovatori. Ma resta anche un simbolo della dieta mediterranea e del mangiar bene, capace di sedurre anche i palati più diffidenti.

Stefania Leo

Foto di apertura: 123rf