Nurdles, le microplastiche che inquinano di più
Granuli di plastica che si disperdono nell’ambiente, assorbono veleni e risalgono la catena alimentare fino ai nostri piatti, provocando gravi danni anche alla salute umana. Un impatto ambientale davvero importante eppure ancora non riconosciuto come realmente pericoloso.
Sembrano piccole perline colorate, ma sono tra i peggiori nemici dei nostri mari (e non solo): si chiamano nurdles, o plastic pellet, e sono minuscoli granuli di plastica utilizzati come materia prima per produrre quasi tutti gli oggetti che usiamo ogni giorno, dalle bottiglie ai giocattoli, fino agli imballaggi alimentari. Queste microsfere, apparentemente innocue, finiscono spesso nell’ambiente durante il trasporto o la lavorazione industriale, diventando una delle principali fonti di inquinamento da microplastiche a livello globale. Scopriamo insieme cosa sono i pellet di plastica, perché rappresentano un problema ambientale così serio, e quali sono le sfide per prevenirne la dispersione e gestirne gli effetti.
Nurdles: cosa sono i pellet di plastica
I nurdles sono piccoli granuli di plastica dal diametro inferiore a cinque millimetri, realizzati in materiali come polietilene, polipropilene o polistirene. Noti anche come plastic pellets, costituiscono la base da cui si producono quasi tutti i manufatti in plastica.
Durante le fasi di produzione e trasporto, una parte di questi pellet sfugge al controllo e finisce accidentalmente nell’ambiente: bastano piccoli sversamenti, perdite nei container o una pioggia improvvisa per contaminare i corsi d’acqua e, da lì, arrivare fino al mare. Basti pensare che ogni anno oltre 445.000 tonnellate di nurdles si stima finiscano nell’ambiente e la loro leggerezza e resistenza li rende difficili da recuperare: galleggiano, si accumulano sulle coste o si mescolano alla sabbia, rimanendo nell’ambiente per decenni.
L’impatto ambientale dei nurdles
Nonostante le loro dimensioni ridotte, i nurdles hanno un impatto enorme sugli ecosistemi marini e costieri: questi pellet di plastica fungono da spugne chimiche, assorbendo facilmente inquinanti chimici e veleni già presenti nell’ambiente e danneggiando lo zooplancton e trasportano batteri patogeni. Inoltre vengono facilmente scambiati per cibo da parte di molti pesci, tartarughe e uccelli e, una volta ingeriti, risalgono la catena alimentare fino ai nostri piatti, minacciando anche la salute umana. Basti pensare che particelle di plastica sono state trovate anche nelle placche arteriose umane, associate a un rischio 4,5 volte maggiore di infarto o ictus e, una volta nel corpo, è impossibile rimuoverle.
Ma non è tutto: questi granuli di plastica diventano veicolo per patogeni resistenti e malattie capaci di infettare organismi marini di varia natura.
In Italia, alcune ricerche hanno rilevato la presenza di granuli di plastica su diverse spiagge del Sud, in particolare vicino a poli industriali, dove questi piccoli residui rappresentano un rischio ecologico duraturo, a causa del fatto che si frammentano ulteriormente nel tempo.
Sfide nella prevenzione e nella gestione dei nurdles
Ad oggi, nonostante tutte queste evidenze, i nurdles non sono considerati materiali pericolosi, e quindi non esistono obblighi internazionali stringenti sulla loro gestione: ciò vuol dire che, in caso di incidente, le aziende non sono sempre tenute a segnalare la dispersione. Soluzioni valide potrebbero essere: sistemi chiusi, stivaggio sicuro, etichettatura obbligatoria e piani di emergenza locali, in modo da prevenire le perdite e non dover investire in tentativi di recupero che facilmente potrebbero rilevarsi fallimentari.
Non solo: molte aziende del settore plastico aderiscono a iniziative per promuovere buone pratiche per evitare le fuoriuscite di granuli. Tuttavia, gli esperti sottolineano che senza verifiche indipendenti e sanzioni la loro efficacia resta limitata e le organizzazioni ambientaliste chiedono un approccio più rigoroso, che contempli sistemi di contenimento obbligatori, tracciabilità dei carichi e responsabilità diretta delle imprese in caso di perdita.
Dal canto loro, anche i cittadini possono contribuire alla soluzione, rispondendo alle tante iniziative che invitano chiunque a segnalare la presenza di pellet sulle spiagge: queste mappature aiutano gli scienziati e le autorità a comprendere la portata reale del fenomeno e a pianificare interventi più mirati.
Paola Greco
Foto di apertura: Freepik