Espressione con cui si indica il confronto geopolitico, economico e strategico tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica dagli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale fino al crollo del muro di Berlino (1989) e al successivo scioglimento dell’URSS (1991). La struttura bipolare delle relazioni internazionali, che divise il mondo in due blocchi contrapposti, si sviluppò a partire dal peggioramento dei rapporti tra Washington e Mosca provocato dalla totale antiteticità tra i rispettivi sistemi economici e sociali (democratico-capitalista l’uno e social-comunista l’altro) e dalla divisione del mondo in sfere di influenza a seguito della vittoria sul nazifascismo. Winston Churchill, in un discorso pronunciato a Fulton nel marzo 1946 disse, a proposito della creazione del blocco di Stati comunisti in Europa, che «da Stettino, sul Baltico, a Trieste, sull’Adriatico, una cortina di ferro è scesa attraverso il continente». Il concetto fu ulteriormente sviluppato dal giornalista americano Walter Lippmann nel 1947, che definì con il termine “Guerra fredda” lo stato di tensione crescente tra le potenze dell’Occidente democratico e i Paesi comunisti, una tensione che, tuttavia, dato il pericolo rappresentato dagli arsenali nucleari, non poteva sfociare in un confronto diretto ma in una serie di scontri locali a bassa intensità. La Guerra fredda può essere divisa idealmente in cinque fasi.

La prima fase (1947-1953)

Nel 1947 i partiti comunisti furono allontanati dal governo in Francia e in Italia, mentre conquistarono posizioni chiave in Polonia, Ungheria e Romania; nel 1948 un colpo di Stato a Praga portò al potere il partito comunista anche in Cecoslovacchia. Nel 1947 il piano Marshall (ERP) di aiuti statunitensi all’Europa causò ulteriori frizioni con l’URSS, amplificate dalla divisione in quattro zone di occupazione della Germania e dal successivo blocco dei rifornimenti imposto da Mosca a Berlino ovest (1948-1949), superato da un imponente ponte aereo allestito dagli americani. Nel 1949 i Paesi dell’Europa occidentale diedero vita, sotto l’egida degli Stati Uniti, al Patto Atlantico, cui l’URSS rispose con il COMECON (1949), uno strumento di pianificazione economica tra i Paesi dell’Europa orientale, e con l’accordo di mutua assistenza militare il noto come Patto di Varsavia (1955). Intanto, la rivoluzione cinese (1949) e l’attacco della Corea del Nord (comunista) alla Corea del Sud (filo-americana) nel 1950, con l’intervento delle truppe cinesi e di quelle statunitensi, trasformò la Guerra fredda in un vero e proprio conflitto armato, concluso nel 1953 con il ristabilimento della divisione dei due Stati.

L'escalation (1953-1962)

La morte di Stalin (1953) sembrò attenuare le tensioni, ma la rivolta operaia anticomunista a Berlino est nel giugno del 1953 e la fallita rivoluzione ungherese del 1956 minarono temporaneamente la stabilità del sistema sovietico, che aveva trovato in Chruščëv e nella sua teoria della coesistènza pacifica la possibilità di instaurare una convivenza tra i due blocchi rinunciando alla guerra. Il principio della coesistenza pacifica fu messo a dura prova anche dalla rivoluzione cubana (1959), dalla crisi sullo status della città di Berlino, conclusa con la costruzione del muro nel 1961, e con la crisi missilistica a Cuba del 1962, quando l’installazione di rampe per i missili sovietici porto Stati Uniti e URSS a un passo dal confronto nucleare.

Distensioni e tensioni (1962-1979)

Negli anni Sessanta e Settanta si alternarono momenti di distensione a nuovi aggravamenti delle tensioni. All’avvio delle prime intese per la non proliferazione delle armi atomiche e per il disarmo, concluse dall’accordo SALT I (1967-1972), si contrapposero l’invasione della Cecoslovacchia, decisa dal Patto di Varsavia per spegnere la Primavera di Praga (1968), e la guerra del Viet Nam (1965-1975), con gli Americani che appoggiarono militarmente il regime del Viet Nam del Sud contro le forze insurrezionali comuniste. Gli accordi di Helsinki del 1975 per migliorare le relazioni tra il blocco comunista e l'occidente vennero a loro volta messi a dura prova dall'invasione sovietica dell'Afghanistan del 1979.

Nuova corsa agli armamenti (1979-1985)

La crisi afghana, il boicottaggio statunitense delle Olimpiadi a Mosca nel 1980 ma soprattutto l’elezione di Ronald Reagan alla presidenza degli Stati Uniti e di Margaret Thatcher a primo ministro britannico, entrambi decisi ad aumentare le spese militari e ad affrontare i sovietici e i loro alleati, rialzarono la temperatura del confronto. Il regime sovietico, definito da Reagan come «l’impero del male», disponeva all’inizio degli anni Ottanta di un arsenale militare e di un esercito superiore a quello degli Stati Uniti, ma la sua onerosa gestione e la contemporanea corsa all’installazione di missili balistici in Europa si rivelarono un impegno troppo pesante per l’economia di Mosca.

La fine (1985-1991)

I tentativi di riforma messi in atto da Michail S. Gorbačëv a partire dal 1985 non poterono evitare il collasso politico ed economico del sistema sovietico. Nel febbraio 1989 le truppe russe si ritirarono dall’Afghanistan, nel novembre dello stesso anno crollò il muro di Berlino e poco dopo collassò anche tutto il sistema dei regimi comunisti dell’Europa orientale. In occasione del vertice di Malta del 3 dicembre 1989 Gorbačëv e George H. W. Bush dichiararono ufficialmente la fine della Guerra fredda. All’inizio del 1991 le repubbliche sovietiche si separarono. L'Unione Sovietica si sciolse il 26 dicembre 1991.

Bibliografia

John Lewis Gaddis, We Now Know: Rethinking Cold War History, 1997; Joseph Smith, La guerra fredda 1945-1991, 2000; Federico Romero, Storia della guerra fredda: l'ultimo conflitto per l'Europa, 2009: Guido Formigoni, Storia d’Italia nella Guerra fredda (1943-1978), 2016.

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