Le prime migrazioni

Popolo di stirpe germanica appartenente al gruppo marcomanno-svevo. I Winnili (questo secondo la tradizione raccolta dall'Origo gentis Langobardorum è il nome originale dei Longobardi, prima che Wotan, istigato da Freiya, lo mutasse a causa delle loro “lunghe barbe”, ma è possibile, nel nuovo nome, un'allusione a “lunghe lance”) migrarono dalla Scandinavia e si portarono alla foce dell'Elba, dove, nel 5 d. C., furono vinti da Tiberio. Gli storici Strabone, Velleio Patercolo e Tacito sono concordi nell'esaltare il loro ardimento e il loro valore. Dalle bocche dell'Elba guidati da Tatone si stabilirono nei campi patentes tra il Danubio e la Theiss (sec. III-IV). Vinti gli Eruli (510), passarono col re Waco (510-540) la Theiss stabilendosi in Pannonia quali alleati dell'imperatore d'Oriente (526). Con Audoino, figlio di Walhari, passarono nel Norico (547), dove si scontrarono con i Gepidi il cui re Cunimondo venne ucciso (567) da Alboino, re dei Longobardi, che ne sposò la figlia Rosmunda.

Le conversioni alla religione ariana e al cattolicesimo

Nella Pasqua del 568 Alboino fece abbracciare al suo popolo la religione ariana. Questa conversione fu determinata da motivi politici: la pressione minacciosa degli Avari rendeva necessaria la migrazione dei Longobardi verso l'Italia (che era loro già nota perché milizie longobarde vi avevano combattuto al soldo di Narsete contro i re ostrogoti Totila e Teia) e la nuova religione doveva meglio tenerli uniti tra loro. Nella primavera del 568, 200-300.000 Longobardi, cui si erano uniti gruppi di Gepidi, Svevi, Slavi e un forte contingente di 20.000 Sassoni, dal passo del Predil entrarono in Italia conquistando Cividale del Friuli (il loro primo ducato) e tutto il Veneto. Proseguirono poi nella Pianura Padana senza incontrare resistenze degne di nota, se si esclude Pavia, che si arrese solo nel 572 e divenne la capitale del regno longobardo. Questo abbracciò l'Italia settentrionale e centrale, esclusi Venezia, le coste liguri, l'Esarcato, la Pentapoli e il ducato romano che, con l'Italia meridionale, restarono ai Bizantini. I Longobardi, popolo nomade e guerriero, entrati in Italia non come alleati dell'Impero ma da conquistatori, numericamente assai inferiori agli Italici, si raggrupparono in farae, formarono 35 o 36 ducati, retti da duchi, e imposero ai vinti la tertia (la cessione di un terzo dei prodotti); solo in rari casi si impossessarono di parte delle terre. Imposero poi, in luogo dell'imposta diretta fondiaria, un complicato sistema di imposte indirette (diritti di mercato, transito, caccia, approdo, ecc.), pagate per lo più in natura. Privi di leggi scritte, i Longobardi lasciarono liberi i vinti di seguire il diritto romano (giustinianeo) e, sebbene ariani o semipagani, non perseguitarono i cattolici. Nell'organizzazione dello Stato prevalse la concezione individualistica e militare che stava alla base della società longobarda, divisa secondo l'uso germanico in liberi o arimanni (che godevano di tutti i diritti politici, perché avevano l'uso delle armi), semiliberi o aldi e servi; capo dello Stato era il re eletto dall'assemblea dei grandi che aveva anche la facoltà di deporlo. Il fatto che la monarchia fosse elettiva, il forte spirito d'indipendenza dei duchi e il frazionamento dei domini furono motivi intrinseci della debolezza del regno rendendolo vulnerabile e facilitandone la fine (774). Caduto Alboino a Verona (572) vittima di una congiura, cui ebbe parte sua moglie Rosmunda, ma certamente organizzata dai Bizantini, i Longobardi elessero re Clefi (572-574) che pure finì assassinato, lasciando un figlio, Autari, che, troppo giovane, non ottenne l'approvazione. I duchi non si accordarono su alcun altro candidato alla corona e per ben 10 anni governarono ognuno nel proprio ducato, svolgendo una politica indipendente (interregno ducale) e ampliando, se pure in modo disorganico, le conquiste territoriali (costituzione dei ducati di Benevento e Spoleto), senza peraltro riuscire a occupare tutta la penisola. Sotto la minaccia dei Franchi, istigati dall'imperatore, e dei Bizantini, indeboliti dalle discordie intestine, i Longobardi infine elessero re Autari (584-590), che costituì un ricchissimo demanio regio grazie alla cessione, da parte dei duchi, della metà delle loro terre. Autari, che si diede romanamente il titolo di “Flavio Autari”, dovette lottare soprattutto contro i Franchi; nel 590 morì, forse avvelenato. La sua vedova, la cattolica Teodolinda, figlia del duca Garibaldo di Baviera, sposò Agilulfo, duca di Torino (591-615) che a Milano fu “gridato” re. Egli riprese la politica di Autari, tentando la conquista dell'Italia meridionale, imponendosi alle tendenze autonomistiche dei duchi, minacciando Roma e Ravenna e debellando le sacche di resistenza bizantine nell'Italia settentrionale. Sotto l'influsso della moglie, non ostacolò l'opera di conversione al cattolicesimo del suo popolo intrapresa da papa Gregorio Magno (590-604) e da valorosi missionari quali San Colombano; permise anzi che suo figlio Adaloaldo fosse battezzato con il rito cattolico.

La pace con i Bizantini e la fine della dominazione in Italia

Agli inizi del sec. VII, auspice Gregorio Magno, venne sancita la pace, tra Bizantini e Longobardi. Ad Agilulfo succedette Adaloaldo (615-626), sotto la reggenza della madre Teodolinda, e nel regno si ebbe il prevalere dell'elemento cattolico filoromano. Scomparsa dalla scena politica Teodolinda (625), gli esponenti del nazionalismo germanico e ariano si strinsero intorno ad Arioaldo, cognato di Adaloaldo (di cui aveva sposato la sorella Gundeberga), che nel 626 si impadronì del potere eliminando Adaloaldo. Pur essendo ariano, Arioaldo non perseguitò i cattolici, anzi dotò riccamente il monastero fondato a Bobbio da San Colombano. Ad Arioaldo succedette Rotari (636-652), che ne sposò la vedova Gundeberga, capo della corrente nazionalista e ariana. Con Rotari il regno longobardo ebbe una notevole ripresa: il nuovo re seppe infatti imporsi ai duchi e li guidò alla conquista di Genova, del litorale ligure e di Oderzo e, per meglio reggere il suo popolo, il 22 novembre 643 a Pavia emanò l'Editto, prima codificazione scritta del diritto longobardo. In omaggio alla sua fede, Rotari volle che in ogni città, accanto al vescovo cattolico, vi fosse un vescovo ariano. Nel 652 gli succedette il figlio Rodoaldo, assassinato dopo 6 mesi di regno. Prevalse allora la corrente cattolica che pose sul trono Ariperto (653- 661), nipote di Teodolinda, il quale lasciò il regno ai due figli Pertarito e Godeperto. Questi entrarono subito in guerra tra loro e della guerra approfittò l'ariano Grimoaldo, duca di Benevento, che, da prima alleato di Godeperto, lo eliminò, poi ne sposò la sorella e prese la corona. Durante il suo regno (662- 671), Grimoaldo dovette respingere prima i Franchi, sostenitori di Pertarito, poi l'offensiva dell'imperatore Costante II, che nel 663 assediò invano Benevento, Grimoaldo si pacificò poi con l'Impero e aggiunse 9 capitoli all'Editto. Gli succedette il figlio Garibaldo, che venne detronizzato dal cattolico Pertarito (671-688), definito da Paolo Diacono pioe giusto. Egli associò al trono il figlio Cuniperto (678-700) e rinnovò la pace coi Bizantini. Suo oppositore fu Alachi, duca di Trento, che, alla sua morte, si impadronì per breve tempo del regno, ma fu vinto a Carnate sull'Adda da Cuniperto (688). Questi favorì l'elemento cattolico cui doveva il regno e cercò di estirpare definitivamente l'arianesimo. Alla sua morte, intorno al suo erede, posto sotto la tutela di Ansprando, si accese una lotta e tornarono violentemente a manifestarsi le tendenze separatistiche dei duchi. Si chiudeva così il sec. VII che, nonostante le lotte intestine, era stato per i Longobardi un periodo di progresso: i frutti dello stanziamento in Italia e della convivenza con gli Italici si manifestarono infatti in tutti i campi: in quello spirituale, si compì la loro conversione, tanto gravida di conseguenze politiche, dall'arianesimo al cattolicesimo; in campo giuridico, si ebbero le prime leggi scritte e apparve la figura del “gastaldo”, funzionario regio, che frenò notevolmente lo spirito d'indipendenza dei duchi; in campo economico, apparvero le prime monete longobarde, i tremisse che, pur derivati da quelli bizantini, non erano mere contraffazioni, quali erano state nel primo periodo della conquista. Nei 12 anni che seguirono la morte di Cuniperto (700) si succedettero sul trono Liutberto, Ragimberto (700-701) e suo figlio Ariperto (704-712) che venne sconfitto da Ansprando. Questi, prima di morire, associò al trono il figlio Liutprando che fu il più grande re longobardo. Nel suo lungo regno (712-744) Liutprando riuscì a imporre la sua autorità sui duchi ribelli di Benevento e Spoleto, promulgò nuove leggi (713-735) e, riprendendo l'antico sogno dei re longobardi, cercò di ottenere la continuità territoriale dei suoi domini strappando ai Bizantini i loro territori. Liutprando si trovò ad agire in un momento particolarmente favorevole: era infatti sicuro di non venir attaccato alle spalle dai Franchi che, minacciati dagli Arabi, avevano cercato la sua alleanza; e, per quanto riguarda l'Italia, la violenta reazione antibizantina, suscitata dall'editto dell'iconoclastia di Leone III l'Isaurico, sembrava aver fatto crollare la barriera che da sempre divideva i Longobardi dagli Italici, facendo dei Bizantini eretici il comune nemico. Animato dal desiderio di completare la conquista dell'Italia, convinto al tempo stesso di lottare in difesa della religione cattolica, in cui ardentemente credeva, Liutprando iniziò una vittoriosa politica espansionistica; ma trovò un ostacolo proprio nel papato che credeva di difendere. Forti del loro alto prestigio spirituale, i papi Gregorio II, Gregorio III e Zaccaria riuscirono non solo a fermare l'avanzata longobarda verso Roma, ma ottennero anche donazioni (Sutri, 728, poi altri castelli). Con la sua remissività di fronte alle pressioni del pontefice, Liutprando, nel quale sul politico prevaleva il cattolico, segnò il destino della sua gente: i suoi successori infatti da un lato si trovarono di fronte una Chiesa più forte e conscia del suo potere, dall'altro il potente regno dei Franchi, alleato del papa. Quanto fosse pesante l'eredità di Liutprando lo si vide con Ratchis (744-749) che, deposto l'inetto Ildebrando, nipote del suo predecessore, salì al trono appoggiato dalla corrente filoromana. Egli dapprima attuò una politica di pace (leggi, 746, donazioni, ecc.); costretto poi a prendere le armi contro Perugia, si trovò di fronte papa Zaccaria e, come Liutprando, non solo cedette ma abdicò e si ritirò nel monastero di Montecassino. Prevalse allora la corrente opposta, che pose sul trono Astolfo, fratello di Ratchis (749-756): questi riprese la politica di espansione, ma il nuovo papa Stefano II chiese l'aiuto di Pipino il Breve, re dei Franchi, che doveva la corona a papa Zaccaria e a lui (accordi di Ponthion e Quierzy, 754). Sceso in Italia, Pipino sconfisse, nel 755 e nel 756, i Longobardi, costringendo Astolfo a cedere al papa le terre tolte ai Bizantini (Esarcato, Pentapoli, parte del ducato romano), che costituirono il maggior nucleo dello Stato pontificio (legittimato dalla falsa donazione di Costantino, allora coniata). Ad Astolfo succedette, dopo alcuni mesi di governo di Ratchis, Desiderio, duca di Brescia (756-774) che, associato al trono il figlio Adelchi, strinse alleanza con i Franchi, sposando la propria figlia Ermengarda, o Desiderata, a Carlo, primogenito di Pipino, e chiedendo per Adelchi la mano di Gisela, sorella di Carlo. Desiderio mosse quindi contro l'Esarcato e la Pentapoli, minacciando, in un secondo tempo, Roma stessa. Dopo la morte del fratello Carlomanno (771), Carlo si impadronì di tutto il regno franco, ripudiò Ermengarda e, accogliendo l'appello di papa Adriano I, scese in Italia contro i Longobardi. Vincitore alle Chiuse di Susa, Carlo pose l'assedio a Pavia e a Verona e piegò la resistenza di entrambe. Adelchi da Verona fuggì a Costantinopoli e Desiderio, arresosi a Pavia, fu catturato e chiuso nel monastero di Corbie in Francia. Finiva così la dominazione longobarda in Italia. Carlo assunse la corona di re dei Longobardi e, in un primo tempo, lasciò sussistere gli ordinamenti del regno, mantenendo i duchi, da cui volle il giuramento di fedeltà. Essendo scoppiata poi una rivolta nel Friuli, Carlo sostituì ai duchi longobardi conti e marchesi franchi e nel 781 cambiò nome al regno stesso chiamandolo regno d'Italia. Altrettanto vano fu il tentativo di Adelchi di riprendere il regno, così che alla fine del sec. VIII rimasero del dominio longobardo in Italia solo i ducati di Spoleto e di Benevento, vassalli di Carlo Magno.

Bibliografia

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