Manin, Danièle

uomo politico (Venezia 1804-Parigi 1857). Figlio di un avvocato di origine ebraica e fautore della cosiddetta “lotta legale” per favorire lo sviluppo della società in senso nettamente liberale, l'8 gennaio 1848 propose vaste riforme tra cui l'istituzione di un governo autonomo del Lombardo-Veneto, la formazione di un esercito separato da quello austriaco, la divisione dell'amministrazione finanziaria da quella dell'Impero. Arrestato insieme a Tommaseo (18 gennaio 1848), venne però presto liberato in seguito alla sommossa popolare del 17 marzo. Dopo aver guidato la guardia civica all'occupazione dell'arsenale (22 marzo) e dopo la ritirata degli Austriaci (23 marzo), assunse la presidenza del governo e il Ministero degli Esteri della nuova Repubblica di S. Marco. Quando però, all'inizio di luglio, si fecero strada le forze favorevoli all'annessione al Regno di Sardegna, affermò la necessità che i repubblicani sacrificassero momentaneamente le proprie idee alle esigenze dell'indipendenza e lasciò la carica a Iacopo Castelli. Ripreso il potere e nominato dittatore (13 agosto) dopo Custoza, inviò subito ambasciatori a Londra e Parigi per perorare la causa veneziana e si astenne dall'avanzare nel governo qualsiasi pregiudiziale repubblicana. Le speranze d'inserire la lotta di Venezia in una ripresa della guerra d'indipendenza da parte di tutte le forze nazionali furono però vane e dopo aver guidato l'eroica difesa della città in un'Italia ormai quasi completamente sottomessa agli Austriaci fu costretto alla resa e all'esilio. Riparato a Parigi, si andò lentamente accostando a posizioni più moderate finché poco prima di morire fu tra i fondatori della Società nazionale (1 agosto 1857) favorevole alla formazione di un fronte unito di tutti i patrioti per una soluzione sabaudo-unitaria del problema italiano.

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