Odissèa

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(greco Odýsseia). Poema epico greco attribuito dalla tradizione a Omero. Narra in 24 libri di complessivi 12.007 esametri il ritorno da Troia a Itaca di Ulisse (Odisseo); l'azione occupa una quarantina di giornate. Il poema si apre a Itaca dove Telemaco decide di andare in cerca del padre Ulisse che, a dieci anni dalla fine della guerra di Troia, è ancora lontano. Si reca quindi a Pilo da Nestore e a Sparta da Menelao a chiedere notizie, mentre i Proci, i nobili pretendenti della madre Penelope, saccheggiano la sua casa (Telemachia, libri I-IV). Di qui ha inizio il racconto parallelo delle avventure di Ulisse, trattenuto nell'isola di Ogigia dalla ninfa Calipso innamorata di lui. Solo con l'intervento degli dei Calipso si decide a lasciar libero l'eroe e anzi lo aiuta nella costruzione di una zattera sulla quale inizia la navigazione. Ma una tempesta, scatenata dal dio Posidone, lo fa naufragare; a nuoto Ulisse raggiunge l'isola dei Feaci ed esausto si addormenta sulla riva del fiume (V). Qui lo trova Nausicaa, figlia del re, che si era recata, per ispirazione di Atena, al fiume a lavare le vesti nuziali. Rassicurata dalle implorazioni dello straniero, la fanciulla lo conduce alla reggia dove il re Alcinoo gli offre generosa ospitalità (VI-VII). Nel banchetto offerto in suo onore viene cantata la guerra di Troia e ricordato l'inganno del cavallo; Ulisse, che fino a quel momento aveva celato la propria identità, scoppia in lacrime e svela il suo nome (VIII). Inizia quindi il racconto del suo viaggio avventuroso da Troia: l'approdo alla terra dei Ciconi e dei Lotofagi, l'avventura paurosa nell'antro del ciclope Polifemo, l'incontro con Eolo, re dei venti, il soggiorno nell'isola della maga Circe dove alcuni compagni sono trasformati in un branco di porci e poi restituiti all'aspetto umano con l'aiuto di un'erba prodigiosa; la discesa agli Inferi per interrogare l'indovino Tiresia che gli predice il suo ritorno in patria e le dure prove che lo aspettano; la malia delle Sirene, la furia di Scilla e Cariddi, lo sbarco all'isola del Sole, dove i compagni vengono folgorati per aver mangiato le giumente sacre al dio, infine il suo approdo all'isola di Calipso (IX-XII). Finito il racconto, i Feaci fanno salire l'eroe su una nave e lo conducono a Itaca lasciandolo addormentato sul lido della sua terra. Svegliandosi l'eroe non riconosce Itaca e crede di essere stato ingannato dai Feaci. Atena, sotto le spoglie di un pastore, gli viene in aiuto, dichiarandogli che è finalmente giunto in patria e, trasformatolo in un mendico, fa sì che egli possa aggirarsi indisturbato per l'isola. Ulisse arriva alla capanna del porcaro Eumeo, dove apprende le malversazioni dei Proci e la fedeltà di Penelope e dove si incontra col figlio Telemaco. Insieme preparano il piano della vendetta sui Proci (XIII-XVII). Si presenta quindi alla reggia dove, come mendico, viene accolto malamente dai Proci; viene riconosciuto dal vecchio cane Argo, che muore ai suoi piedi, e dalla vecchia nutrice Euriclea alla quale impone il segreto della sua identità. Vinta la prova dell'arco, proposta da Penelope ai Proci (chi, imbracciando l'arco di Ulisse, avesse attraversato con una freccia tutti gli anelli di dodici scuri in fila, avrebbe avuto la sua mano), l'eroe rivolge l'arco contro i Proci e li uccide con l'aiuto del figlio (XVIII-XXII). Solo allora si fa riconoscere da Penelope dandole una prova decisiva della sua identità col racconto della costruzione del letto nuziale. Non gli resta quindi che farsi riconoscere dal vecchio padre Laerte. Sedata una rivolta di Itacesi, passati dalla parte dei Proci, Ulisse si riconcilia coi ribelli (XXIII-XXIV). Poema dell'avventura guidata dalla saggezza, l'Odissea presenta, rispetto all'Iliade, una più complessa e articolata analisi psicologica, una maggiore e più ricca tonalità di sentimenti, una più precisa, ma non per questo meno fantastica, descrizione di luoghi e ambienti. La prima traduzione latina è quella in saturni di Livio Andronico (sec. III a. C.); tra le versioni italiane la più famosa è quella di Pindemonte (1822); traduzioni parziali ne fece anche Pascoli; tra le traduzioni straniere si ricordano quella inglese di G. Chapman (1616) e quella tedesca di J. H. Voss (1781). § Il titolo del poema omerico è entrato nel linguaggio comune, in senso fig., per indicare una lunga e interminabile serie di peripezie e di dolori.

Bibliografia

F. Focke, Die Odyssee, Stoccarda, 1943; W. Schadewaldt, Die Heimekehr des Odysseus, Berlino 1946; R. Merkelbach, Untersuchungen zur Odyssee, Monaco, 1951; G. Germain, Genèse de l'Odyssée, Parigi, 1954; D. L. Page, The Homeric Odyssey, Oxford, 1955; L. A. Stella, Il poema di Ulisse, Firenze, 1955; M. J. Finley, The World of Odysseus, Londra, 1956; L. G. Pocock, Odyssean Essays, Oxford, 1965; G. Bona, Studi sull'Odissea, Torino, 1966; H. W. Clarke, The Art of Odyssey, Englewood Cliffs, 1967; R. Ambrosini, Riflessioni sull'Odissea, Pisa, 1991.

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