Vita e opere

(greco Hómēros; latino Homērus). Il massimo poeta epico greco autore, secondo la tradizione, dell'Iliade e dell'Odissea. Sulla sua vita non si sa nulla di sicuro. Suo vero nome sarebbe stato Melesigene, e Omero non sarebbe che un soprannome (forse ostaggio). Una leggenda lo dipingeva cieco, com'erano talora i rapsodi che cantavano le gesta degli eroi alle corti principesche. Almeno sette città si contendevano l'onore di avergli dato i natali: le più accreditate potrebbero essere Chio e Smirne, e certo la sua patria è da localizzarsi in Asia Minore. Discussa era anche la cronologia che oscillava di ben cinque secoli, dai tempi della guerra di Troia (sec. XII) al sec. VII a. C.; oggi si propende a datare i due poemi omerici verso la metà del sec. VIII a. C. Oltre all'Iliade, che narra le vicende conclusive della guerra di Troia, e all'Odissea, che narra il ritorno in patria da Troia di uno degli eroi greci, Ulisse (Odisseo), e la difficile riconquista del suo regno a Itaca, la tradizione antica attribuiva a Omero la composizione del bizzarro poemetto Margite, oggi perduto; della Batracomiomachia, altro poemetto parodistico sulla battaglia dei topi e delle rane; e un gruppo di 33 inni a varie divinità (Inni omerici).

Le opere: linguaggio e “questione omerica”

Lo sfondo storico e geografico dell'Iliade e dell'Odissea, prima messo fortemente in dubbio, fu delineato in seguito agli scavi condotti tra il 1871 e il 1874 da H. Schliemann sulla collina di Hisarlik nella Turchia nordoccidentale dove venne identificata la Troia omerica. Altri documenti ci parlano di una lunga lotta di Achei contro popolazioni asiatiche in quella regione, databile intorno al 1200 a. C. Questi almeno sono i dati comunemente accettati dagli studiosi più recenti, pur con varietà anche notevoli di opinioni nei dettagli. Il mondo dei due poemi è composito: ci sono elementi arcaici, che ci fanno risalire alla civiltà micenea (Età del Bronzo), e altri più recenti dell'Età del Ferro; le istituzioni politiche e la vita, soprattutto dell'Odissea, rispecchiano evidentemente un assetto sociale assai posteriore, vicino o contemporaneo all'autore, che certamente viene alla fine e non all'inizio di una lunga tradizione di racconti epici, durata almeno per cinque secoli prima di lui, quelli del cosiddetto “medioevo ellenico”, con i periodi cretese, acheo e dorico. Fiorirono allora alle corti o in pubbliche assemblee gli aedi, inventori o “cantori” di leggende eroiche, e i rapsodi, “cucitori” in più ampi poemi di carmi già compiuti. Questa poesia orale sarebbe la parte rielaborata o addirittura l'antecedente immediato dei poemi omerici: una poesia orale, che però non esclude la possibilità anche di redazioni scritte fino in età antichissima. Segni più evidenti della natura professionale e orale sono le ripetizioni di versi o gruppi di versi per descrivere a distanza il medesimo avvenimento, l'uso di epiteti fissi per certi personaggi (“il pie' veloce Achille”, “il divino Odisseo”...) o cose (“la terra nera”, “il mare violetto”...); incongruenze o imperfetta riunione delle parti; errori metrici o formulari. Anche la lingua usata nei due poemi è artificiosa e composita: presenta un amalgama di elementi ionici (prevalenti) ed eolici, con qualche intrusione posteriore anche di attico. L'eolico sarebbe dovuto, secondo alcuni, alle precedenti canzoni di gesta fiorite in quel dialetto; ma oggi si tiene conto anche del miceneo, dopo la conoscenza approfondita di quel linguaggio in seguito alla decifrazione della scrittura lineare B a opera di M. Ventris (1953). In ogni caso è una lingua d'arte assai flessibile, ricca di risorse espressive e musicali, ben conveniente alle misure e alla necessaria mobilità dell'esametro. Il valore del contenuto dell'epica omerica va al di là di quello puro del documento letterario e linguistico. Essa ci offre un quadro etico-religioso, testimone fondamentale di uno stadio della civiltà europea, pur con variazioni marginali tra i due poemi (eticamente più progredita l'Odissea). Gli dei, con a capo Zeus, sono rappresentati antropomorficamente, pur con caratteri soprannaturali e d'immortalità; non interamente onnipotenti, ma sovrastati da un fato. L'uomo è in vario rapporto di dipendenza da essi, che cerca di placare e propiziare; la sua vita sentimentale è assai ricca, più spesso irrazionale e impulsiva, fondata sui principi fondamentali della famiglia, dell'onore, della gloria, del valore, dell'ospitalità, della protezione accordata ai deboli. Il regime politico è aristocratico, con un re a capo di un popolo obbediente; più articolate le classi sociali nell'Odissea: un mondo feudale di corti principesche, con feste, tornei, menestrelli, musica; accanto al sovrano, un'aristocrazia potente e una fervida attività dei popolani, che già posseggono essi pure un'individualità e una dignità. Accanto all'agricoltura e alla pastorizia fioriscono, specie in quest'ultimo poema, il commercio e la navigazione, la libera impresa artigiana. Indipendentemente da questo grande valore documentario di uno stadio primario della civiltà, i poemi omerici si distinguono come la massima voce poetica del mondo greco. L'umanità vi appare nelle sue permanenti manifestazioni spirituali e fisiche, in atteggiamenti che tipizzano, almeno, l'uomo europeo. Atti e cose vi appaiono nella loro forma più elementare, immediata e perenne. Tragedia, commedia, oratoria, filosofia, lirica, narrativa, tutte le forme d'arte (corrispondenti a diversi atteggiamenti della vita) vi sono presenti e vi concorrono alla rappresentazione completa del mondo. Un'unità profonda di sentimento, epicamente oggettivo eppure sempre palpitante, vigile a cogliere ogni valore etico e poetico, pervade i due poemi, pur così compositi e in parte diversi. L'Iliade è soprattutto il canto del valore e del dolore; ha per centro ideale un personaggio come Achille, eroico e infelice, e si muove tra immani carneficine e morti penosissime. L'Odissea è dominata da un protagonista tenace e intelligente; la libera avventura e l'abbandono fantastico sono prevalenti sulla concentrazione sentimentale, che fa invece la grandezza impareggiabile dell'Iliade. Per tutto ciò i due poemi divennero la bibbia del popolo greco. Il loro studio approfondito ha inizio con l'età alessandrina, e con esso la cosiddetta “questione omerica”. Mentre si andavano anche apprestando le prime edizioni critiche dei poemi, si cominciò a dubitare che tutto il corpo delle opere tradizionalmente attribuito a Omero fosse autentico; Senone ed Ellanico (i chorizontes o “separanti”) giunsero già a sostenere che i due poemi principali fossero opera di due autori diversi. Ribatteva Aristarco di Samotracia, imponendo con la sua autorità la tesi unitaria; così qualche secolo più tardi l'anonimo autore del trattato Sul sublime assegnava le due opere alla gioventù (Iliade) e alla vecchiaia (Odissea) del medesimo autore. La questione riprese in età moderna con le Conjectures académiques ou dissertation sur l'Iliade, pubblicate postume nel 1715, dell'abate francese François Hédelin d'Aubignac, un libello che, inserendosi nelle polemiche del tempo sugli antichi e sui moderni, negava l'esistenza di un poeta detto Omero, perché non si potevano tramandare poemi così lunghi quando mancava ancora la scrittura (così pensava il d'Aubignac). Ignaro delle Conjectures, a sua volta il Vico, nella seconda edizione della Scienza nuova (1730), giungeva a conclusioni non dissimili ma con ben altre motivazioni: Omero era solo un personaggio fittizio, simbolo di un'epoca eroica e fantastica espressa in canti di diversi autori. Su basi filologiche impostò per primo il problema il tedesco F. A. Wolf: nei suoi Prolegomena ad Homerum (1795) sostenne che i poemi omerici, trasmessi oralmente per secoli (Omero è collocato dal Wolf nel sec. X), furono ordinati in una stesura unitaria nel sec. VI. Quest'origine plurima e popolare dell'epica omerica ebbe grande fortuna nell'Ottocento romantico. I filologi cercarono da un lato di distinguere i nuclei originali dei due poemi (G. Hermann) o i loro canti separati (K. Lachmann), dall'altro di mostrare la loro unitarietà originaria, pur essendo evidenti delle interpolazioni apocrife quali il Catalogo delle navi e la Doloneia nell'Iliade (G. G. Nitzsch, O. Müller). Le scoperte archeologiche della seconda metà del secolo e l'abbandono dell'idealismo romantico hanno rafforzato nel sec. XX, tra i due estremi degli unitari e degli analisti, la posizione dei “neo-unitari”, sostenitori di due poeti separati, che avrebbero rielaborato nei due poemi tre altri poemi e canti epici preesistenti; assai diverse tra loro per spirito e contenuti, l'Iliade sarebbe anteriore di una generazione all'Odissea (A. Heubeck), o viceversa si riconosce nella prima un influsso della seconda (B. Marzullo).

Iconografia del poeta

Le fonti classiche citano numerose statue e ritratti di Omero a iniziare dal sec. V a. C. Un busto di vecchio barbuto e cieco, il cosiddetto Epimenide della Gliptoteca di Monaco, di cui esistono varie repliche, è forse copia dell'Omero che faceva parte del donario olimpico di Mikythos, opera di Dionisio di Argo. A un originale del sec. IV a. C. risale un busto di bronzo conservato nella Galleria Estense di Modena . Numerosi i ritratti di età ellenistica; il più noto (24 repliche), caratterizzato da volto emaciato, occhi spenti, folta barba, un tipico prodotto del virtuosismo veristico rodio-alessandrino. Frequenti le raffigurazioni ideali di Omero su monete, mosaici e rilievi di età ellenistica e romana. In età moderna, il grande poeta epico fu raffigurato da vari pittori; si ricordano i dipinti di Rembrandt (Omero, L'Aia, Mauritshuis), Delacroix (Omero accoglie Dante nell'Eliseo, Parigi, Palazzo del Lussemburgo), Corot (Omero e i pastori, Saint-Lô, Musée des Beaux-Arts). Nell'Apoteosi d'Omero di Ingres (Parigi, Louvre) il poeta è circondato da una folla di personaggi famosi (Fidia, Pericle, Eschilo, Socrate, Orazio, Virgilio, Raffaello, Michelangelo, Shakespeare, Molière, Mozart, ecc.) e ai suoi piedi siedono due figure femminili che impersonano l'Iliade (con la spada) e l'Odissea (con il remo).

Iconografia delle opere

Episodi dell'Iliade, dell'Odissea e dei poemi omerici non pervenutici sono rappresentati molto frequentemente in tutta l'arte classica. Tra le figurazioni più antiche, quella dell'accecamento di Polifemo sul cratere di Aristonothos del sec. VII a. C. (Roma, Museo dei Conservatori). Da cicli di illustrazioni ellenistiche, come la Guerra di Troia di Theoros (o Theone) di Samo, citati dalle fonti letterarie, derivano alcune pitture pompeiane, i bassorilievi noti come tavole iliache e le miniature dell'Iliade Ambrosiana; illustrano l'Odissea i grandiosi affreschi provenienti dall'Esquilino e conservati ai Musei Vaticani. Numerose scene omeriche sono rappresentate su un gruppo di vasi di tipo megarese, soprattutto coppe, noti appunto come vasi omerici o coppe omeriche. Soggetti tratti dai poemi omerici furono ripresi verso i sec. XIII-XIV in vasti cicli di affreschi e di arazzi e nella miniatura; a essi si ispirarono anche vari maestri del Cinque, Sei e Settecento (Annibale Carracci, Rubens, Poussin, Tiepolo, autore dei delicati affreschi della Stanza dell'Iliade di Villa Valmarana presso Vicenza) e numerosi artisti neoclassici (B. B. Thorvaldsen, bassorilievo con La collera di Achille).

Bibliografia

H. L. Lorimer, Homer and the Monuments, Londra, 1950; F. Robert, Homère, Parigi, 1950; B. Marzullo, Il problema omerico, Firenze, 1952; A. Heubeck, Der Odyssee-Dichter und die Ilias, Erlangen, 1954; L. A. Stella, Il poema di Ulisse, Firenze, 1955; M. J. Finley, The World of Odysseus, Londra, 1956; D. L. Page, History and the Homeric Iliad, Berkeley, 1959; G. S. Kirk, The Songs of Homer, Cambridge, 1962; F. Codino, Introduzione a Omero, Torino, 1990.

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