adiàforo

agg. [dal greco adiáphoros, indifferente]. Nelle scuole cinica, stoica e scettica, presso le quali per la prima volta compare, il termine indicò il carattere di indifferenza di certe cose nei confronti della virtù, in quanto di per sé né la promuovono né la ostacolano (per esempio, la bellezza, la ricchezza, la salute, ecc., che possono essere usate sia per il bene sia per il male). § Il concetto fu ripreso da Melantone che nell'Interim di Lipsia (1548), sulla scorta del pensiero di Lutero, chiamò adiafore (adiaphora) le tradizionali pratiche religiose (digiuni, feste, culto dei santi, canti in latino, ecc.) ritenute indifferenti per la fede: il conflitto sorto fra Melantone e Mattia Flacio intorno al carattere di adiaforo di tali pratiche religiose (controversia adiaforistica) si concluse con la “Formula di Concordia” (1577), che ne confermò l'indifferenza.

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